Popcorn Time: Stoker

Popcorn Time: Stoker

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No, questo film c’entra davvero poco o nulla con la magnifica – ormai abusata – leggenda di Dracula. Niente canini o immortali, anzi, “lo show” inizia proprio con il funerale di tale Richard Stoker, che lascia in lacrime moglie ( la Kidman ) e figlia ( la Mia Wasikowska dell’ottimo “Jane Eyre” ).

Demiurgo dell’opera è nientemeno che Chan-wook Park, “padre” dello splendido “Oldboy” ( 2003). Per farla breve: uno che di thriller sembrerebbe intendersene, e tanto. Il suo ultimo lavoro, nelle sale italiane da ieri, è decisamente meno complesso e profondo rispetto ai precedenti ma riesce a mantenere alto il nome del regista coreano: impresa non trascurabile, considerando l’aspettativa che riesce a generare un nome come il suo! Ma andiamo con ordine.
stoker2 L’ambientazione – questa volta – è elegante, “british”, candida (con le dovute eccezioni, ovvio), il ritmo è abbastanza lento ma mai troppo, scandito dalle note dello splendido pianoforte di casa Stoker. Gli interpreti sembrano nati per il ruolo che ricoprono, oltre alle attrici già citate una menzione d’onore spetta a Matthew Goode, misterioso ed imperscrutabile nuovo arrivato in una famiglia già abbastanza strana… Tutto ruota intorno al rapporto che lega indissolubilmente i tre protagonisti, sul non detto, su una morbosità velata e mai ostentata ma sempre presente: c’è qualcosa che non va, la calma diventa un elemento negativo, opprimente, pesante.
Si percepisce con chiarezza un “aroma” di violenza sospesa, lo stesso che strisciava fra le sequenze – ad esempio – di “Funny Games” (Haneke, 1997/2007), costante, insopportabile.

Chi è davvero il nuovo arrivato? E soprattutto: cosa vuole? Domande che rimbalzano in ogni sequenza ma che si protraggono fino all’epilogo. Alta scuola di tensione e sottile psicologia, quindi, questi gli ingredienti alla base di  “Stoker”. Personalmente trovo il cambio di stile di Park leggermente azzardato e continuo a preferire i primi lavori, ma non posso negare che quest’ultimo meriti almeno una visione, specialmente se amate il mistero, il thriller e le storie in cui tutto, ma davvero tutto è possibile fino al comparire della parola FINE.

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A noi ricorda…

fa “Fahrenheit”: l’affinità fra il capolavoro targato Quantic Dream ed il film di Park va cercata a livello viscerale, nelle linee inquietanti della trama, nel vortice di follia in cui lentamente – ma inesorabilmente – lo spettatore precipita senza che vi sia una spiegazione razionale a tranquillizzarlo… due thriller psicologici d’alta scuola, imprescindibili per ogni cultore del genere.

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