Voice of Cards: The Isle Dragon Roars – Recensione

Uno spavaldo e improbabile gruppo di eroi ha nelle proprie mani il destino di un regno

Voice of Cards: The Isle Dragon Roars – Recensione
Voice of Cards: The Isle Dragon Roars – Recensione

Voice of Cards: The Isle Dragon Roars è un GdR ambientato in un mondo di spade e magia narrato interamente tramite l'uso delle carte. La storia segue un eroe autoproclamato nella sua avventura per affrontare un drago che si è risvegliato, ed è presentata sotto forma di un GdR da tavolo narrato da un tipico game master.

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Voice of Cards: The Isle Dragon Roars non è il vostro amichevole gioco di carte di quartiere. Di fatto, non è nemmeno un gioco di carte. Eppure sono lì da vedere, no? Perché non dovrebbe esserlo? Perché altrimenti non sarebbe un gioco di Yoko Taro, director assieme a Maasa Mimura di questa piccola (rispetto agli standard cui ci ha abituato) ma molto gradevole avventura fantasy medievale che si discosta dll’universo narrativo di Drakengard e NieR, il cosiddetto Taroverse, per presentarci una storia piuttosto semplice nel suo intreccio; non per questo banale o noiosa.

In tutto questo, le carte sono il mezzo attraverso il quale si esprime, si racconta e si gioca quello che, a conti fatti, è un GdR. Non pensate a Magic: The Gathering, Hearthstone o il più recente Inscryption, per non parlare di altri come Yu-Gi-Oh! e affini. Voice of Cards incanala tutto di sé attraverso le carte ma non è, lo ripetiamo, un card game. Scoprite assieme a noi il perché nella nostra recensione.

Narrativamente parlando, le premesse sono piuttosto standard, seppur con qualche deviazione dal ben noto canovaccio dell’eroe e del suo gruppo che salvano il mondo per puro spirito di sacrificio. Nel regno dove si ambientano le vicende, il risveglio improvviso del Drago provoca la preoccupazione della regina e lo scalpore degli abitanti, che temono una catastrofe.

Per decreto reale, chiunque riesca a eliminare la minaccia verrà lautamente ricompensato ed è qui che entriamo in gioco noi: il protagonista senza nome, assegnabile a piacere, e la sua compagna di viaggio Lazuli – un mostro mansueto e dall’aspetto persino tenero. Il nostro eroe, che poi saremmo noi, accetta di dare la caccia al Drago attirato dal denaro che è stato promesso: esatto, nessuno stereotipo dell’eroe bensì uno tra i più semplici desideri – l’avidità.

Baldanzosi come pochi, iniziamo il viaggio quasi subito accompagnati da Orvina, una strega con una forte e non meglio motivata acrimonia nei confronti del Drago. L’incontro non è tra i migliori ma, nonostante tutto, ci mettiamo in viaggio assieme attraverso le lande alla ricerca del suo nascondiglio.

Voice of Cards ci ha soddisfatto ma la narrazione avrebbe potuto osare di più

Da qui in poi si dipana un’avventura che occupa circa quindici ore per essere completata al 100%, lungo la quale avremo modo di conoscere svariati personaggi, approfondire la narrazione che presenta qualche interessante svolta e soprattutto sapere di più sul nostro improbabile trio. Pur notandosi la mano di Taro sull’intero gioco, si vede anche la natura contenuta del progetto, che narrativamente non si esprime al meglio pur mettendo in scena un cast principale di cui è difficile dimenticarsi – vuoi anche per l’ottimo character design.

Siamo arrivati alla fine soddisfatti, nel complesso, ma ammettiamo che non ci sarebbe dispiaciuto avere qualcosa in più dalla storia; maggiore spazio per raccontarsi a dovere, ecco. Ci sono finali multipli, per ottenere i quali basta fortunatamente rifare solo l’ultimo combattimento, tuttavia a parte quello considerato Finale Perfetto non differiscono molto l’uno dall’altro. Non offrono, per dire, frammenti di storia in più oppure nascosti come nel caso di NieR.

Da un lato è un bene, vuoi perché NieR: Automata ha già sfruttato a fondo l’espediente del gioco “a pezzi” e in tal caso sarebbe potuto suonare ridondante come approccio; dall’altro, lo ripetiamo, Voice of Cards vale le quindici ore (e poco più per il platino) che ci spenderete sopra, ma sembra trattenersi un filo troppo nel suo intreccio. A tratti sembra fin troppo sbrigativo, a dispetto di alcuni ottimi spunti che avrebbero fornito una base interessante per espandere il discorso in essere.

Per quanto riguarda il gameplay, come abbiamo anticipato, Voice of Cards è un GdR che si esprime tramite le carte. Dimenticate le meccaniche tipiche di un card game e applicate invece i concetti del gioco di ruolo. C’è il party composto da tre personaggi, ciascuno dei quali porta un’arma, un’armatura, un accessorio e un massimo di quattro abilità, che apprendono salendo di livello (il level cap è 30).

La gestione fuori dalle battaglie è quella comune a qualunque GdR: prendete e impostate la squadra come preferite, scegliendo tra abilità che infliggono danno fisso e altre che si affidano al lancio del dado. Se avete giocato anche solo una volta a D&D troverete l’intera struttura familiare perché, bene o male, anche grazie all’impronta data dal Game Master come narratore principale dell’avventura, è esattamente una sessione di gioco di ruolo da tavolo – ma con le carte.

Salire di livello è automatico sulla base dell’esperienza ottenuta e la crescita dei personaggi è gestita dal gioco stesso, con statistiche preimpostate che aumentano a seconda del nuovo livello raggiunto. I combattimenti sono casuali lungo la mappa di gioco, chiaramente costituita a sua volta da carte che vanno scoperte per poter creare il percorso, e non esiste il concetto di attacco prioritario: ci si affronta tutti dalla stessa base di partenza e l’ordine di attacco è determinato dalla velocità di chi partecipa. Nemici e protagonisti hanno le rispettive resistenze e debolezze, fisiche e magiche, sono soggetti a stati alterati e via discorrendo: letteralmente, stiamo parlando delle basi tipiche di un GdR a turni qualsiasi.

Voice of Cards fonde bene le meccaniche GdR con l’estetica di un gioco di carte

Voice of Cards non è innovativo, in questo senso, pur fondendo davvero bene le due realtà, nondimeno risulta molto intrigante e spinge senza troppo sforzo fino ai titoli di coda. Complice anche una difficoltà medio bassa che solo nelle battute finali ha un lieve picco, che diventa più rigido durante una specifica battaglia bonus sbloccabile finendo una volta il gioco. Non è necessaria a nulla, se non ad avere il bestiario completo e mettere alla prova voi stessi come giocatori.

A rendere l’avventura interessante ci sono i cosiddetti Eventi, situazioni random che possono andare a nostro vantaggio o svantaggio a seconda di cosa vogliamo fare quando incappiamo in esse. Sono tra le più svariate e pur finendo con il ripetersi, alla lunga, rendono piacevoli le traversate lungo la mappa; allo stesso modo lo fanno le diverse cacce al tesoro che costellano il viaggio, alcune delle quali portano a ricompense di notevole livello.

L’esplorazione, in poche parole, è incentivata in Voice of Cards, che riesce anche a portare su schermo pochi ma interessanti obiettivi secondari che sta a noi scegliere se e quando completare. Il bello del gioco è che al suo interno non c’è nulla di mancabile: è tutto lì, a portata, dobbiamo solo decidere il momento giusto per approcciarlo. Nella sua semplicità, dunque, l’esperienza confezionata da Yoko Taro e Maasa Mimura vale tutto il tempo speso, anzi, ci ha spinto a voler vedere un seguito perché la conclusione si presta molto a rendere Voice of Cards una serie – approccio spesso rischioso, che rischia di togliere unicità a un prodotto, eppure non da scartare.

Musicalmente e artisticamente parlando, nulla da dire. Le tracce, curate anche dal ben noto Keichi Okabe (Dark Souls, per esempio, vi suggerisce qualcosa?) sono facilmente riconoscibili e apprezzabili da chiunque abbia ascoltato qualunque lavoro precedente del compositore. Pur non brillando per eccessiva varietà siamo di fronte a un ottimo lavoro. Stesso discorso per il character design, affidato a Kimihiko Fujisaka (NieR Replicant ver.1.22474487139…, la trilogia di Drakengard, The Last Story e diversi altri). La cura posta nelle singole carte, che anche in questo caso tendono a ripetersi per quanto riguarda i PNG, è indubbia e non smette mai di farsi guardare.


Conclusioni

L’idea di strutturare una tipica avventura da gioco di ruolo attraverso l’uso delle carte è sicuramente il guizzo maggiore di Voice of Cards, che nella sua semplicità restituisce un’esperienza piacevole con cui trascorrere del tempo, senza sentirsi soffocati da sconfinati paesaggi open world, ore su ore di gioco che spesso sembrano riempite a forza e una trama che tende a sfilacciarsi o essere dispersiva.

Questo gioco potrà essere contenuto e sicuramente in alcuni punti gli avrebbe giovato una maggiore espansione, non per questo va preso sottogamba. Se siete appassionati delle opere di Yoko Taro, se cercate un gioco tutto sommato originale nella sua presentazione e dalla durata complessivamente commisurata a quello che offre, senza inutili e vacue deviazioni, allora Voice of Cards: The Isle Dragon Roars fa al caso vostro – a maggior ragione dato il prezzo contenuto.

Good

  • Ottima narrativa e caratterizzazione dei personaggi
  • Le meccaniche GdR sono valide seppur ridotte all'osso
  • Keichi Okabe alla colonna sonora è sempre un piacere

Bad

  • La narrazione avrebbe potuto osare di più
  • Di conseguenza, la durata ne avrebbe beneficiato
7.5

Niente male

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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