Metal Gear Solid Delta, Konami e il fantasma di Kojima

Scherza coi fanti e lascia stare i santi

Metal Gear Solid Delta, Konami e il fantasma di Kojima

Non so se si possa parlare di “sacralità” in ambito videogame, ma è innegabile come negli anni alcuni brand e autori abbiamo conquistato un posto di rilievo non solo a livello storico, ma anche nell’immaginario stesso dei giocatori. Esempio calzante è il franchise Metal Gear Solid, che ha recentemente fatto capolino tra scaffali e librerie digitali grazie alla nuova Master Collection Vol.1 (disponibile da GameStop, a questo link).

L’unicità dell’evento potrebbe sfuggire ai meno attenti, che abituati ormai a un florilegio di riedizioni di vecchi titoli, tra remaster e remake, potrebbero guardare stancamente a questa riproposizione diretta della leggendaria trilogia stealth di Konami, accompagnata dai titoli seminali dell’epoca MSX/NES (ovvero i primi due Metal Gear… e basta, niente “stati della materia” come suffisso).

All’annuncio di questa potenziale edizione definitiva, gioia e tripudio hanno colto tutti gli appassionati che negli anni vivevano la vicinanza al brand con il peso del vincolo ai vecchi hardware. Dopotutto il primo Metal Gear Solid dell’era PS1 è riemerso sporadicamente tra PSN e PlayStation Mini, senza però essere realmente fruibile a lungo termine, mentre Metal Gear Solid 2 e 3 sono stati abbandonati nell’oblio del delisting digitale dopo la release del 2011 su Xbox 360 e PlayStation 3, che molti conservano gelosamente in edizione fisica.

L’idea di poter riavere in un unico device, che fosse PC o la propria console preferita, la leggendaria saga è sempre stata estremamente allettante, e da tempo la community videoludica guardava a Konami come a un drago anziano impegnato a fare stancamente guardia alla sua pila di tesori, come se il semplice sguardo degli osservatori potesse intaccarne lucentezza e valore.

Quanto ben di dio fermo a far polvere…

L’azienda giapponese, che da tempo ha alleggerito il proprio impegno in ambito gaming tradizionale, pare essersi improvvisamente resa conto che a tenersi sotto il sedere questi tesori ci avrebbe guadagnato ben poco, perché per via di tante scelte più o meno infelici ormai era impossibile vivere di sola luce riflessa del passato. Quindi dopo Castlevania, Contra e tutti gli altri classici arcade, era arrivato il momento di andare a toccare il lavoro di Hideo Kojima.

Già, per la prima volta dopo la clamorosa rottura tra Konami e l’autore videoludico più geniale (nel bene e nel male) degli ultimi anni, Metal Gear Solid tornava a disposizione del suo pubblico. Ma in che forma? Sbiadita, parrebbe, almeno stando ai pareri della stampa e dei giocatori che si sono tuffati al volo sulla tanto attesa proposta videoludica.

Se al tempo il mantra era “The best is yet to come”, che riecheggiava sulle note composte da Rika Muranaka, oggi invece è un ben più pragmatico “minima spesa, massima resa”, come pare evidente dalle scelte compiute nel mettere insieme il prodotto. Innanzitutto il valore collezionistico è discutibile, per via della presenza di contenuti in download (seppur collaterali come le graphic novel) al di fuori di quanto presente nel disco, cosa che a lungo termine renderà superata e superabile questa edizione. Assurdo e inspiegabile il caso della versione Nintendo Switch, che richiede di scaricare separatamente proprio i tre titoli “flagship” (Metal Gear Solid, Metal Gear Solid 2 e Metal Gear Solid 3) che danno il nome alla release stessa. Sullo stesso piano, quindi, di un download digitale completo, con la beffa dell’illusione della preservazione.

Snake contempla l’assoluta follia dell’edizione Switch (immagine di PressStart.com)

Risulta controverso trattare anche l’effettiva qualità dei porting (perché tali sono), in quanto nel caso del secondo e terzo capitolo ci troviamo a un copia e incolla del lavoro di remaster HD avvenuto nel 2011 ad opera di Bluepoint Games, riproposto tale e quale senza modifica alcuna, a parte qualche (s)graditissimo rallentamento in alcune situazioni più caotiche. Sì, qualche sistemazione ai prompt e ai menù, ottimizzati per piattaforma, c’è stata, ma non abbastanza perché Konami aggiungesse crediti nei titoli di testa, fermi appunto al 2011/2012.

Peggio ancora è andata a Metal Gear Solid, titolo che forse più di tutti meritava un lavoro degno, spalmato sui nostri schermi in un’anacronistica versione a 50Hz su cui è stato evidentemente steso uno strato di vaselina bilineare, la quale in assenza di qualsivoglia “filtro CRT” va ad ammazzare ogni minima velleità di riproporre l’impatto scenico dell’originale. Un imperdonabile reato di lesa maestà, che si traduce in una improponibile rivisitazione castrata (nel 2023) di un classico senza tempo.

Ma “mamma” Konami non è certo l’ultima arrivata e sa bene che basta alimentare il fuoco dell’hype per portare in cascina qualche feedback positivo in grado di coprire i segni del dissenso, e lo scorso maggio durante il PlayStation Showcase ha saggiamente annunciato back-to-back non solo la discussa collezione, ma anche un sorprendente quanto leakatissimo remake di Metal Gear Solid 3: Snake Eater, rinominato Metal Gear Solid Δ: Snake Eater.

Delta per Konami è “Cambiamento” e “Differenza”, senza cambiare struttura. Per me è Delta come “Paraculo”.

La gente è impazzita, facendo volare verso i propri schermi – in egual misura – soldi e biancheria intima. L’unico impassibile è stato il buon Geoff Keighley, amichetto fedele di Kojima che è subito partito all’attacco di Konami. Anziché condividere entusiasticamente l’annuncio, come fa in ogni sua marketta, ha invece colto l’occasione per fare domande scomode sul titolo: chi lo sviluppa? Chi lo dirige? La mamma di Hideo lo sa?

In casa Konami il silenzio l’ha fatta da padrone. Silenzio sullo sviluppatore, silenzio sul director, silenzio sul motore di gioco. Nulla di nulla. Almeno fino a ieri, quando nella forma massima di par condicio videoludica Xbox ha sfoggiato il primo “gameplay” di Metal Gear Solid Δ: Snake Eater, svelando al mondo come il titolo sia in lavorazione su piattaforma di sviluppo Unreal Engine 5. Bello, bellissimo. Ma a mio avviso senz’anima, a perfetto complemento di quanto fatto nella collection.

L’opera a cui si ispira questo remake è grandiosa, a tratti (per il suo stesso bene) fin troppo azzardata nello spingere verso nuove scale e dinamiche l’azione stealth che così bene funzionava in formato “conciso”. Ma tant’è, la fede nell’autore fece sì che per l’ennesima volta critica e utenza avessero gli strumenti per percepire la grandezza autoriale oltre le comuni convenzioni. Un titolo strepitoso nella caratterizzazione dei personaggi, contorto al punto giusto nel dare forma alla sua trama e insostituibile esempio di produzione che supera con fervore i limiti imposti dall’hardware.

Signora mia, di che parliamo?

Ieri, invece, abbiamo dovuto scatenare forzatamente adrenalina nelle nostre vene per vedere oltre la piattezza di un breve showcase tecnico che null’altro ha fatto che urlare al mondo (e ai possibili acquirenti): “Io esisto”. Che per carità, è già tantissimo considerando quanto ogni boccone di Metal Gear Solid abbia un valore paragonabile all’oro, ma è anche quanto di più lontano ci si potesse attendere considerata la “dinastia Kojimiana”.

L’esaltazione verso quello che sarà, o meglio “potrebbe essere”, non può rimuovere dalle nostre menti come quanto visto sia ben poco distante dai velleitari esercizi tecnici che ci offrono assurde trasposizioni di grandi classici del passato come Mario 64 od Ocarina of Time in Unreal Engine 5 (con tanto di ridicolo “Nintendo hire this man”), sebbene mi renda bene conto che considerarlo al pari di simili svaghi creativi sarebbe frutto di un evidente e colpevole bias.

È vero, stiamo parlando solo di un primo sguardo alla versione pre-alpha di un gioco, ma è anche (e brutalmente) specchio dell’assenza di una direzione forte, di una visione, del carattere e della follia necessari per prendere in mano la mitologia di Big Boss e plasmarla in ottica moderna, senza necessariamente svenderla in una forma incompleta alla prima occasione utile.

Bello sì, ma freddo come una lapide.

Metal Gear Solid è ben altro. Metal Gear Solid merita ben altro. Metal Gear Solid è stato creato da qualcun altro. E fingere che questo qualcun altro non esista, tra collezioni dalla qualità discutibile e remake invocati per secoli che si mostrano alla stregua di produzioni amatoriali, potrà forse portare in cassa qualche apprezzatissimo doblone, da aggiungere alla pila dei tesori, ma non renderà mai più nobile o rispettabile l’anziano drago. Piuttosto renderà ancora più evidente l’opacità delle sue scaglie, il peso dei suoi movimenti e la svagatezza con cui, di tanto in tanto, emetterà fuoco per allontanare i predatori.

Rimarrà comunque una creatura mitologica e affascinante? Sì, ma continueremo a guardarla con la nostalgia dei tempi che furono e la tenerezza che si concede all’anziano che, oramai, ci appare come un’ombra sbiadita di sé stesso.


Lost Password