Popcorn Time: Oculus

Popcorn Time: Oculus

Cinematograficamente parlando l’horror è uno tra i generi più ostici da affrontare. Provate a pensare a quanti film “di paura” conoscete, quindi provate a pensare a quanti BEI film “di paura” conoscete. I primi sono pressoché infiniti, i secondi rari e spesso nascosti tra le polverose pieghe del tempo. Potrebbe sembrare un genere minore, ma la storia del Cinema ci insegna l’opposto, basti pensare a capolavori quali Shining (Kubrick), Possession (Zulawski), Society (Yuzna)… la lista, seppur breve, potrebbe continuare ancora un bel po’.
Non ho mai nascosto di essere particolarmente “affezionato” all’horror in tutte le sue forme e declinazioni, quindi  metto sempre in conto la possibile (spesso probabile) delusione prima di vederne uno per la prima volta. Ecco che arriviamo al film che recensirò brevemente oggi: Oculus, di Mike Flanagan.
Distribuito negli USA l’anno scorso, approda solo ora nelle sale italiane forte di un inaspettato successo in patria. La cornice è classica, anzi, da una prima occhiata al “look” generale ed ai protagonisti sembra quasi strizzare l’occhio a produzioni decisamente teen, in pratica lo standard che sembra essersi imposto negli ultimi anni, ma fortunatamente basta poco per capire che viaggiamo su binari ben diversi (e più accidentati, pericolosi). Sballottati tra due piani temporali distinti (passato/presente) assistiamo ad un vero e proprio climax di tensione ed orrore, ad una storia potente dai toni gotici, antichi, eppure terribilmente vicina, attuale, senza tempo.
L’antagonista in questione è… uno specchio. Elemento usato ed abusato nella cinematografia del terrore, d’accordo, da Candyman a Mirrors, ma questa volta… beh, è diverso. Originalità e novità sono proprio i termini che assocerei al lungometraggio di Flanagan, ed è una manna dal cielo visti i lavori “simili” dell’ultima decade. Si passa da dialoghi senza impegno e battutine da B-movie a sequenze imponenti, spaventose, gonfie di una paura primordiale, la stessa che ci tormentava – da bambini – non appena sentivamo il clic dell’interruttore e si spegneva la luce.
Horror puro, diretto, psicologico… il migliore, per farla breve.
Se amate il genere non potete lasciarvelo scappare, sul serio.
Non è un capolavoro, ma un ottimo lavoro assolutamente sì.

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A noi ricorda…

 Project Zero: conosciuto anche come Fatal Frame, è il gioco (o i giochi, vista l’eccellente saga che ne è derivata) che fa per voi nel caso siate disposti a prendervi qualche spontaneo, memorabile spavento. Come nel film qui sopra si gioca sull’introspezione, ad un livello più profondo e viscerale rispetto alla maggior parte dei titoli simili. Un po’ attempato, ma consigliatissimo!

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Ci si aggiorna settimana prossima, con la recensione del secondo capitolo di Nymphomaniac !

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