destiny 2
27 Dic 2017

Destiny 2: La Maledizione di Osiride – Recensione

Con La Maledizione di Osiride si apre finalmente la giostra dei contenuti extra in Destiny 2, la cui necessità è stata espressa più volte dai fan già da qualche settimana. Destiny 2 ha del resto lasciato i giocatori in un endgame relativamente povero di contenuti e votato più che altro all’accumulo di armi, armature e frammenti leggendari. Nemmeno l’Incursione, nonostante una struttura ben diversa da quella vista nel primo capitolo, ha potuto dare continuità all’esperienza. Di base, se proprio vogliamo fare un confronto con il primo Destiny, mancano quelle attività come la Prigione degli Anziani e la Forgia degli Arconti. È vero che entrambe queste sfide sono state introdotte dopo il lancio, ma era anche lecito aspettarsi che Destiny 2 avesse fin dall’inizio una quantità di cose da fare superiore rispetto al primo capitolo.

Con La Maledizione di Osiride non viene però introdotto molto di nuovo da fare dopo la fine del gioco. Partendo però dalle missioni, esse vanno a creare una linea narrativa parallela, il cui concetto è molto interessante, ma sfruttato in modo approssimativo. Sono ancora una volta i Vex a rappresentare una minaccia grazie alla loro abilità di manipolare il tempo ed essere sempre nel posto giusto al momento sbagliato (per i Guardiani). Osiride li studia ormai da anni, ma viene comunque sopraffatto dalla loro potenza: prigioniero del tempo, il Guardiano deve dunque salvarlo e sconfiggere la mente che sta dietro a tutto questo, un enorme Vex con sembianze da Idra.

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Potenzialmente si tratta di una trama molto interessante. Giocare col tempo e con tutte le sue dimensioni parallele è qualcosa che ha sempre affascinato chiunque e permette di muoversi in grandi spazi per sperimentare. C’è però un mistero, partito da Destiny 1 e ancora presente dopo anni: Bungie sembra porsi un freno automatico quando si tratta di dare il 100% ai giocatori e portare l’esperienza di gioco proprio come dovrebbe essere. Una storia così non può essere sintetizzata in poche missioni, ma va approfondita accuratamente e collegata alla trama principale.

Nelle varie missioni, quasi tutte su Mercurio, si passa attraverso un sistema di simulazioni, utilizzato dai Vex per studiare i nemici e diventare così temibili in ogni dimensione temporale. Per questo è dunque necessario sempre entrare in un portale e passare in varie aree create dalla simulazione prima di arrivare alla missione vera e propria: l’idea alla base è carina, ma la realizzazione stufa dopo la terza volta, quando si smette di sparare e ci si concentra semplicemente sulle porte da aprire per arrivare al secondo portale. Del resto non è necessario uccidere più nemici possibile per raggiungere il nuovo level cap di 25, poiché la progressione è relativamente veloce con ogni fine di missione.

Forse solo le battaglie finali coi boss Vex e Cabal sono interessanti per il level design e per la loro durata, ma il resto dell’esperienza è molto in linea con tutto ciò che si è visto in Destiny 2. Poco cambia infatti quando si guarda alla nuova mappa e allo spazio sociale su Mercurio: entrambi sono di una dimensione ridicola, nettamente minore rispetto a tutti gli altri e per questo non hanno grandi attività da intraprendere dopo la fine delle missioni. Non ci sono tutte le casse segrete che si possono trovare sugli altri pianeti, né tanto meno una valida quantità di settori perduti da esplorare.

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Senza dubbio, però, la caratteristica che più delude è la propensione ad utilizzare continuamente la struttura della simulazione per allungare artificiosamente le missioni e il gameplay in generale. Questo concetto rimane anche nei due nuovi assalti: essi non sono altro che le due missioni più complicate della linea narrativa, ma riproposti con piccolissime caratteristiche in più. Non appena giocato il primo assalto, la sensazione è quasi quella della presa in giro, specialmente pensando a quanto fossero belli gli assalti di Destiny 1. Sembra quasi che gli sviluppatori non abbiano avuto nemmeno la voglia di sprecarsi nella creazione di nuovi assalti.

Di fatto l’unico grande cambiamento è nel campo estetico con l’arrivo di armi prodigiose e nuovi modi per personalizzare il proprio personaggio. Del resto Destiny 2, come il primo capitolo, gode di una direzione artistica eccezionale, sia per la grafica globale che per la bellezza dei suoi panorami. Questo rappresenta però un castello di carta se non c’è sotto una valida struttura a reggere il tutto: con il primo DLC, Bungie fallisce dunque nel portare ai giocatori nuovi contenuti in cui tuffarsi.

Bungie fallisce nel portare ai giocatori nuovi contenuti in cui tuffarsi

In tutto questo c’è però la nuova Incursione, anche se non è esattamente questo il termine giusto per definirla. Di fatto è una versione ridotta che va ad esplorare le profondità del Leviatano per incontrare la resistenza dei Vex. Forse è soggettivo da parte del sottoscritto, ma è stato bello ritrovare i Vex in una Incursione dopo parecchio tempo. La Volta di Vetro ha rappresentato il primo sfondo per questa modalità e dunque è passato alla storia come forgia per le esperienze successive. Il Divora-Mondi è un insieme di lotte continue contro i nemici che richiede grande collaborazione per la presenza di sezioni platform. I lupi solitari sono dunque da ammaestrare e integrare nel gruppo, cosa non esattamente facile quando si trovano giocatori tramite la ricerca casuale o applicazioni esterne LFG. Il tempo richiesto per completare la missione si riduce ovviamente dopo ogni completamento, ma già dall’inizio non risulta essere molto. Se da un punto di vista ciò concorre a rendere questa modalità più friendly nei confronti di tutti i giocatori, non bisogna dimenticarsi che quasi tutte le espansioni di Destiny 1 contenevano un Raid completo all’interno. Bene dunque, ma non benissimo.

Conclusioni

Globalmente, La Maledizione di Osiride non è un contenuto entusiasmante, con l’Incursione che rappresenta l’unica novità in grado di stare a galla. Il fatto che però sia una modalità di nicchia, riservata a chi ha tempo da dedicare e amici con cui collaborare, rende ancora più compromessa la situazione di Destiny 2. Non era così che i giocatori volevano la prima espansione, che rappresenta non tanto un passo indietro rispetto alla base, bensì una stasi prolungata nel limbo di Bungie, ormai fossilizzata sul “potrei, ma non voglio”.

Dopo qualche settimana dall’uscita del DLC c’è dunque già voglia del prossimo, oppure addirittura di un Anno Due interessante come quello dei Corrotti per Destiny 1. Ma di sicuro non è una notizia positiva per nessuno.