The Last Guardian – Recensione

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L'attesa è finita, dopo 10 anni...

The Last Guardian
The Last Guardian

The Last Guardian un'indimenticabile storia di cameratismo, fiducia e straordinarie avventure in una misteriosa terra mistica. Quando un giovane incontra una colossale e misteriosa creatura di nome Trico, la coppia crea un legame profondo e indissolubile che li aiuterà a sopravvivere fra le pericolanti rovine e gli ostili pericoli che li circondano.

Data di Uscita:Genere:PEGI:Sviluppatore:, Editore:Versione Testata:

Ci sarebbero svariati aneddoti da raccontare, legati al nome di The Last Guardian. Dal suo lontano annuncio sulle pagine di Famitsu nel 2007, sfuggito forse a gran parte di quegli stessi occhi che, soltanto due anni dopo, restarono estasiati di fronte al trailer preparato ad arte da Fumito Ueda in occasione dell’E3. Potremmo raccontarvi dell’attesa spasmodica, fiera dopo fiera, di riveder emergere dalle proprie ceneri un progetto dato per vivo e vegeto, poi sospeso, poi addirittura cancellato dal pianeta PlayStation 3 e, all’apparenza, destinato ad un Limbo impietoso da cui le assenze annuali agli appuntamenti più importanti lasciavano presagire poco di buono. Potremmo dirvi di quella gioia dirompente, esplosiva, incontenibile dalle pareti della Memorial Sports Arena quando, nel 2015, un timido Ueda nascosto tra le prime file del pubblico veniva letteralmente sommerso dalle grida e dalle lacrime di un pubblico esterrefatto, forse incapace di credere che, dopo tutto questo tempo, The Last Guardian era reale. Non vicinissimo, e ancora particolarmente acerbo nonostante il lungo e travagliato periodo di gestazione. Ma era reale, e poco altro importava.

Già, potremmo raccontarvi decine e decine di altri momenti legati a The Last Guardian. Alcuni quasi intimi e personali, come può essere la prima volta in cui puoi davvero accarezzare quel Trico che da tanto tempo aspetti e su cui, inutile nasconderlo, un po’ avevi perso le speranze. Oppure altri in cui ok, manca davvero poco all’arrivo del terzo capolavoro annunciato di Ueda, quella proverbiale chiusura del cerchio aperto anni or sono da Ico e Shadow of the Colossus, e nemmeno una prova di The Last Guardian in ambiente “tranquillo” e senza l’ossessione del tempo basta a placare la tua fame, la tua curiosità, quella stretta allo stomaco che provi quando uno dei tuoi oggetti del desiderio diventa reale.

Difficile ricordare, a memoria di giocatore, un titolo atteso da tempo come The Last Guardian. Un titolo, nel bene o nel male, capace di accompagnare due generazioni di hardware PlayStation, di continuare a far parlare di sé anche quando le luci dei riflettori emanavano soltanto un raggio pallido, di polarizzare attenzione e desiderio di un pubblico dell’ordine di sei zeri tornato a gridarne il nome a gran voce, dopo l’inaspettato ritorno, E il motivo, nonostante tutto, è forse più semplice del previsto. Sarà lo zampino di Fumito Ueda, quel taciturno architetto di mondi onirici i cui dedali architetturali sembrano sfuggire alle regole del tempo, o sarà il costante richiamo alla lore di un universo che, chiunque abbia osservato da vicino ai tempi di PlayStation 2, ricorda ancora nitido dopo tutto questo tempo: ma nonostante siano passati già quasi dieci anni, di fronte a The Last Guardian siamo ancora emozionati come fosse il primo giorno. E se non è “magia” questa, diteci voi cos’è…

The Last Guardian

Non è facile presentare un’analisi oggettiva e distaccata di un prodotto come The Last Guardian. Difficile, difficilissimo esulare anche solo un istante dalla forte componente emotiva ed introspettiva dell’ultima opera di Ueda, limitandosi ad analizzarne il solo gameplay – dalla chiara matrice ispirata ad Ico – ed elencandone pregi e difetti tecnologici. Non che a tal proposito ci sia poco da raccontare, ma è impossibile non abbandonarsi per qualche paragrafo ad una recensione più “di pancia” che “di testa“, cercando di trasmettere fin dove possibile l’incredibile scarica emozionale che, sin dai primi minuti di gioco, The Last Guardian regala al giocatore.

Da una parte c’è Trico, il Divoratore di uomini, una bestia dalle fattezze di un grifone eterna e giurata nemica dell’essere umano, Una belva ancestrale, imbattibile, portatrice di morte spietata la cui efferatezza è nota ovunque, anche nel più piccolo villaggio sperduto tra le colline. Proprio quel villaggio da cui proviene il nostro piccolo protagonista, un ragazzino senza nome strappato dalla propria vita di tutti i giorni per svegliarsi ricoperto di misteriosi tatuaggi a pochi passi dal letale predatore. Un predatore ferito, immobilizzato dalle catene che lo aggrovigliano al suolo limitandone quasi del tutto i movimenti, le cui carni sanguinanti sono lacerate da ferite profonde. C’è un profondo mistero nell’incipit di The Last Guardian, l’assenza assoluta di una motivazione che determini l’incontro di queste due figure, una così lontana dall’altra. Ma c’è una creatura sofferente al suolo, destinata a morire se non aiutata in tempi rapidi: e allora al diavolo secoli di inimicizia, di odio, al diavolo quel senso di pericolo che risuonerebbe nel cranio di qualsiasi persona dotata di senno, spingendola ad allontanarsi il più possibile dal proprio potenziale carnefice. Il piccolo uomo si avvicina a Trico, che sbuffa, scalpita, ruggisce minaccioso rivolgendogli occhi iniettati di odio: ma la secolare diffidenza della creatura non è sufficiente a tener al proprio posto il coraggio del moccioso, che caparbiamente rimuove una dopo l’altra le lance conficcate nel dorso dell’animale prima di finir scaraventato contro una parete privo di sensi.

La magia di The Last Guardian è la capacità di delineare i tratti di un’amicizia profonda per piccoli passi, di tessere i fili di due vite intrecciandoli più volte su sé stessi, fino a renderli un unico filo indissolubile.

Ma è qui che le cose cambiano, e dove la parabola di Ueda ha inizio. Gli occhi di Trico non sono più minacciosi, divampanti dall’odio atavico che solo pochi minuti prima ci ammoniva a fuggire il più lontano possibile: sono occhi verdi, intensi, quasi umani, che scrutano con curiosità e riconoscenza quel mucchietto d’ossa a cui, in un modo o nell’altro, si deve la vita stessa. C’è ancora diffidenza nell’aria, certo, ma le barriere razziali che separano le due creature iniziano pian piano a sgretolarsi, a crollare mattone dopo mattone lasciando spazio alla creazione di un’amicizia che va oltre i confini del tempo, Un’amicizia profonda, un legame di fedeltà totale ed incondizionato che lega indissolubilmente la vita di uno a quella dell’altro: il piccolo che sfama la creatura esausta e la accarezza, quasi fosse un cucciolo desideroso di attenzioni, e che inizialmente rivolge lo sguardo altrove per lasciarla mangiare in tranquillità, o lo stesso Trico che lo segue passo dopo passo, mugolando malinconico quando quest’ultimo si allontana per esplorare zone a lui inaccessibili.

La magia di The Last Guardian, al netto di una serie di elementi (world design in primis) che andremo ad analizzare nei prossimi paragrafi, è proprio questa: la capacità di delineare i tratti di un’amicizia profonda per piccoli passi, di tessere i fili di due vite intrecciandoli più volte su sé stessi, fino a renderli un unico filo indissolubile. Perché nessuno sopravvive da solo all’interno del Nido, mozzafiato location delle nostre indimenticabili avventure: e se presi singolarmente entrambi i protagonisti andrebbero sicuramente incontro ad un triste epilogo, la loro unione è così forte da renderli pronti a superare ogni difficoltà. Contando uno sull’altro, sulla devozione che reciprocamente li accomuna, sulla disponibilità di sacrificare la propria vita per quella dell’amico.

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Impossibile non provare un sussulto di fronte alla tenacia con cui Trico accorre in nostro soccorso, quando le armature che sorvegliano il Nido si animano magicamente e cercano in tutti i modi di trascinarci nell’oblio, o non sentire un brivido lungo la schiena quando, per calmare la belva inferocita, dobbiamo arrampicarci sulle sue piume sino al collo per placarne la rabbia con carezze e teneri bisbigli. Impossibile, allo stesso modo, non cedere alle lusinghe della commozione quando il nostro compagno giace ferito al suolo, immobile, incapace persino di afferrare i barili di cibo con le proprie forze e, ancora una volta, totalmente bisognoso del nostro aiuto per sopravvivere. The Last Guardian crea un legame empatico enorme, dirompente, che infrange lo schermo e colpisce dritto al cuore del giocatore, consapevole della propria responsabilità nei confronti dell’animale e, proprio per questo, in totale apprensione ogniqualvolta quest’ultimo compia un passo falso. Un qualcosa che in molti avranno già provato ai tempi di Ico con la giovane Yorda, ma qui ulteriormente amplificato dall’interdipendenza e dalla fedeltà reciproca dei due protagonisti.

Impossibile non cedere alle lusinghe della commozione

Parlando più di vicino del gameplay di The Last Guardian, la terza opera di Fumito Ueda ricalca da vicino gli stilemi introdotti dal già citato Ico (titolo decisamente più affine a questo, rispetto al meraviglioso Shadow of the Colossus), fornendo un ibrido di esplorazione e risoluzione di enigmi ambientali all’interno di un universo, per quanto vasto, complessivamente lineare. The Last Guardian non è certo un open world, nonostante l’impronta visiva che lascia, possa facilmente trarre in inganno: tuttavia, la linearità del Nido e delle numerose zone di cui si compone è un piccolo capolavoro di world design, tanto in termini di caratterizzazione – lo stile del designer nipponico è a dir poco evidente – quanto in quello che potremmo definire “tracking” del percorso. Raggiunte le zone esterne più alte, infatti, potremo quasi sempre ricostruire il percorso che lì ci ha condotti, restando interi minuti a contemplare le voluttuosità architettoniche che quasi magicamente si stagliano ad altezze inimmaginabili, confondendosi con cielo e nuvole. La verticalità rappresenta uno dei punti di forza del design di Ueda, funzionale – come del resto intuibile – alle doti di arrampicatore del nostro piccolo eroe. Eroe che, come nelle più classiche avventure tridimensionali, potrà saltare da una piattaforma ad un’altra, scalare cornicioni, catene o altri appigli utili, trasportare i già citati barili per sfamare il proprio “cucciolo” alato e, non certo ultimo, spostare, spingere o trainare specifici oggetti di scena atti alla soluzione di determinati enigmi.

Come ribadito più volte, la collaborazione rappresenta la chiave di lettura principale di The Last Guardian. Non è dunque casuale la possibilità di impartire a Trico specifici comandi, atti a velocizzare l’esplorazione delle aree proposte e, in gran parte dei casi, fondamentali a proseguire all’area successiva. Potremo intimare al grifone di raggiungerci, di muoversi verso una specifica direzione, di saltare o di ancorarsi con le zampe anteriori ad un cornicione normalmente inarrivabile, che diverrà ora accessibile “scalando” il compagno. La priorità, inutile dirlo, è l’esplorazione e il raggiungimento del prossimo punto di interesse: ma considerando la natura del luogo che ci ospita, la sua forte verticalità e le sue proporzioni tutto tranne che a portata di bambino (o, più in generale, di essere umano), renderanno fondamentali le doti di Trico per procedere. Saltare da una torre all’altra a centinaia di metri d’altezza, in effetti, risulterebbe alquanto problematico. Ultima ma non meno importante, potremo ordinare a Trico un attacco “energetico”, una sorta di scossa che proviene dall’estremità della sua coda per colpire uno specifico bersaglio, che andremo ad indicare noi stessi sfruttando un apposito scudo magico: inutile dire che si tratta di un espediente intelligente per dare profondità alla fase esplorativa, ma in un paio di casi potrebbe nascondere anche fini offensivi interessanti.

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La reattività di Trico ai nostri comandi rappresenta tuttavia un tasto alle volte dolente. Se per la prima metà di gioco abbiamo riscontrato una prontezza ragionevole nell’esecuzione dei comandi impartiti, non possiamo nascondere alcuni passi in cui siamo rimasti interi minuti ad attendere che il nostro tenero amico si decidesse sul da farsi. L’arrivo della patch 1.02 (al momento in cui vi scriviamo, l’ultima resa disponibile dallo sviluppatore) sembra aver apportato alcune migliorie alle routine di intelligenza artificiale di Trico, anche se “sul campo” l’unica soluzione valida che abbiamo trovato a problematiche di questo tipo è quella di impartire un solo ordine all’animale, aspettando una manciata di secondi prima di ribadire il concetto, piuttosto che ripetere ossessivamente il comando. Non vi nascondiamo, specie in un paio di passaggi, che l’attesa a cui siamo stati obbligati e il quasi totale disinteresse di Trico nei nostri confronti ci abbia indotto una certa frustrazione: ma, permetteteci la vena romantica, vogliamo pensare che anche il nostro nuovo amico abbia un’intelligenza propria e, nonostante la sua totale devozione, ogni tanto faccia “di testa propria”…

Se dunque per l’esplorazione nelle aree esterne l’apporto di Trico appare fondamentale (a tal riguardo, vale la pena sottolineare come in molte occasioni il grifone si sia mosso in perfetta autonomia, una volta aggrappati alla sua collottola, facendoci raggiungere la destinazione temporanea prima ancora che noi stessi la notassimo), nelle zone interne il discorso si fa leggermente diverso. L’organizzazione dei templi e delle altre strutture disponibili, per quanto esteticamente impressionante, si rifà molto alla tradizione del platform tridimensionale, con porte chiuse, percorsi inaccessibili, leve o interruttori con cui interagire per sbloccare una nuova zona – o, ad esempio, garantire a Trico un’accesso prima precluso. Non mancano tuttavia sequenze dove, ancora una volta, dovremo affidarci alle doti di saltatore del nostro compagno di viaggio: un’operazione scontata sulla carta, ma che complice un sistema di telecamere spesso inaffidabile appare difficoltosa e tediosa, anche solo nella fase di “arrampicata” sulle piume. I movimenti di Trico, che godono di un senso di realtà incredibile, uniti ad un inquadratura instabile e in fastidioso movimento, rendono difficile persino identificare la nostra posizione in relazione all’animale. L’introduzione dell’ultima patch, così come per l’intelligenza artificiale, pare aver fixato alcuni problemi in questa direzione: diciamo che, al netto della pazienza richiesta al giocatore per superare queste fasi più delicate, un pizzico di attenzione in più ad un problema già noto sarebbe stato gradito.

Difficile ricordare, a memoria di giocatore, un titolo atteso da tempo come The Last Guardian

L’esplorazione e la soluzione di enigmi, alcuni dei quali richiederanno di “utilizzare” Trico per il raggiungimento di specifiche aree, non esauriscono comunque la totalità del gameplay di The Last Guardian. In alcuni casi, ad esempio, dovremo vedercela con la “sorveglianza” del Nido, armature magicamente riportate in vita e attratte morbosamente dal nostro alter ego: al netto di una “spallata”, che allontanerà la minaccia soltanto di pochi passi, l’unica possibilità offerta dal titolo è quella di scappare dalle altrui grinfie, nell’attesa che il buon Trico riduca le armature ad un ammasso di ferraglia. Non sarà così raro, tuttavia, ritrovarsi da soli in mezzo al nemico con Trico bloccato dietro un cancello chiuso comandato da un interruttore: sarà dunque richiesta un minimo di astuzia per guadagnare metri preziosi e permettere al compagno di infilarsi quanto basta sotto il cancello, per poi compiere il proprio lavoro.

Se catturati dalle armature, avremo una manciata di secondi per far sparire dallo schermo, divenuto nero, una serie di engrammi e simboli mistici tramite un rapido button mashing: curiosa all’inizio, questa intuizione del team di sviluppo si dimostra alla lunga sin troppo semplice – nel corso dell’intera run, infatti, la cattura nemica non ha mai rappresentato un vero problema. Decisamente più fastidiosa è la presenza di nemici armati con scudi di vetro speciali, recanti l’effige di un occhio che, per motivi oscuri, terrorizza Trico: le stesse effigi che, nel corso dell’esplorazione, troveremo appese su impalcature sospese nel vuoto o in appositi carrelli mobili e che dovremo ridurre in frantumi per far avanzare il nostro animaletto. Inutile sottolineare come, in questi casi, sarà necessario “rompere” i fastidiosi scudi, per poi lasciare il resto del lavoro al reattivo Trico – ricordandoci di spendere qualche secondo per tranquillizzarlo con una carezza a lavoro concluso. Per onore di cronaca, sappiate che le famigerate Armature non saranno gli unici “nemici” a sbarrare la nostra strada verso la salvezza: ma preferiamo lasciare a voi il piacere della scoperta, evitandovi pericolosi ed immeritati spoiler.

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Sotto il profilo tecnologico, l’ultima creatura di Fumito Ueda mantiene fede alle aspettative del pubblico, pur assestandosi ad un livello non certo paragonabile ai recenti “top di gamma” di PlayStation 4. La direzione artistica, come già ribadito più volte, è quella che i fedeli di Ueda e di genDESIGN conoscono alla perfezione: un acquerello impressionante e coinvolgente, capace di levare il fiato grazie a scorci ispiratissimi e fortemente evocativi. Se gli interni non raggiungono un livello di dettaglio esagerato, pur enfatizzando la ricerca del mistico e di quella simbologia forte che chiunque abbia avuto a che fare con Ico e Shadow of the Colossus conosce bene, è nelle esterne che il game designer regala il proprio meglio: architetture altissime, imponenti, alle volte persino ingarbugliate, che bucano le nuvole forti di una verticalità e di una leggerezza che mai prima d’ora avevamo ravvisato in un videogioco. L’abbiamo già detto nel corso di questa lunga analisi e lo ribadiamo ancora una volta ora: è semplicemente impossibile non ritrovarsi a fissare per interi minuti il Nido, i suoi orizzonti sconfinati, le sue dedaliche strutture intrise di storia e allo stesso tempo di magia.

La lezione più grande e preziosa che Fumito Ueda poteva lasciarci

A fianco di un world design sontuoso possiamo solo plaudere al lavoro dello sviluppatore nell’aggiornamento del control schema, forse il Tallone d’Achille più pericoloso che avevamo riscontrato in una delle nostre prove iniziali. Al netto di una telecamera non sempre all’altezza il nostro piccolo alter ego non riserva spiacevoli sorprese, dimostrandosi gestibile sia nelle delicate arrampicate sospeso su cornicioni e catene, sia quando si tratta di scalare Trico (una meccanica, l’avrete intuito tutti, attinta a piene mani dall’avventura di Wander). Giudizio positivo anche per il parco animazioni, aggiornato e puntuale, capace di allontanare lo spettro legato alla nomea di “gioco da PS3” che, tra le fila dei detrattori, serpeggiava oramai da tempo. A tal proposito, ad averci colpito davvero positivamente sono le animazioni di Trico: fluide, nel complesso, e ragionevolmente articolate, regalano il meglio in quelle brevi sezioni in cui il “cucciolo” manifesta la propria natura animale. La spensieratezza nel fare un bagnetto in uno specchio d’acqua, l’immancabile grattata dietro l’orecchio, la gioia che si manifesta in un ruggito che riecheggia nella valle del Nido, in “piedi” sulle sole zampe posteriori. Dettagli piccoli, forse marginali, ma che noterete subito nel corso della vostra avventura: e se nel vederli compiersi dovesse comparire un sorriso sulle vostre labbra, capirete per quale motivo ci siamo innamorati perdutamente di quell’animale tanto strano quanto meraviglioso. E quanto, nonostante tutto, lui possa significare per noi.

Conclusioni

Dieci anni non sono certo pochi. Tanti ne sono passati dalla prima apparizione di The Last Guardian, tanti ne abbiamo trascorsi nell’attesa di una conferma, di una certezza, di una data di rilascio ufficiale che, una volta per tutte, allontanasse l’incubo di una famigerata cancellazione. Oggi, non serve nasconderlo, ritrovarsi a pochi giorni dall’arrivo nei negozi dell’ultimo titolo di Fumito Ueda è quasi incredibile: una sensazione strana, una gioia euforica frammista a commozione e malinconia. Dei sentimenti a cui, sin dai tempi di PlayStation 2, il leggendario game designer nipponico ci ha abituati bene, e che in questo dicembre 2016 (che, almeno nell’Industria del videogioco, verrà ricordato ancora per parecchio tempo) sembrano quasi bucare lo schermo attraverso gli occhi di Trico. Una creatura incredibile, la protagonista di The Last Guardian, tanto selvaggia nella forza e nella propria stessa natura quanto umana nell’affetto, nella devozione, nella fedeltà con cui si lega al proprio nuovo amico. The Last Guardian non è un titolo perfetto: soffre di difetti abbastanza evidenti in termini di sistemi di inquadratura, e alle volte la stessa intelligenza artificiale del proprio protagonista più emblematico è foriera di non pochi problemi, specie quando il tempo trascorso inutilmente valica l’ordine dei minuti. Eppure non è questo che ricorderete negli anni a venire, ripensando alla chiusura del cerchio delineato da Ueda con Ico e SotC: ricorderete l’amicizia, la lealtà, il sacrificio per il bene dell’altro, la devozione più assoluta che abbatte secolari muri ed ataviche inimicizie. Il tutto attraverso gli occhi penetranti di un enorme cucciolo piumato, che si getta a capofitto anche a costo della propria vita per difendere un piccolo uomo da creature minacciose, che “piange” quando questi si allontana di pochi metri per cercare una strada accessibile, che mostra la propria tenerezza quando, dopo una lotta od una scalata difficile, gli viene rivolta una carezza o una parola di affetto.

The Last Guardian è e rimarrà un titolo controverso, indicato a chiunque sia alla ricerca di qualcosa di più profondo, introspettivo ed emotivo del classico gameplay dal retrogusto action: un’avventura memorabile che rifugge dalla frenesia e dalla spettacolarità ad ogni costo, ma che va a toccare corde del cuore nascoste con una delicatezza e una poesia che, negli ultimi anni, avevamo quasi dimenticato all’interno di questo medium. Una piuma leggera, che oscillando sospinta dal vento cade al suolo: un’avventura, quella di The Last Guardian, che una volta fatta propria difficilmente non farà commuovere o riflettere il giocatore. Perché, nonostante le lecite critiche sul versante tecnologico, siamo più che disposti a chiudere un occhio, estasiati dal valore artistico di un’opera destinata ad essere ricordata, ed amata, per molto tempo. Perché quest’ultima passeggiata nel meraviglioso universo allegorico di Ueda ci ha insegnato una cosa: non esiste nemico, ostacolo o prigione così insormontabili che l’amicizia e la fedeltà incondizionata tra due esseri viventi così lontani, ma così profondamente legati uno all’altro, possano superare. E questo rappresenta forse la lezione più grande e preziosa che, con l’opera conclusiva di questo meraviglioso trittico, Fumito Ueda poteva lasciarci.

 

Good

  • Carica emozionale dirompente
  • Narrazione eccelsa, in perfetto stile Fumito Ueda
  • World Design da far girare la testa

Bad

  • La telecamera alle volte si dimostra ingestibile, rendendo difficile "scalare" Trico
  • IA di Trico non sempre reattiva e, in rare occasioni, frustrante.
9

Superbo

Bello, simpatico, intelligente e super esperto di videogiochi, ha sviluppato un'incredibile capacità nello scrivere cazzate.. Gioca ai giochini elettronici dall'86 e ci scrive a riguardo dal 2006 o giù di lì.. Ma non fateglielo notare, che poi si monta la testa..

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