Devil’s Third – Recensione

Devil’s Third – Recensione

Di Devil’s Third, di Valhalla e di Itagaki abbiamo già avuto modo di parlare, nella nostra anteprima di qualche settimana fa, esternando un generale disappunto ed una serie di problematiche che rendevano difficile approcciarsi al titolo senza storcere il naso. Quest’oggi siamo chiamati ad esprimere un giudizio definitivo, dopo aver testato il multiplayer ed aver chiuso le vicende legate al nostro Ivan, personaggio di dubbio gusto gettato in un universo narrativo (definizione quantomeno azzardata) che non fa altro che mettere su schermo tutta la follia e il narcisismo di Itagaki. L’esclusiva Wii U è pronta per arrivare sugli scaffali, e la situazione è cristallina: più in alto arrivi, più fai rumore quando cadi.

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Questo perché Itagaki ha dalla sua un curriculum di un certo livello, dando linfa a Tecmo Koei e portando sulle sue spalle il peso di essere uno dei capi massimi del videogioco action giapponese. Quando arrivi così in alto, e soprattutto si creano tantissime aspettative dovute al prolungato periodo di sviluppo, la caduta potrebbe essere fatale. Le vicende di Ivan, detenuto numero 1 in un carcere di massima sicurezza si aprono quando il governo degli Stati Uniti ha disperato bisogno del suo aiuto. Ex terrorista facente parte di un pericoloso manipolo di persone, da Big Mouse a Jane Doe, Ivan deve fermare i suoi vecchi colleghi per porre fine ad un attacco terroristico che involve satelliti spenti e bombardamenti di vario genere. La vicenda si conclude nell’arco di 9 missioni, sempre estremamente simili tra loro e purtroppo prive di qualsiasi guizzo, al di là di alcune boss fight che al netto della ripetitività estrema dimostrano ancora un certo gusto in merito per lo sviluppatore giapponese. Il problema più grande di Devil’s Third sta nel suo volersi prendere sul serio, con dialoghi che provano goffamente a portare il giocatore verso un legame emozionale con i personaggi e le vicende che li coinvolgono, ma fallendo miseramente a causa di una sceneggiatura imbarazzante e di alcune scelte registiche infelici e poco efficaci. La coerenza stilistica, questa sconosciuta, va a farsi benedire quando Itagaki inizia a buttare nel calderone creazioni strane, grottesche che mai ti aspetteresti di trovare in una storia che alterna fantapolitica ad attacchi terroristici. Zombi, creature dal dubbio gusto artistico e chi più ne ha più ne metta: Devil’s Third vuole essere un po’ tutto, vuole essere esagerato e stiloso senza rendersi conto di non aver trovato un’identità ben precisa, facendo male sotto ogni aspetto che lo caratterizza. Ritrovarsi a giocare per pura inerzia, senza nutrire il minimo interesse per ciò che accade su schermo è quanto di più brutto possa capitare videogiocando, e quando a fare lo stesso effetto è anche il gameplay be’, c’è da restare perplessi sul serio.

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La struttura di gioco non si discosta da quella vista negli action/tps degli ultimi anni, con livelli lineari da superare sfruttando l’ambiente circostante e il crescente arsenale a propria disposizione. Ma Devil’s Third sceglie di arricchire questa formula inserendo un doppio sistema di combattimento, uno legato all’arma di fuoco e uno all’arma bianca (o ai pugni) che vanno a miscelarsi per offrire un’esperienza apparentemente nuova. Passare dall’uno all’altro è questione di un tasto, e capiterà spesso di dover preferire uno all’altro per affrontare meglio determinati nemici o alcune sezioni: il problema però è un altro, ed è ravvisabile nella mancanza di profondità e nelle poche possibilità offerte dal sistema di combattimento. Al di là delle finisher, che altro non sono che delle animazioni differenti che culminano nella morte del nemico di turno, “menare le mani” in Devil’s Third sarà limitato a una serie di attacchi continui che cambiano di intensità a seconda dell’arma utilizzata, ma che alla fine della fiera non possono evolversi in combo creando la varietà necessaria a rendere questo genere di approcci interessante e sensato. Stesso discorso per la componente da shooter in terza persona, che con una bizzarra gestione della telecamera e del puntamento, unita alla reattività imbarazzante delle armi che non permettono (il più delle volte) un efficace utilizzo delle stesse. La situazione appare quindi cristallina: come può un action riuscire ad intrattenere e a convincere per tutta la sua durata se alla base non c’è un sistema di combattimento riuscito e profondo? Semplicemente non può, e non può ambire a raggiungere la sufficienza, nonostante scivolate epiche o bizzarre mosse finali: se la base scricchiola, non ha alcun senso abbellirla con funzionalità inutili. Questa perplessità si collega a doppio filo con la difficoltà generale del titolo, selezionabile tra Facile e Normale, ma che, soprattutto nel secondo caso, appare poco bilanciata. Itagaki è stato reso famoso per la sua crudeltà, per il suo voler spingere i giocatori al limite della sanità mentale, ma tutto sempre sorretto da un gameplay all’altezza, che per quanto potesse essere punitivo il gioco c’era sempre una certa soddisfazione nel superare gli ostacoli apparentemente invalicabili. Tutto questo non viene nemmeno considerato in Devil’s Third, e si preferisce piuttosto caricare il giocatore con svariati nemici in spazi stretti, o dai moveset senza senso, per finire a finisher che uccidono istantaneamente il giocatore senza preavviso. Il paragone con Dark Souls è d’obbligo: nel mondo di From Software la morte è sempre conseguenza di un nostro errore, sappiamo esattamente cosa ci ha ucciso e cosa fare per poter superare il problema; in Devil’s Third le cose accadono invece un po’ per caso. Siamo estremamente sicuri, inoltre, che avremmo riscontrato le stesse perplessità anche giocando con il controller Pro, come suggerito goffamente dal buon Itagaki. Ma questa è un’altra storia.

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A completare il pacchetto abbiamo una modalità multigiocatore competitiva, che abbiamo potuto provare brevemente viste le tempistiche di apertura dei server. Dopo aver personalizzato il proprio alter-ego attraverso un semplice editor, ci verrà chiesto di selezionare il nostro equipaggiamento, in un modo estremamente peculiare e allo stesso tempo discutibile. Gestire il proprio equipaggiamento e acquistarne di nuovo sono delle mansioni che verranno gestite attraverso un vero e proprio livello interattivo, con banconi e negozi fisici dove fare i propri acquisti, mettendo da parte menù e qualsiasi soluzione comoda che abbiamo visto negli ultimi 10 anni di gioco online su console (e non solo). Oltre alla valuta di gioco sono presenti inoltre le Uova d’oro, che altro non sono che la valuta acquistabile tramite denaro reale: microtransazioni. Peccato però che il design “all’antica” dei Valhalla Game Studios non si sia fermato qui, proponendo anche un matchmaking inesistente, dei menù vecchi di anni che rendono la navigazione indigesta e la mancanza del concetto stesso di lobby, tanto caro a chiunque abbia mai giocato online anche solo una volta.

Eppure il titolo non demorde, e si impegna offrendo al giocatore ben 11 modalità differenti, che vanno dalle più classiche come deathmatch a squadre a variazioni sul tema come cattura la bandiera o modalità a obiettivi. Non mancano modalità bizzarre: come Chickens, dove si dovranno raccogliere le galline che popolano la mappa e rubare quelle dei nemici; o Carnival, dove bisognerà riempire un frullatore gigante con la frutta sparsa per la mappa e totalizzare più punti. Quella più interessante è però la modalità Siege, una sorta di mondo persistente dove i giocatori si dividono in fazioni e tramite ogni battaglia vanno ad aiutare la fazione e di conseguenza i compagni in giro per il mondo. Nonostante le buone premesse, anche a causa di server praticamente deserti, Devil’s Third fatica a risultare interessante nella sua componente online per gli stessi motivi che hanno reso la modalità in singolo dimenticabile: pessimo sistema di combattimento, telecamera imbarazzante e più in generale una qualità decisamente sotto gli standard odierni. Standard che non vengono rispettati nemmeno sotto il profilo tecnico, con un motore grafico instabile (i cali di frame sono onnipresenti) e una generale qualità di ciò che viene mosso su schermo risalente spesso a due generazioni fa. La grafica non è tutto, ma quando viene a mancare anche questo aspetto non resta che mettersi le mani nei capelli e accettare la disfatta.

Mi piacciono i videogiochi e mi piace scrivere, perché non unire le due cose? So anche imitare Topolino e Joe Bastianich, ma non mi pagano per farlo.

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