Prince of Persia: The Lost Crown – Recensione

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Il ritorno del Principe

Prince of Persia: The Lost Crown – Recensione
Prince of Persia: The Lost Crown – Recensione
Data di Uscita:Genere:, Sviluppatore:Editore:Versione Testata:Piattaforma:, , , , ,

La saga di Prince of Persia, il cui capitolo qui preso in esame può essere recuperato da GameStop a questo link, è ricca di storia e prestigio. Fedele al genere action/adventure, sin dal primo capitolo che risale al lontano 1989, ha saputo evolversi in molti modi differenti, adattandosi ai nuovi tempi e gettando le fondamenta per il suo erede spirituale (e qualcuno potrebbe affermare anche “legittimo”), ovvero Assassin’s Creed.

L’attesa di una nuova avventura ambientata tra le sabbie dell’Impero Persiano risale al 2009, ultima uscita di un capitolo della saga (non considerando le collection rilasciate seguito). Con questa nuova fatica casa Ubisoft, nella sua divisione di Montpellier, rilancia un brand sopito, ma al tempo stesso maturato come un buon vino lasciato a riposo in una botte, tornando alle origini con un 2.5D che sorprende e convince. Ambientazioni mistiche, puzzle ambientali, combattimenti avvincenti e un solido scheletro metroidvania. Ogni ingrediente di questo (nuovo) reboot promette bene e si presenta con rispetto nei confronti del passato facendo l’occhiolino all’impatto visivo moderno.

Per la prima volta nella saga, indosseremo i panni e maneggeremo le spade di un vero guerriero, e non di un principe. Sargon, che è anche il primo personaggio con effettivamente un nome e non un titolo reale della saga, ha carattere e personalità da vendere. Bene o male, ogni personaggio che popola le terre che esplorerete riesce ad avere una personalità ben distinta. Armato di due spade e di una grande agilità, il suo potenziale lo porterà ad acquisire poteri sovraumani durante l’avventura.

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Sargon fa parte di un gruppo di 7 formidabili guerrieri chiamati Gli Immortali. É il più giovane e inesperto, ma anche colui, appunto, con il potenziale per diventare il più forte del gruppo e la sua spavalderia in combattimento è un’arma che dimostra di saper usare in equilibrio con una disciplina ferrea.

Prince of Persia: The Lost Crown inizia catapultando il giocatore in mezzo ad una feroce battaglia, e già da subito viene dimostrata la potenza dei 7 Immortali. Guidati dal leader Vahram, pressoché da soli riescono a capovolgere le sorti della guerra, portando il regno della Regina Thomyris di Persia alla vittoria. Approfittando della confusione, che offre ai giocatori un ottimo tutorial, scopriamo tratti e personalità dei guerrieri, le gerarchie instauratesi all’interno del gruppo e le coordinate generali del mondo immaginifico ideato dagli artisti di Ubisoft. A battaglia conclusa, le vicende continuano dando il calcio d’inizio alla storia. In seguito al rapimento del (vero) Principe di Persia, Sargon e gli altri guerrieri si incamminano verso lo scenario in cui è ambientato il titolo: il famigerato e mistico Monte Qaf.

In questo capitolo riscoprirete un elemento di design molto caro ai fan della saga: poter giocare con il tempo

Il territorio in cui si evolve la mappa di gioco è una antichissima città, ricca di magia e segreti, ma soprattutto di biomi differenti. L’accuratezza e la cura riposta nella realizzazione delle ambientazioni è assolutamente impeccabile. Il Monte Qaf è la casa del Dio del Tempo e della Conoscenza Simurg, divinità qui ripresa e adattata dalla mitologia dell’antica Persia. In questo luogo riscopriamo un elemento di design molto caro ai fan della saga: la possibilità di giocare con il tempo, che in questo capitolo è ancora più al centro delle dinamiche di combattimento e risoluzione degli enigmi. Ne è testimone l’enorme statua all’ingresso bloccata a mezz’aria in un’eterna caduta per il suo crollo.

Entrati nella città i guerrieri decidono di dividersi (come in ogni episodio di Scooby-Doo che si rispetti) per cercare tracce del Principe, scoprendo poi come il tempo sia relativo e passi in maniera differente per ciascuno. I secondi diventano giorni, le timeline si intrecciano e ogni creatura in vita è corrotta da una sorta di maledizione. Qualcuno direbbe “il tempo, è stagnante”.

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Il Monte Qaf presenta un totale di 13 biomi distinti, ciascuno intrecciato con maestria e intelligenza svelando piuttosto rapidamente la brillantezza e briosità del level design. I luoghi variano tra biblioteche immense, prigioni, reti fognarie, una enorme foresta e molto altro. Piccola nota negativa per la meccanica di viaggio rapido che si sblocca dopo qualche ora di gioco, e che non è esattamente “rapido”: esistono infatti dei portali per teletrasportarsi in alcuni luoghi chiave, ma non c’è modo di raggiungerli se ci si trova nel mezzo di una zona, e non sono presenti ad ogni checkpoint, ma solo in determinati punti specifici. Ciò rallenta parecchio l’esplorazione, rendendo anche tedioso il dover vagare ripercorrendo zone già viste e riviste, nonostante si voglia solo proseguire nell’avventura.

A proposito di esplorazione, il titolo offre due interessanti modalità di gioco: la prima è mirata ad un pubblico fan dei metroidvania, lasciando scoprire al giocatore il mondo di gioco e fornendo poche informazioni base sia in game, che nella mappa di gioco. Viceversa la seconda è più guidata, elargendo indicazioni sui punti di interesse e di missione, i passaggi disponibili e quelli bloccati, eccetera. In aiuto, per entrambe le modalità, farete presto la conoscenza di Fariba, la guida, una bambina abitante della città che sembra saperne molto di più di quello che dice, ma che è disposta ad aiutare il nostro guerriero con consigli e indizi, nonché fornendogli anche pezzi di mappa (al giusto prezzo, beninteso).

Bisogna fare propria la tecnica del parry, imparare ad utilizzare le schivate, padroneggiare le combo di attacco

La difficoltà invece si divide su 4 livelli, ma non solo. É infatti possibile impostare diversi parametri come la resistenza dei nemici, i danni che si subiscono, quelli inflitti, eccetera. Ciò permette un livello di accessibilità altissimo, e lancia sfide interessanti al giocatore, invitandolo a sperimentare.

In una zona chiamata Il Rifugio (ovvero l’hub centrale) si scopre l’esistenza di vari NPC utili alla causa. Tra questi, uno dei più importanti è la mercante, chiamata La Maga, dove si potranno comprare potenziamenti e amuleti. Presso il fabbro invece, la Dea Kaheva, è possibile fare propri bonus  per amuleti e armi. Infine, sarà presente Artaban, il più anziano dei 7 Immortali, che preferirà ritirarsi dal combattimento per addestrare Sargon, costituendo così un pratico tutorial con tanto di ricompense per ogni task completata correttamente. Tutti queste feature sono piuttosto classiche per i giochi di questo genere, ma non è scontato trovarli, specialmente ben caratterizzati e coerenti con la narrazione come in questo caso.

Il gameplay, dal canto suo, è sufficientemente variegato, e lo scheletro metroidvania permette, in una piccola parte, di  adattare il proprio stile di gioco alle meccaniche. Sono infatti presenti degli amuleti che Sargon indosserà al collo, che garantiscono perks e modificatori. Alla fine della fiera, ciononostante, rimane comunque necessario giocare secondo le regole base: bisogna fare propria la tecnica del parry (quanto mai fondamentali in questo titolo), imparare ad utilizzare le schivate, padroneggiare le combo di attacco. Ultima, ma non per importanza, l’intrigante meccanica legata all’Athra, l’energia sacra che permea ogni cosa vivente. Riempita la specifica barra, permette di utilizzare 10 mosse speciali (2 equipaggiabili alla volta) come lo smite, attacchi a distanza, creazione di zone di cura, eccetera.

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Infine, ecco tornare l’elemento del tempo come protagonista: lungo il viaggio Sargon collezionerà le Piume di Simurgh (che appunto, nella mitologia persiana è un uccello mistico), che gli permetteranno di acquisire poteri legati al tempo e anche allo spazio. Queste sono di vario tipo. C’è per esempio il classico dash/scatto in avanti, che permette di raggiungere sporgenze altrimenti irraggiungibili, ma utilizzabile anche in battaglia come schivata aggiuntiva, con tanto di iconica camminata sul muro in certe circostanze. Un’altra abilità riguarda la possibilità di vedere elementi di altre dimensioni, consentendone l’interazione (principalmente utile nel parkour aereo). O ancora, la possibilità di creare un segno nel tempo, percorrere un percorso e tornare indietro (permettendo di sbloccare percorsi altrimenti impossibili). Non manca nemmeno il doppio salto e ci sono tante altre skill che l’avatar sfodererà durante il corso dell’avventura.

Un’altra arma che si ha a disposizione è l’arco che viene trovato in coppia con un Chakram boomerang. Al di là della comodità del colpire nemici aerei, o della risoluzione di enigmi ambientali (come colpire dei fiori che, aprendo i propri petali, creando piattaforme su cui saltare), in combattimento non sono armi eccezionali, sebbene tornino utili in situazioni ben specifiche e circoscritte.

Per quanto riguarda il controllo di gioco, forse tocchiamo il tasto più dolente. Per quanto la risposta sia immediata, e i controlli fluidi, Sargon risulta leggermente lento. Non in termini di input delay, beninteso, ma nel momento in cui si effettua un rapido cambio di direzione, e si sta affrontando un nemico particolarmente scaltro come un boss, ecco che risalta questa lentezza insita nei movimenti stessi, tale da far perdere millisecondi determinanti per la riuscita della schivata. Questa caratteristica, unita a una hitbox che in alcune circostanze è risultata non precisa, e al parry che richiede un timing quasi perfetto, rende certe situazioni fin troppo ostiche ed inutilmente complesse. Nonostante ciò, la filosofia di fondo del gioco è legata al trial and error, quindi è anche giusta la dose di sfida che presenta.

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È proprio la meccanica del parry a risultare fondamentale nell’approccio al nemico. Dai semplici soldati cadaverici alle bossfight contro grandi creature, ogni battaglia richiede un determinato approccio, ma il parry è sempre la soluzione, perfino contro le cariche in picchiata dei nemici aerei come uccelli diabolici e insetti mostruosi. Le tipologie di nemici variano principalmente in categorie come soldati, arcieri/maghi (parecchio fastidiosi nella distanza) e lancieri con scudi difficilmente penetrabili. Sono presenti anche nemici più o meno corazzati con ascia, che in aggiunta di quelli standard rischiano di sopraffare il giocatore facilmente, e nemici esclusivi della zona in cui il giocatore si trova, come una specie di indigeni sciamani e guerrieri delle foreste, o ratti antropomorfi ninja nelle fogne con dardi avvelenati, o ancora degli enormi e robusti Ent (alberi senzienti). Il design di questi nemici in particolare spicca e risulta in linea con l’ambientazione in cui si trovano, dando coerenza sia visiva, che narrativa.

Durante il percorso ci si troverà ad affrontare nemici specifici, come mini-bossfight e bossfight, ciascuna con il loro livello di difficoltà. Nel caso delle bossfight principali, sarà possibile, in caso di sconfitta, riprovare respownando direttamente nella battaglia, tagliando buona parte della tediosa meccanica di dover ripercorrere il percorso dal checkpoint. Aggiunta molto apprezzata, data la natura trial and error presente anche in questo caso e menzionata in precedenza. Ogni bossfight, come detto in precedenza, richiede uno studio riguardante il pattern e approccio: non si tratterà unicamente di bestie mitologiche o chimere mostruose, e inoltre sarà necessario sperimentare con i propri power up e equipaggiare i talismani giusti per guadagnarsi la vittoria.

Sorprendente la quantità di Side Quest e collezionabili del titolo, che vanno a creare quel giusto equilibrio tra l’effetto “brodo allungato” e l’arricchimento di trama e di ambientazione. Oltre le circa 25/30 ore di missione principale, quelle secondarie si vanno a mescolare egregiamente con l’ambiente, facendoci conoscere nuovi personaggi e soprattutto come sono stati influenzati dalla maledizione del Monte Qaf. Per non parlare di come alcune di queste vanno a strizzare l’occhio ai fan con chicche e easter egg intriganti, dando il giusto (e qualcuno direbbe, doveroso) livello di fanservice.

Conclusioni

Prince of Persia: The Lost Crown è un metroidvania che ci ha piacevolmente sorpresi praticamente in ogni ambito.

Lo stile artistico modella scenari, nemici, personaggi ben contestualizzati e originali quanto basta. Il level design si attesta su ottimi livelli, con enigmi ambientali e ostacoli ben distribuiti negli scenari. Anche il combat system, che beneficia di armi e amuleti con cui equipaggiare il protagonista, è complesso e profondo al punto giusto. Tra parate, schivate e abilità di ogni genere, alcune dei quali sfruttano anche i poteri del tempo, ognuno potrà amalgamare il proprio stile di combattimento.

A questo proposito, concorrono a rendere l’avventura più trasversale che mai le tante opzioni con cui è possibile giocare per impostare il giusto livello di difficoltà in base alla sfida desiderata. Sia neofiti, che esperti, insomma, troveranno il giusto equilibrio tra complessità e ricompensa.

Peccato solo per qualche minuscola sbavatura nella gestione delle hitbox e in un ritmo di movimento del protagonista lievemente sotto le aspettative.

Se tuttavia non vedevate l’ora di tornare nell’antica ed esotica Persia, Prince of Persia: The Lost Crown rappresenta a tutti gli effetti un grandissimo ritorno del brand di Ubisoft.

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Good

  • Ottimo Level Design
  • Livello artistico altissimo
  • Moltisismi livelli di difficoltà

Bad

  • Controllo personaggio e hitbox non sempre precisi
8.8

Imperdibile

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