Dragon’s Crown – La Recensione

Dragon’s Crown – La Recensione

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Vanillaware: un team tanto talentuoso quanto controverso. Atlus: un publisher tanto controverso quanto intraprendente. In occasione di ogni loro sinergia, odio e amore si son sempre intrecciati vorticosamente, avviluppandosi lungo la schiena di qualsiasi giocatore che abbia osato sfidare la sorte acquistando le loro produzioni, sotto forma di fremito prorompente e gioioso,pronto a trasformarsi in decine e decine di ipnotiche sessioni, oppure in repulsione totale. Dragon’s Crown mostra ancora una volta l’incredibile voglia di sperimentare che ha sempre contraddistinto il team, andando persino a tributare un genere dato per morto o disperso da qualche decennio. Il sacrificio sarà gradito agli dei?

Lo ameranno: gli estimatori dei beat’em up  e dei GDR vecchia scuola, i fan di Atlus e Vanillaware
Lo odieranno: gli estimatori dei GDR moderni in cerca di complessi sistema di crescita o vaste location da esplorare
E’ simile a: Odin Sphere, Double Dragon misto a Diablo 3 e bestiacce medievali

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PS3_Inlay_Standard_DC_ITATitolo: Dragon’s Crown
Piattaforma: Ps3/ PSVita
Sviluppatore: Vanillaware
Publisher: Atlus / NIS America
Giocatori: 1 – 4
Online: 1 – 4 / Cross-save tra le due versioni
Lingua : Completamente in Inglese

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Roland, membro della Gilda degli Avventurieri col quale avremo a che fare sin dalle prime battute

Roland, membro della Gilda degli Avventurieri col quale avremo a che fare sin dalle prime battute

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Draghi, corone, regine e dolore

Fantasy e medioevo: un’accoppiata perfetta, i pane e Nutella dell’intrattenimento, videoludico e non. E con un titolo così “ancestrale”, non serve di certo un genio per dedurre che tipo di ambientazione troverete in Dragon’s Crown: un tripudio di alabarde, castelli, goblin in armatura e avventurieri, categoria nella quale rientrerà uno dei sei individui (Guerriero, Amazzone, Strega, Elfo, Nano e Mago) tra i quali scegliere il vostro prescelto, il protagonista delle vostre gesta, ognuno dei quali richiederà un certo livello di esperienza da parte del giocatore, oltre a godere di determinate skill, poteri e attacchi propri. Ma non aspettatevi alcuna sontuosa backstory per ognuno di loro: tutto avrà inizio da una tavola del Dragon’s Haven Inn, quartier generale del vostro party. Rapida scelta della classe, un ritocco al look (vari set di abiti a disposizione), messaggi per le partite online e via, dritti al punto, niente fronzoli, come la vecchia scuola insegna.

La Sorceress, il personaggio più discusso per via delle sue forme esagerate...nessuno si è preoccupato del suo talento arcano, in compenso.

La Sorceress, il personaggio più discusso per via delle sue forme esagerate…nessuno si è preoccupato del suo talento arcano, in compenso.

La base narrativa è molto classica: il Re di Hydeland ha lasciato il suo confortevole trono e le sue inestimabili ricchezze per partire, senza una meta ben precisa, ma con un obiettivo fisso in mente: recuperare l’artefatto conosciuto come, per l’appunto, “Dragon’s Crown”, una potente corona in grado di garantire a chi la indossa il dominio su qualsiasi creatura, persino su un leggendario drago. Il nostro eroe verrà spedito dalla Gilda degli Avventurieri ad indagare sulle sorti del sovrano, tra la preoccupazione della principessa, del Primo Ministro, e la sospetta brama di potere del Conte Dean, ma ricordate: l’abito non fa il monaco. Non sono molti i personaggi che incontrerete, oltre al potente mago Lucain, che vi donerà supporto più in là nell’avventura, ed alcuni strambi individui, situati nelle più recondite location del mondo di gioco, e scordatevi qualsivoglia cut-scene o epico video: la saporita trama che poco rinnova ma molto coinvolge, è infatti scandita da singole, centellinate immagini e dalle parole di un Dungeon Master, il quale ci narrerà per filo e per segno cosa accade di evento in evento, lasciando però molto all’immaginazione, come accadeva nell’epoca d’oro dei GDR, quelli veri.

Troverete fatine un po' ovunque, la prima delle quali vi seguirà nelle vostre avventure, indicandovi tesori e porte nascoste

Troverete fatine un po’ ovunque, la prima delle quali vi seguirà nelle vostre avventure, indicandovi tesori e porte nascoste

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Ancestral-school

L’attitudine “vecchia scuola” di Dragon’s Crown non traspare però unicamente dall’atmosfera sognante e da come è stata impostata la trama: è lo stesso gameplay a trasudare antichità da ogni poro, nel bene e nel male. Il pronipote di Odin Sphere riporta infatti in auge il glorioso genere beat’em up, arricchito e vitaminizzato da meccaniche ruolistiche marcate, e da elementi ludici decisamente più profondi di quelli caratterizzanti i mostri sacri del passato, mantenendone la “staticità”, ma giustificando 15 e più ore di gioco. Il ritmo è decisamente frenetico, fin troppo frenetico, tant’è che non saranno poche le occasioni durante le quali il cursore che segnalerà la presenza del vostro personaggio si perderà tra i fendenti, gli indicatori del danno e la miriade di nemici con i quali scontrerete, ma il sapore antico, condito da un sistema di sviluppo classico e poco influente, un’innata tendenza all’azione e trovate come il sistema di magia runica, lo rende sin da subito assuefacente. Occorre però una precisazione: per quanto possa essere considerato un “Action/Rpg“, non aspettatevi vasti luoghi da esplorare, peculiari mezzi di (tele)trasporto o complessi alberi di abilità.

Il tank è inevitabilmente la mia prima scelta, sempre. E le sue coloratissime armature mi hanno ulteriormente convinto.

Il tank è inevitabilmente la mia prima scelta, sempre. E le sue coloratissime armature mi hanno ulteriormente convinto.

Dragon’s Crown segue infatti la tradizione degli atipici titoli targati Vanillaware, caratterizzati da una magistrale e deliziosa grafica in 2D, botte da orbi e pochi tasti da premere (principalmente uno solo) fino a ritrovarvi con una distorsione al pollice destro. Salto/doppio salto, schivata, attacco classico (con relativa parata) e attacco speciale (che richiederà un cooldown/mana in base alla classe scelta): saranno poi i riflessi e la passione per il button-smashing a mandarvi avanti, anche perché a causa della frenesia degli scontri, nonostante il tentativo degli sviluppatori di inserire qualche skill più articolata e un lieve accenno ad un sistema di contrattacco poco funzionale, non c’è molta tattica, ma solo una sana e massacrante bolgia. Potrete infatti muovervi verticalmente in maniera molto limitata, rischiando persino di mancare un nemico, se sarete fuori dalla sua linea di movimento, e trovare il tempo di tenere premuto il tasto quadrato e cercare di parare (ad esempio con il guerriero, la mia prima scelta) sarà una vera impresa, travolti come sarete da orchi, vespe, guforsi (devo ancora riprendermi, ndK) e quant’altro. A dare pepe al tutto ci penseranno poi delle armi temporanee e dall’uso limitato, che causeranno danni extra e vi eviteranno di rovinare il vostro prezioso equipaggiamento (da riparare nell’apposita bottega…sì, avrete solo una città e pochissime location nelle quali sistemare il vostro party), come delle balestre, dei rudimentali lanciafiamme o persino baliste, così come le succitate rune: nel vostro peregrinare troverete infatti dei misteriosi simboli impressi sui muri.

Una volta acquistate delle speciali pietre dallo stregone Lucain, potrete combinarle con i simboli di cui sopra, e ottenere degli speciali effetti, da una cassa piena di armi a un tesoro nascosto alla vista, fino a protezioni o porte segrete spalancate. Per sfruttare questo misterioso potere dovrete però utilizzare una particolare feature pensata con PSVita in mente e riadattata, nella versione PS3 testata, in maniera egregia: alla levetta analogica destra sarà infatti associato un pratico cursore, col quale potrete interagire con l’ambiente, dalla selezione nei menù (ma potrete usare le classiche frecce direzionali), il contatto con delle scintille dalle quali verranno fuori oggetti e monete, fino all’apertura di un forziere o una porta, quest’ultime azioni saranno però affidate a Rannie, un furfantello che si occuperà di raccogliere il bottino e di svolgere particolari mansioni mentre sarete impegnati a far assaggiare le vostre lame agli avversari, mansioni apparentemente inutili ma dannatamente importanti. Quasi ogni portone da aprire che troverete vi porterà infatti in una location secondaria, spesso associata ad una delle numerose side-quest che vi verranno affidate dalla Gilda, le quali spazieranno dall’uccidere un determinato numero di nemici fino al toccare uno specifico oggetto, o risolvere un enigma; peccato che vi costringano a tornare nelle stesse identiche location della main-quest, con tanto di ripetizione degli stessi elementi narrativi e uno sgradevole senso di deja-vu perenne, e che oltre ai succosi bonus di denaro e punti esperienza che vi doneranno, difficilmente vi verrà voglia di tornare una quarta o una quinta volta nello stesso dungeon.

Le combo del cavaliere sono abbastanza limitate: scivolata, colpo verso l'altro, schiacciata e spada brutalmente conficcata nel terreno. Tutte comunque dannatamente epiche.

Le combo del cavaliere sono abbastanza limitate: scivolata, colpo verso l’alto, schiacciata e spada brutalmente conficcata nel terreno. Tutte comunque dannatamente epiche.

I forzieri sono invece associati ad un peculiare sistema di loot che ricorda quello visto in Diablo 3, ancor più frustrante ma quantomeno avvolto da un alone di mistero in grado di esasperare e al contempo strabiliare. L’intero titolo è infatti basato su un sistema di nove dungeon in 2D discretamente lunghi, all’interno dei quali svolgerete sia side-quest che missioni legate alla trama principale, e alla fine delle quali otterrete punti esperienza e denaro in base al punteggio accumulato, decretato dalle monete raccolte dai nemici o dalle casse, così come da determinate azioni svolte, ma vi verranno anche concessi tutti i tesori trovati, che avranno la forma di pozioni o parti di equipaggiamento da vendere o far indossare al proprio personaggio. Il suddetto sistema di loot è però estremamente casuale e crudele: vari fattori porteranno infatti ad una particolare classificazione del tesoro ottenuto (da E a S), il quale influenzerà la qualità degli oggetti, i quali andranno inoltre necessariamente identificati a fine missione, col rischio di trovarsi tra le mani una poderosa spada o un ridicolo tagliacarte, e l’unico modo che avrà il giocatore di influire su questi fattori sarà quello di concatenare più in là nell’avventura ogni singolo dungeon, in una sorta di “survival mode” sfiancante, ma in grado di far guadagnare succosi premi.

Peccato però che, come in Diablo, spesso troveremo parti di vestiario non adatti alla nostra classe. Anche Dragon’s Crown offre la possibilità di avere una squadra formata da 4 giocatori (offline dall’IA, online o in co-op locale da amici e sconosciuti): perché non cedere a loro quel che il protagonista non potrà indossare? Ebbene, non troverete di certo da me la risposta: i membri del party saranno infatti delle semplici pedine, e seppur dotati di una loro personalità, speciali skill ed equipaggiamento, l’interazione con loro sarà estremamente limitata, a tal punto da costringervi a mandarli via quando il loro equipaggiamento sarà inutilizzabile, e spesso lasciarli morire in battaglia e risparmiare il sacrificio in denaro necessario a riportare in vita i caduti (che si fa sempre più esoso) vi sembrerà la scelta più sensata. Nel corso dell’avventura troverete infatti delle pila di ossa, le quali potranno essere riportate in forma umana nel tempio di Hydeland, inserendo l’individuo random appena apparso tra gli avventurieri arruolabili. Questa mancata empatia si rispecchierà in primis nel rapporto distaccato che avranno con il tipico giocatore di ruolo, ma anche nel bilanciamento generale dell’avventura, con loot affidato praticamente al caso (e non più “ponderato” come quello di Diablo 3) e boss e nemici dal livello fisso, offrendo un titolo scevro da qualsiasi progressione organica e che richiederà solo un po’ di grinding per superare sequenze un po’ più ostiche, sempre che non stufi prima la ciclicità delle missioni, tutte incentrate sul ripercorrere gli stessi dungeon più volte (anche se in versione alternativa), ripetitività che coglie anche e soprattutto nell’unica città “esplorabile”, composta com’è da un’unica stradina, un tempio, un negozio e poc’altro.

La vecchia scuola si sente, come detto, nel bene e nel male.

Se credete sia questo il vero caos, non avete mai assistito ad un attacco combinato di golem di legno, vespe killer e temibili ibridi tra gufi e orsi...

Se credete sia questo il vero caos, non avete mai assistito ad un attacco combinato di golem di legno, vespe killer e temibili ibridi tra gufi e orsi…

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Lezioni d’anatomia

Pochi resisteranno al fascino di Sephir...del mago.

Pochi resisteranno al fascino di Sephir…del mago.

Di sicuro, l’elemento più memorabile di Dragon’s Crown rimarrà il comparto tecnico, davvero ineccepibile, seppur con qualche lieve sbavatura. La mano di Kamitani-san, ormai riconoscibile tra milioni, e gli splendidi brani di Hitoshi Sakimoto, con un’esperienza ventennale in ambito RPG e non solo (Tactics Ogre e Final Fantasy Tactics in primis), donano un’atmosfera pazzesca e incantata, in grado di rapire il più duro dei cuori a pochi secondi di distanza dalla prima pressione del tasto Start. Porterete a termine le missioni secondarie solo per sbloccare gli artwork tematici ad esse collegati, da fissare imbambolati per ore, scruterete ogni singolo dettaglio dei fondali, tutti curatissimi, anche quelli apparentemente simili tra loro, e non saranno pochi i nemici in grado di sbalordirvi per l’originalità delle loro sembianze. Gli stessi personaggi giocabili sono unici, dal buffo nano alla tonicissima amazzone o alla prosperosa strega, le cui forme hanno suscitato non poche polemiche prima dell’uscita statunitense, con un gusto per l’eccesso e il grottesco ai limiti del commovente, e un sapiente mix di fumetto e illustrazione che una volta in movimento vi farà sputare arcobaleni dagli occhi.

Le musiche poi sono quanto di più magico mi è capitato di ascoltare da qualche anno a questa parte, superate forse soltanto da un mostro sacro come Skyrim in quanto ad atmosfera ed epicità, ma i toni decisamente più rilassati e burleschi dell’opera di Vanillaware sembrano più ricordare le canzoni di un bardo, piuttosto che le trombe di guerra che accolgono i guerrieri morenti nel Valhalla. Eppure uno stile curato ma “spartano”, seppur fluidi, non è immune da sporadici ma pesanti cali di frame-rate, sopratutto nei combattimenti con i mastodontici boss, anch’essi sufficientemente vari e ben realizzati, o nelle fasi più concitate, i quali controbilanciano il berserk-mode perenne del ritmo di gioco. Maniacale rimane comunque l’intero lavoro svolto sotto ogni punto di vista prettamente artistico, complice il savoir faire dal cuore nipponico ma estremamente originale delle due principali personalità coinvolte, oltre che del marchio di fabbrica di Vanillaware.

La caratterizzazione di location, nemici e personaggi è davvero encomiabile. Nonostante sarete costretti a tornare nella stessa location più volte, la cura per i dettagli vi sorprenderà comunque in ogni occasione.

La caratterizzazione di location, nemici e personaggi è davvero encomiabile. Nonostante sarete costretti a tornare nella stessa location più volte, la cura per i dettagli vi sorprenderà comunque in ogni occasione.

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Aggiungi una sciabola a tavola

L'Amazzone, buon compromesso tra agilità, forza bruta e addominali da spot pubblicitario.

L’Amazzone, buon compromesso tra agilità, forza bruta e addominali da spot pubblicitario.

Può un simile grand guignol limitarsi ad un solo individuo? Con un party formato da un massimo di quattro giocatori e la necessità di averli tutti su schermo in contemporanea, il team ha sapientemente offerto la possibilità di compiere scorribande in co-op sia locale che online (quest’ultima però solo da metà avventura, complice l’aumento di difficoltà generale), andando a sopperire le lievi lacune dell’I.A., non sempre performante come dovrebbe. I nemici li massacreranno a dovere, ma non esiteranno a rubarvi armi temporanee o succulenti cibi in grado di ripristinare la salute proprio sul più bello, per non parlare delle cavalcature rubate (simil-velociraptor o pantere gigantesche) o di bastoni tra le ruote messi nel corso di una side-quest, tutti episodi sporadici, ma che in compagnia di amici o entità senzienti spariranno di colpo.

Da soli in compagnia, Dragon’s Crown vi terrà comunque impegnati per un buonissimo numero di ore, forse un po’ poco se lo si vuol intendere come un RPG classico, ma poco meno di 20 ore necessarie al completamento, tra campagna e sotto-quest, in un’epoca fatta di titoli completabili in un pomeriggio, è comunque un traguardo, uno dei vari raggiunti dal team. Il secondo è certamente quello di aver spalmato il tutto in un numero di dungeon molto basso, rendendo l’esperienza complessiva, tramite sapienti accorgimenti (location alternative dopo una prima run e missioni secondarie che richiedono di raggiungere determinati punti), meno pesante e ripetitiva di quel che sarebbe lecito aspettarsi, complice anche un sistema di sviluppo che non brilla per l’ampiezza del proprio respiro. La rigiocabilità è inoltre garantita dallo sperimentare il gameplay di ognuno delle classi giocabili, tutte estremamente divertenti da giocare, e non troppo complesse da padroneggiare.

Da quant'è che attendevate una co-op in locale fino a 4 giocatori?

Da quant’è che attendevate una co-op in locale fino a 4 giocatori?

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In conclusione…

Lo ammetto: attendevo Dragon’s Crown con una certa trepidazione. E se non posso ritenermi soddisfatto al 100% di ciò che ho potuto provare, bocciare la nuova opera di Kamitani e co. sarebbe un vero oltraggio. Il titolo va infatti considerato come un tributo ai gloriosi beat’em up risalenti ai ruggenti anni del gaming, una rivisitazione pesantemente influenzata dai GDR vecchio stampo, quelli fatti di storie incantate e immaginazione. Il gameplay frenetico che spesso sfocia nella bolgia, un bilanciamento generale da rivedere e poca profondità (in più di un settore) vengono comunque accompagnati da un’accoppiata audio-video da premio Oscar, tra gli splendidi disegni del succitato George e le musiche di Sakimoto, i quali rapiscono come pochi titoli ormai al giorno d’oggi. Il button-mashing e il ritmo incalzante traghettano la semplice trama, e il sadico sistema di loot intrappola il giocatore, costretto a rinunciare a vaste valli da esplorare o machiavelliche tattiche da imbastire, nel nome della violenza fine a sé stessa e dell’intrufolarsi in dungeon splendidamente realizzati, sia dal punto di vista del level design che dalla visione artistica. Agrodolce sino all’ultimo, ma se non temete la barriera linguistica d’Oltremanica, è in grado di regalare un’esperienza atipica e dal sapore antico.

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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