Murasaki Baby – Recensione

Murasaki Baby – Recensione

Avete mai sentito della musica, dei rumori, dei suoni provenire da un uovo? Io no. Eppure Massimo Guarini, mente visionaria dietro questo prezioso Murasaki Baby, qualcosa deve pur averlo sentito: forse l’eco di nuove e coraggiose idee, le stesse scolpite sotto al moniker del suo studio, di recente apertura? O magari un sussurro, angosciante e morboso, che gli ha ispirato una delle creazioni più curiose per PS Vita?

E che abbia inciso quelle stesse note e le abbia inserite di soppiatto nel lettore MP3 di qualcuno ai piani alti di Sony, note che, come sirene, han spinto il colosso nipponico ad investire risorse in una nuova IP, esclusiva per la sua bistrattata handheld, messa al mondo in un angolo del pianeta che poco ha avuto a che spartire, purtroppo, con il game development che conta, almeno sino a pochi anni fa? Di sicuro, la prima creatura di Ovosonico, promettente team varesino, è una gemma grezza, frutto di esperienza pluridecennale delle menti coinvolte e di un bisogno impellente di arricchire il panorama videoludico, riuscendoci quasi pienamente, con un qualcosa di fresco, nuovo, e davvero unico.

L’approccio con il quale Murasaki Baby accoglie il giocatore sembra un vero e proprio ossimoro: la buffa creaturina che dovremo accompagnare lungo l’intera avventura alla ricerca della sua amata madre andrà infatti presa letteralmente per mano grazie al touchscreen di PS Vita, trascinandola in un mondo 2D collocato in un’altra dimensione, in cui i sorrisi si trovano agli antipodi della loro attuale posizione, ma non per questo trasudano meno gioia o spensieratezza di quelli “umani”, nonostante i pochi denti, i pochi capelli, e il poco calore posseduto dalla piccola protagonista e dagli strambi personaggi che incontrerà sul suo irto cammino.

Peccato che nessuno prenderà per mano noi: niente classico tutorial, niente classiche spiegazioni, niente classiche frecce direzionali, per un titolo che di “classico” ha davvero ben poco, nel senso buono del termine. Qualche spartana indicazione che ci invita ad avvicinare il polpastrello all’OLED della bistrattata handheld, la voce disperata della tenera protagonista e via, verso il folle mondo partorito da Ovosonico.

In un tripudio di bianco e nero, a spiccare è il viola di un palloncino, vero e proprio co-protagonista, la cui sopravvivenza decreterà il nostro trionfo o un game over. Molte insidie ci aspettano, vestite da denti lanciati da misteriose creature, bestie volanti dalla forma di spilla da balia, o da neri mostriciattoli monoculari, così come da rovi e massi, e sarà nostra premura far avanzare la bambina (ma non mettetele fretta, o inciamperà!) e, al tempo stesso, schivare nemici o elementi avversi, toccandoli o sfruttando l’altra nota di colore presente sullo schermo.

L’intelligente implementazione dei comandi touch ha portato Ovosonico ad utilizzare brillantemente il touch-pad posteriore della console, trasformandolo nell’arma principale nelle mani del giocatore, così come la chiave di volta dell’intera esperienza: lo sfondo sarà infatti “intercambiabile” e multicolore, ma non solo per banali velleità estetiche. Ogni colore e scena illustrata in lontananza rappresenterà lo “stato d’animo” del mondo, il quale reagirà a questo cambiamento imposto dal giocatore/deus ex machina offrendogli dei curiosi “strumenti” coi quali interagire col mondo stesso, risolvendo i numerosi puzzle ambientali proposti dal team.

Toccando il retro di PS Vita sarà così possibile far confluire elettricità in uno specifico punto dello schermo, spostare piattaforme o veicoli, scatenare una folata di vento, rimpicciolire la protagonista, o far spaccare massi dal movimento tellurico provocato da un gigantesco bestione nello sfondo, sino al capovolgere il mondo intero e a passare da una piattaforma all’altra ruotando la console stessa. Questi sono solo alcuni esempi del vasto campionario di trovate escogitate dal team per stimolare la nostra fantasia, messo a disposizione per tenere in vita il palloncino e per permetterci di far avanzare la timorosa creatura, terrorizzata dal buio, dal vuoto, e da qualsiasi cosa si muova su schermo, la quale ci segnalerà il suo disagio con smorfie e piagnucolii simpatici e toccanti.

Ma a complicare le cose ci penseranno dei misteriosi personaggi, ognuno intrappolato in una tragedia intima e personale, della quale ne sapremo di più interagendo con loro o osservando i loro ricordi, senza il bisogno di discorsi o intricati dialoghi. Progredendo nella ricerca della figura materna, la varietà dei puzzle aumenterà esponenzialmente, così come la difficoltà degli stessi, andando però incontro ad un importante limite della produzione: l’interfaccia tattile si mostrerà in più di un’occasione scomoda e confusionaria, in particolare nei frangenti in cui bisognerà alternare rapidamente più di un “mood”, magari ruotando la console, toccando il retro e al contempo uccidendo qualche mostriciattolo volante. E quando ci si mettono anche dei controlli a tratti poco precisi e reattivi, la frustrazione rischia di far capolino. Il tutto è a conti fatti uno scotto da pagare per via del buonissimo ritmo di gioco che non annoia mai, scandito da un valido numero di puzzle, che, pur formando un quadro generale poco coerente, riesce a stimolare costantemente il giocatore. Un destino condiviso con titoli prepotentemente innovativi come Metrico, in cui la sperimentazione coi controlli di Vita ha portato ad esperienze sì originali, ma non prive di scomode fruizioni.

Il vero tocco di classe è però l’essenza artistica che Murasaki Baby trasuda da ogni pixel e nota e rumore, e definirlo, complice la durata, un lungo “videoclip interattivo“, non è forse un’idea così squinternata. L’occhio vuole  sempre la sua parte e qui ne avrà una grassa porzione, grazie ad un design così dannatamente fresco, originale e personale, in cui disturbi psichici e tenerezza si uniscono in un sodalizio maledetto da una sinfonia di versi, singulti, “Mommy?” desolanti e una colonna sonora spesso protagonista, composta da brani eterei, a tratti onirici, indissolubilmente connessi a ciò che accade su schermo e ai passi impacciati della creatura di cui abbiamo le redini. Una sinergia visiva e sonora che giustifica l’affermazione qualche riga più in su, colpa anche di una durata davvero misera (meno di un pomeriggio), ma che ben calza l’abusatissimo “breve ma intenso”.

Tentacoli, porte dalle ardite forme e colate di pece che riempiono i contorni delle morte figure che si stagliano su uno sfondo divorato da ondate monocromatiche alternate dalle esigenze ludiche imposte dal giocatore: questo e molto altro vi attende in una produzione che, seppur possibile da divorare in tre ore circa, vi lascerà dentro, una volta completata, un misto di vuoto, compassione e affezione.

Il vero tocco di classe è però l’essenza artistica che Murasaki Baby trasuda da ogni pixel e nota e rumore, e definirlo, complice la durata, un lungo “videoclip interattivo“, non è forse un’idea così squinternata. L’occhio vuole  sempre la sua parte e qui ne avrà una grassa porzione, grazie ad un design così dannatamente fresco, originale e personale, in cui disturbi psichici e tenerezza si uniscono in un sodalizio maledetto da una sinfonia di versi, singulti, “Mommy?” desolanti e una colonna sonora spesso protagonista, composta da brani eterei, a tratti onirici, indissolubilmente connessi a ciò che accade su schermo e ai passi impacciati della creatura di cui abbiamo le redini. Una sinergia visiva e sonora che giustifica l’affermazione qualche riga più in su, colpa anche di una durata davvero misera (meno di un pomeriggio), ma che ben calza l’abusatissimo “breve ma intenso”.

Tentacoli, porte dalle ardite forme e colate di pece che riempiono i contorni delle morte figure che si stagliano su uno sfondo divorato da ondate monocromatiche alternate dalle esigenze ludiche imposte dal giocatore: questo e molto altro vi attende in una produzione che, seppur possibile da divorare in tre ore circa, vi lascerà dentro, una volta completata, un misto di vuoto, compassione e affezione.

In conclusione…

Con Murasaki Baby, il nostro paese, ricco di valide ed interessanti realtà indipendenti, si presenta al mondo con una produzione di respiro internazionale, presentata durante eventi di risonanza mondiale e apprezzata dalla critica di ogni angolo del globo. Complice l’esperienza delle figure coinvolte, la scommessa di Sony può dirsi vinta “in gran parte”: l’unico vero problema di questa toccante (in ogni senso) opera sta proprio nei limiti tecnici del suo hardware, sfruttato in maniera completa da Ovosonico, costretto però a sacrificare, in alcuni frangenti più ritmati e intricati, intuitività ed accessibilità.

L’inconfondibile stile grafico, le splendide musiche e il sound design di Ricciardi, così come la visione creativa di Guarini, portano comunque Murasaki Baby ad un livello qualitativo e ad un fattore originalità che raramente abbiamo potuto ammirare qui come altrove, un’esperienza brevissima e dotata di una rigiocabilità pari a zero, ma ricca di emozioni e di puzzle semplici ma appassionanti.

Solo una direzione artistica di primordine e gli ambiziosi intenti di Ovosonico potevano creare un titolo spettrale, ma carico di una tenerezza pronta a riempirvi il cuore dall’inizio alla fine.

Voto: 7,5/10

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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