Hohokum – Recensione

Hohokum – Recensione

In un panorama spesso criticato per la carenza di idee nuove come quello dei videogiochi, un titolo come Hohokum viene accolto come un’immensa boccata d’aria fresca. Ovviamente siamo in ambito indie, l’unico in cui un’idea così originale può essere concepita: il titolo degli Honeyslug promette infatti di rompere alcuni degli elementi alla base della maggior parte dei videogiochi, come la progressione obbligatoria e persino il concetto stesso di sfida in un gioco.

Per farlo decidono di puntare tutto sull’esplorazione in quello che è definito come un “art game” in cui la musica ha un ruolo determinante. In Hohokum potremo controllare una creatura chiamata Long Mover che assomiglia un po’ ad un serpente (ma ragionandoci su non si può negare che sia uno spermatozoo) e con lui potremo esplorare liberamente i molti mondi disponibili.

Piattaforma: PS3, PS4, PS Vita

Genere: Art Game

Sviluppatore: Honeyslug

Publisher: Santa Monica Studios

Giocatori: 1

Online: Cross-save

Lingua: Testi in italiano

Versione testata: PS Vita

L’intro di Hohokum è a dir poco poetico: il nostro Long Mover si districa in un labirinto fatto di stanze oscure e circolari alla ricerca dei suoi amici colorati. Una volta completato il gruppo si aggira per le stanze, lasciando il giocatore quasi estasiato per la bellezza delle linee colorate sullo sfondo scuro. Ad un certo punto ci siamo avvicinati ad un portale dove tutti i “vermicelli” (chiamiamoli così) sono scomparsi, andando a nascondersi ognuno in un mondo diverso. A noi spetterà il compito di ritrovarli, portando a termine ogni volta dei compiti più o meno sensati.

All’inizio della sua avventura il Long Mover ha aiutato una vecchietta (o quel che sembrava esserlo) ad attraversare delle caverne buie, attivando interruttori, aprendo porte, evitando nemici ed arrivando sana e salva a casa: suona proprio come un tipico livello di un videogioco! Trovato un portale (circolare, come un ovulo), ci fiondiamo dentro e ci ritroviamo in un mondo coloratissimo dove gli abitanti sono impegnati nel divertirsi gettandosi in piscina. Al di sotto però si nasconde un segreto e la pur splendida musica di Com Truise non ci aiuta a capire cosa fare, forse perché non c’è nessun motivo per fare quello che è necessario per completare il livello e richiamare il nostro amico.

L’illusione di giocare ad un non-gioco artistico scompare di fronte a quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio boss che dovremo sconfiggere guadagnandoci l’aiuto delle scimmie, le uniche in grado di affrontare il bracconiere sull’elefante: il cattivo per giunta spara, in una sessione che prende subito i connotati di una versione indie di Ikaruga. Liberata la scimmietta imprigionata voliamo nel cielo, diretti verso il prossimo portale-ovulo, pronti a fecondare un altro mondo… e poteva forse mancare il messaggio ambientalista? Ovviamente no, ed ecco quindi il livello acquatico dove il nemico va sconfitto soffocandolo con pesci inquinati. Altro vermicello-spermatozzo liberato, altro portale, altro mondo!

Come non citare allora il mondo più grande e bello di tutto questo art-game, ovvero l’enorme città centrale? Un immenso affresco fatto di piccole situazioni, ognuna delle quali da risolvere per contribuire ad un compito più grande che libererà l’ennesimo amico disperso. Ma accanto a questi esempi di design più o meno riuscito, ne troviamo tanti altri che ci hanno lasciato perplessi, come il mondo al buio in cui dobbiamo accendere i lampioni per illuminare la zona, salvo poi vedere il vermicello nostro amico nascondersi simpaticamente altrove, senza alcuna connessione con il nostro operato.

L’impressione che dà quindi Hohokum è quella di uno splendido inganno: attirati dalla stupenda cornice estetica e ammaliati dalla collaborazione musicale con l’etichetta Ghostly International si viene catturati in una trappola coloratissima, in cui le meccaniche classiche sono ancora tutte ben presenti (mappa dei livelli, obiettivi, missioni, boss, ecc.) con l’unica eccezione che è impossibile morire. Quel che lascia più basiti però è l’assurdità di alcuni livelli dove l’obiettivo da portare a termine non è chiaro e non ha un legame preciso con il livello stesso: perché trovare un branco di creature morte dovrebbe risvegliare le altre addormentate o ancora, perché far allineare una tribù dovrebbe liberare il nostro amico? Ma soprattutto, si può mascherare un design confuso con un’esperienza artistica?

Questo non vuol dire che l’esperienza di Hohokum sia da sconsigliare, ma è bene avere prima bene in mente quel che si va ad affrontare, anche perché, nonostante i livelli che come appena descritto non abbiamo apprezzato, ce ne sono tanti altri davvero magici, come quello delle isole volanti in cui dovremo far librare gli aquiloni e all’interno di uno di essi si nasconde l’ennesimo amico disperso: in questo caso tutto torna poiché il nostro “eroe” (che, ricordiamolo, è a tutti gli effetti e innegabilmente uno spermatozoo) riporta la vita e dalla nostra azione si libra (letteralmente) il nostro premio. Quando gameplay e significato coincidono si può (forse) parlare di arte, altrimenti è meglio lasciar stare alcune definizioni.

A parere di chi scrive, l’arte nel videogioco non può passare quindi solo attraverso l’aspetto estetico, ma deve coinvolgere le meccaniche stesse e annullarle (o far finta di farlo) non è la via corretta da percorrere. Una volta assodati questi presupposti, possiamo passare all’aspetto migliore del titolo degli Honeyslug, ovvero il comparto estetico e audio. Quello che solitamente è un contorno in Hohokum diventa, suo malgrado, il piatto principale: i disegni di Richard Hogg firmano i bellissimi mondi di questo titolo e spaziano da foreste sospese a campi coltivati, passando per matrimoni in celebrazione ed esperimenti geometrici.

I colori sempre molto accessi e le forme prive di contorni fanno di Hohokum un prodotto unico nel suo genere, il cui aspetto visivo è immediatamente riconoscibile e caratterizzante e, come è lecito aspettarsi, un titolo così curato non può che essere accompagnato da una colonna sonora degna di uno stile così peculiare. La scelta ricade prevedibilmente su un etichetta come la Ghostly International che cura alcuni degli artisti di musica elettronica alternativa più interessanti del panorama, come Com Truise e Shigeto. Tra brani inediti e già conosciuti, è sempre un piacere sentire tanta qualità audio in un videogioco, anche se la composizione dei brani segue il ritmo dei livelli e quando si rimane a lungo intrappolati nello stesso mondo si può incappare nello stesso problema rilevato in Metrico, ovvero con la colonna sonora in loop per moltissimi minuti che rischia di portare il giocatore all’esasperazione .

In conclusione…

Sony ha fatto benissimo (attraverso lo Studio Santa Monica) a mettere le mani su Hohokum: è il classico gioco indie dove l’aspetto conta più della sostanza e sottolinea ancora una volta l’attenzione che la compagnia giapponese ripone in un certo tipo di giochi. Purtroppo non è esattamente come ci saremmo aspettati o meglio, come ci era stato presentato, ma ciò non toglie che vagabondare per i diciasette mondi di Hohokum non regali delle sporadiche emozioni. Anche da un punto di vista dei contenuti siamo su buoni livelli, con circa sei ore necessarie per recuperare tutti gli amichetti, senza menzionare i molti trofei da sbloccare compiendo le azioni più improbabili e impossibili che possiate immaginare.

Se dunque siete alla ricerca di un gioco in cui la sostanza è subordinata all’apparenza, Hohokum è il titolo che fa per voi, ma se state cercando l’art-game definitvo è forse meglio rivolgersi altrove.

Voto: 6,5/10

Da quando ho scoperto che i piaceri che i miei pollici opponibili potevano darmi con un joypad erano pressoché infiniti non ho mai smesso di videogiocare. Appassionato di cinema e musica, sempre e solo a livello maniacale.

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