Raiden IV x MIKADO remix e la nostalgia per le sale giochi

Uno sparatutto d'altri tempi...

Raiden IV x MIKADO remix

Possiamo osservare Raiden IV x MIKADO remix da diversi punti di vista: uno è sicuramente quello del videogiocatore attempato, cresciuto nelle sale giochi, luoghi mistici e affascinanti che ormai si vedono solo in film o serie TV; l’altro è per forza di cose quello del videogiocatore più giovane, cresciuto a pane e console, visto che si tratta di un porting di un titolo del 2007.

Ebbene sì, Raiden IV x MIKADO remix è uno shoot’em up (in gergo sparatutto, in questo caso a scorrimento verticale) uscito circa 15 anni fa, sul quale però non pesa solo la data d’uscita originale, quanto il genere in sé, in voga nei (questi sì) lontanissimi anni ’90.

Detto questo, la prima domanda che bisogna porsi quando ci si trova davanti la copertina del gioco è: che tipo di videogiocatore sono, quale è stato il mio percorso videoludico? Non che esista un percorso che ne escluda a priori la fruizione, ma sarebbe bene essere consapevoli di cosa stiamo andando a giocare. Tanto per dirne una, i giocatori che credono che i Soulslike siano la cosa più difficile del mondo, farebbero bene a provare a finire Raiden IV x MIKADO remix ad un livello “normale”.

Parliamo infatti di un gioco che punta dritto ai conoscitori e agli amanti del genere, che ahimè, non possono che avere oltre trent’anni sul groppone e (parlo per esperienza personale N.d.R.) anche dei riflessi non più come quelli di un tempo. Certo, c’è l’esperienza, quella aiuta, ma in un gioco dove per schivare i proiettili c’è bisogno di concentrazione, tempismo ed una freddezza senza eguali, i riflessi sono fondamentali.

Ecco il primo storico cabinato della serie, risalente al 1990

Chi vi scrive ha adorato alla follia giochi come Gradius ed R-Type, ed ha giocato a tantissimi altri sparatutto (quelli anni ’90 N.d.R.), con una predilezione verso quelli a scorrimento orizzontale, senza però rinnegare quelli a scorrimento verticale come la serie di Raiden. Tuttavia, il titolo in questione rientra in una sotto-categoria con un livello di difficoltà sopra la media, più simile a titoli quali Ikaruga (pietra miliare del compianto Dreamcast), cosa capace di portare sconforto anche in chi il genere un po’ lo mastica.

Figuriamoci quindi per chi intende cimentarsi nel genere per la prima volta. I novizi potrebbero sentirsi frustrati con un gioco che è tanto immediato nelle meccaniche, quanto tosto già dopo i primissimi scontri. D’altronde i tasti sono due, uno per il fuoco (da tenere perennemente premuto), l’altro per le bombe. Il vero problema sono i nemici e le decine di proiettili che pioveranno verso la vostra navicella spaziale. Raiden IV x MIKADO remix in questo senso viene comunque incontro al videogiocatore, dando la possibilità non solo di aumentare il numero di vite e di bombe disponibili in partenza, quanto nella possibilità di scegliere il livello di difficoltà: si parte dal Pratice, in cui i nemici non spareranno; passando per il Very Easy, in cui parte dei proiettili possono essere distrutti; fino ad arrivare al livello Ultimate, che non abbiamo nemmeno avuto il coraggio di provare. Oltre a questa selezione, potrete scegliere di affrontare la versione Light con soli 5 stage, o quella Original con tutti e 7 i stage del gioco originale (tutti con boss finale annesso, ovviamente).

Raiden IV x MIKADO remix

Il Laser, arma con un potentissimo raggio frontale

Raiden IV x MIKADO remix

Laser al plasma, che attaccherà anche ai lati

Raiden IV x MIKADO remix

Vulcan, una serie infinita di proiettili, ad ampio raggio

Oltre al livello di difficoltà, sarà possibile scegliere l’astronave, tra la Raiden MK II, la Fighting Thunder Me-02 e la bizzarra Fairy. La prima è quella originale, sicuramente più bilanciata in termini di velocità e potenza di fuoco; la seconda richiede un po’ più di esperienza, essendo sì più potente, ma anche più lenta. L’ultima, una vera e propria “fatina”, oltre ad esser velocissima (in alcuni casi troppo), ha anche un sistema di fuoco del tutto diverso da quello standard. A proposito, prima di partire potrete scegliere se avere proiettili a ricezione o meno, ma sarà poi nel corso del gioco che prendendo il rispettivo colore del Power-Up che potrete scegliere il tipo di arma da usare. Lo standard (rosso) ha una gittata ampia ma poco potente, il blu ha un raggio frontale diretto e potentissimo, il viola invece avrà tre raggi discretamente potenti (oltre alle armi principali si potranno raccogliere anche altrettanti tipi di missili).

Non nascondiamo che dopo aver provato a giocare al livello normale, abbiamo trovato la nostra “comfort zone” in quello Very Easy, ma il fatto è che un compromesso (soprattutto dopo un po’ di pratica) a livello di difficoltà si trova, mentre sull’appeal che l’esperienza in sé può avere sul giocatore, la situazione diventa più restrittiva.

Ci spieghiamo meglio: siamo davvero sicuri che nell’epoca dei The Last of Us, ma anche degli stessi Elden Ring, un gioco come questo, così decontestualizzato, il cui obiettivo unico è quello di aumentare il proprio score, possa attrarre ancora? E qui ci riferiamo principalmente ai più giovani, ma non esclusivamente a loro. Una volta quelle tre lettere che si lasciavano accanto al proprio punteggio nelle sale giochi avevano un significato, volevano dire “ehi, sono tra i primi 10 della sala giochi”; ma molte di quelle persone si conoscevano, e quindi quella posizione era davvero un risultato per cui valeva la pena spendere quel gettone in più.

La “navicella” più bizzarra: una fata. Velocissima e altrettanto difficile da padroneggiare

Oggi abbiamo la possibilità di sfidarci con persone dall’altra parte del mondo come se fossero di fronte a noi, partecipare a sfide in tempo reale al fulmicotone, a competizioni iper-strutturate, con giochi che hanno una profondità di gameplay inaudita; quindi come può quella classifica fatta di lettere anonime spingerci ad andare avanti, a mettere i nostri riflessi a durissima prova? Se proprio amate il genere alla follia, vedere il vostro nickname nelle prime posizioni della leaderboard mondiale potrebbe rappresentare un obiettivo, ma parliamo di qualcosa che lascia il tempo che trova.

Non saranno quindi le ispirate canzoni remixate o la possibilità di giocare in multiplayer locale, e nemmeno l’apprezzatissima (seppur poco applicabile per gli utenti console) visuale verticale, che permette di godersi il gioco a schermo pieno, orientando il monitor in verticale, a sollevare le sorti di un gioco che è pressoché perfetto nel suo genere, grazie anche alle tante modalità offerte, ma che ha fatto davvero il suo tempo e difficilmente potrà attecchire sui videogiocatori, se non particolarmente appassionati.

Con questo non vogliamo sancire la fine di un genere, perché esperimenti più recenti sono riusciti a riproporre in chiave moderna un genere come quello degli shoot’em up, rendendolo appetibile ad un pubblico molto più ampio: ci viene in mente Resogun, restando nell’ambito spaziale, ma Cuphead è sicuramente il nome più altisonante.

In questo caso, quindi, non basterà il fantomatico effetto nostalgia, per apprezzare davvero Raiden IV x MIKADO remix ci vorrà un amore spropositato per il genere, unito alla determinazione nel voler ri-allenare i riflessi con un’esperienza videoludica fuori tempo massimo, sperando che possa in qualche modo riportarvi agli indimenticabili anni passati in quelle affollate sale giochi.

Lasciatevi però dire una cosa: nei vostri ricordi quegli shoot’em up resteranno unici, il loro fascino probabilmente non risiede solamente nel gioco in sé, ma anche in tutto quello che c’era attorno. Che non sia meglio lasciarli lì dove e come sono?


E' passato troppo tempo per ricordare il mio primo approccio al mondo videoludico... Limpido è invece il ricordo della prima console, un Atari 2600, e dei giorni interi passati a giocarci. Da allora sono cambiate molte cose: i videogiochi sono diventati il mio lavoro, non ho più tutto quel tempo per giocarli ed ormai sono pochi quelli che mi lasciano a bocca aperta. Ma al di là di tutto, l'amore c’è ancora, così come la voglia di arrivare un giorno a crearne uno… Ecco, se non si fosse capito, sono un eterno “sognatore"!

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