Returnal, cinque foto per raccontarlo

L'eterno ritorno raccontato attraverso alcuni momenti speciali

Returnal, cinque foto per raccontarlo

Lo spietato, eterno viaggio di Selene, fatto di loop temporali apparentemente inscalfibili e minacce aliene, ci ha completamente stregati, come potete leggere nella nostra recensione di Returnal. L’esperienza forgiata da Housemarque (che potete acquistare direttamente sul sito di GameStopZing) è uno dei titoli più affascinanti, tosti, appaganti di questo 2021 finora non troppo ricco di uscite, in grado di regalare momenti memorabili a ogni bioma e snodo narrativo (cosa non semplice e per nulla scontata per un roguelite dalla struttura ludica così peculiare).

Ve lo raccontiamo attraverso 5 foto scattate tramite tasto Share del DualSense (sprovvisto com’è di una modalità foto, purtroppo), grezze ma in grado, speriamo, di raccontarvi il nostro viaggio in un modo più intimo e vissuto (ma, occhio, pieno di spoiler!).


1 Un po’ di colore, finalmente!(?)

La prima nota di colore in Returnal non si scorda mai, dopo il nero del bioma iniziale e la sua pioggia inarrestabile. Ritrovarsi in un deserto vasto e colorato, dopo il faticoso scontro con Phike, rappresenta quasi una boccata d’aria nella claustrofobia perenne che il gioco di Housemarque trasuda da ogni pixel. Certo, poi basta qualche minuto per venire riportati al solito, immancabile dolore di routine, ma in quei momenti mi sono sentito realmente “libero”.


2 Come PT

I trailer di accompagnamento al gioco hanno lasciato trapelare l’esistenza di momenti smaccatamente narrativi e d’atmosfera, tutti da vivere in prima persona. Inevitabilmente, ogni stretto corridoio di una casa apparentemente normale e tranquilla portano alla mente il crudele esperimento firmato Hideo Kojima, una roba in grado di far tornare i flashback del Vietnam a chiunque ci abbia messo le mani su. Motivo per cui ogni giro nella casa di Selene, tutti cruciali ai fini del contorto e criptico racconto, è stato pesante e mozzafiato, ma anche un po’ traumatico. Perfetto, comunque, per tirare un po’ il fiato tra una sparatoria e l’altra.


3 Un nuovo inizio?

Returnal non ha un vero e proprio sistema di checkpoint. Offre qualche scorciatoia e lieve forma di aiuto, ma è un roguelite duro e puro. Ecco perché la visione del quarto bioma resta qualcosa di sublime: l’unico vero checkpoint del gioco. Arrivare qui significa prendere una boccata d’aria e aggrapparsi a qualcosa di familiare, visto il suo legame col bioma originario e la presenza della fida navetta Helios: è sostanzialmente l’inizio di Returnal, ma 63 anni dopo, e morire qui non riporta brutalmente ai primissimi momenti di gioco. Quanto basta per amare follemente questo scenario.


4 Il boss che non si scorda mai

Iperione, per chi vi scrive, è stato uno dei boss più duri in assoluto. Un’intera giornata di gioco passata a confrontarlo, a studiarne i folli, complessi pattern di attacco. Ma il merito va indubbiamente a tutto il contorno: la musica assordante che da extradiegetica diventa prepotentemente diegetica, tramutandosi persino in un potente e convincente elemento narrativo. Le suadenti atmosfere à la Interstellar ci attirano verso una torre diroccata: da dove proviene quella splendida canzone? Da un organo composto di arbusti, suonato da una creatura insettoide pronta a vomitarci contro milioni di proiettili. Non benissimo… ma che boss fight spettacolare.


5 This is the end…

L’ultima confessione di Selene. La constatazione che il lungo e faticoso viaggio stava per finire, forse. Nello spazio nessuno può sentirti urlare; nell’abisso, invece…


 

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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