Popcorn Time: Non Aprite Quella Porta 3D

Popcorn Time: Non Aprite Quella Porta 3D

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Acquista una dimensione la pluripremiata saga slasher inaugurata nel 1974 dall’originale Texas Chainsaw Massacre. A colpi di motosega, Leatherface si è scavato una via fino ai giorni nostri lasciandosi alle spalle tanti film quante vittime, e come ogni buon fan del genere sa perfettamente, non sempre i risultati sono stati entusiasmanti.  A seguire i primi due (ottimi) capitoli firmati Tobe Hooper, ne abbiamo altrettanti (1990 e 1994), quindi un remake (2003), un prequel (2006) e, dulcis in fundo, la pellicola recensita in questo articolo.
La formula di base rimane inalterata dai sanguinosi esordi, eppure – paradossalmente – i risultati sono molto diversi a seconda del caso. L’ABC dello slasher è sempre rispettato alla perfezione, il campionario comprende maniaco omicida, sbruffoncelli armati di alcolici a basso costo e campionario di battute da campeggio, donzelle fascinose ed incredibilmente poco (e male) vestite, attrezzi del mestiere (vedi motoseghe, ganci da macellaio, cesoie, forbici, lame, varie ed eventuali) e poliziotti utili quanto spray al peperoncino in uno scontro a fuoco. Eppure, senza cambiare l’ordine degli addendi il risultato cambia…eccome!
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Per quanto disturbanti, le sequenze del primo film esprimevano un’estetica grezza e particolarmente ispirata, erano originali, ed i litri di sangue che inondavano lo schermo saturando la scena di un rosso intenso, innaturale, erano tanti ma mai troppi, tutto convergeva e veniva incanalato verso il finale lasciando alla storia ed all’ottima sceneggiatura la parte del leone.
Ma passiamo al sodo. Esordisce nelle sale italiane Non Aprite Quella Porta 3D, di John Luessenhop. Certo, inventarsi il seguito di un cult non è impresa facile e le aspettative erano alte quanto le responsabilità di regista e produzione.

Con ordine: quel 3D stampato a caratteri cubitali sulla locandina ha fatto storcere il naso a parecchi fan di vecchia data ancor prima dell’uscita del film, ed il sottoscritto è tra questi. Il pregiudizio è una brutta bestia, ma un’attenta visione non ha fatto che confermare le prime impressioni. A differenza degli illustri predecessori (o almeno di alcuni)  questo nuovo capitolo è un pasticciato collage di buone idee buttate al vento e squartamenti senza capo né coda,  bassa macelleria palesemente pensata per il 3D (immancabile la motosega che buca lo schermo) ed una narrazione che arranca e non riesce a riprendere fiato. Le citazioni iniziali non sono che una fugace illusione, polaroid dei bei tempi andati, promesse clamorosamente smentite dall’oretta e mezza successiva.  Peccato, perché gli spunti c’erano (chi è il mostro?)…      sarà per la prossima volta, o è meglio mettere la parola fine ad una saga che ha valore proprio perché (finora) non eccessivamente abusata?

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A noi ricorda…

re Resident Evil: per essere precisi, ci ricorda le ultime incarnazioni – marcatamente più action – del blasonato brand made in Capcom, con tanto di pazzoide armato di motosega (vedi miniatura), che esordisce con il quarto capitolo per poi tornare nel quinto, perfetta incarnazione del nuovo (criticato) stile donato alla saga, più fracassone e meno “psicologico”.

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