Deadfall Adventures – La Recensione

Deadfall Adventures – La Recensione

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Prima di addentrarci nelle trappole di Deadfall Adventures, vediamo qual è il suo pedigree. Il gioco è prodotto da Nordic Games (recentemente sotto i riflettori per l’acquisizione di IP importanti dopo il fallimento di THQ, come Darksiders, Red Faction, Juiced e tanti altri) ed è sviluppato da un team polacco pressoché sconosciuto, The Farm 51, con alle spalle Painkiller: Hell & Damnation, un remake/sequel del primo capitolo.  I personaggi di Deadfall Adventure nascono invece dalla penna di Henry Rider Haggard, che pone Allan Quatermain al centro di molti dei suoi romanzi d’avventura. Se le premesse non vi sembrano delle più entusiasmanti, aspettate di conoscere il resto…

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Lo ameranno: i fanatici di Indiana Jones e dell’avventura.
Lo odieranno: quelli che cercano un po’ di spessore in un gioco
È simile a: Uncharted, Alan Wake

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Titolo: Deadfall Adventure
Piattaforma: Xbox 360 / PC
Sviluppatore: The Farm 51
Publisher: Nordic Games
Giocatori: 1
Online: Multiplayer online e locale
Lingua : Completamente in Inglese 

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Le ambientazioni hanno (quasi) sempre il loro fascino

Le ambientazioni del gioco hanno (quasi) sempre il loro fascino

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Questa storia l’ho già sentita…

Affrontare gli enigmi con una visuale in prima persona non è il massimo

Affrontare gli enigmi con una visuale in prima persona non è il massimo

La trama di Deadfall Adventure è la classica scusa per trascinare, con un barlume di senso, il giocatore in giro per dungeon da un punto all’altro del globo. Un’avvenente archeologa, stipendiata dagli Stati Uniti, chiede al belloccio Allan Quatermain di aiutarla nella ricerca di alcuni artefatti mitologici prima che questi cadano nelle mani dei perfidi nazisti alla ricerca di oscure forze per compiere il volere del Führer. Metteteci di mezzo anche dei russi sfregiati e con complessi di inferiorità, un po’ di mummie ispaniche del ‘600 e i soliti tradimenti e il gioco è fatto: avrete la vostra storia perfetta per giustificare l’esplorazione (e la distruzione) di antiche rovine sparse tra l’Egitto, l’Artico e il Guatemala. Ma i problemi sono sempre dietro l’angolo e non sono solo le trappole del gioco, ma ben più radicali: il protagonista non è altro che una pallida imitazione del carismatico Nathan Drake, il protagonista di Uncharted da cui Deadfall Adventure non si limita a riprendere solo lo spirito avventuriero. Peccato che Allan abbia davvero poco a che fare con Nathan, se non per l’aspetto fisico e spesso le sue battute vi lasceranno più raggelati degli ambienti artici. I personaggi comprimari, anch’essi usciti da un manuale di caratterizzazione standard, non riescono a risollevare di molto la situazione a causa di una stereotipizzazione spietata.

Sporadici momenti di epicità

Sporadici momenti di epicità

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Interattività, questa sconosciuta

Il caro Allan Quatermain ci ricorda qualcuno, chissà chi!

Il caro Allan Quatermain ci ricorda qualcuno, chissà chi!

L’assenza di una storia coinvolgente è un elemento su cui possiamo anche soprassedere in alcuni casi, ma quando non c’è un gameplay solido a compensare è dura andare avanti. L’esplorazione delle tombe prevede due componenti, abbastanza ben alternate in ogni dungeon: una di puzzle-solving e una di carneficina. Gli enigmi proposti da The Farm 51 non brillano per originalità e si risolvono spesso con l’alzare leve, far combaciare stemmi, spostare statue, colpire bersagli col giusto tempismo, ma il loro principale difetto è l’esser spesso inutilmente complicati grazie a scelte di level design a dir poco incomprensibili. A tal proposito rimarrà memorabile lo scontro col Russo, in cui dopo avere decimato l’intero esercito per raggiungere la fanciulla da salvare sarete costretti a manovrare delle gru sparse per un ambiente enorme, causando livelli di frustrazione storici, sopratutto per il fatto che la suddetta signorina sarebbe raggiungibile in mille altri modi, ma il gioco prevede una sola soluzione.
Proprio questa sensazione di costrizione è il principale difetto del gioco, che sembra volerci fare tornare indietro nel tempo di almeno 15 anni: esiste un solo modo per andare avanti e anche quando una porta va abbattuta con della dinamite non potremo usare quella nel nostro inventario, ma solo quella che il gioco ha predisposto per noi per la risoluzione dell’enigma.
Ad aiutarci nella risoluzione degli enigmi ci pensa poi un taccuino appartenuto al nonno del protagonista che ha già affrontato tutti i dungeon e che attraverso alcuni disegni ci dà indicazioni, talvolta utili (negli enigmi più facili), ma in alcuni casi incomprensibili (ovviamente nei momenti di maggiore necessità). L’esplorazione dei dungeon è arricchita da alcuni tesori nascosti in alcune vie secondarie, ma l’inutilità degli upgrade che questi tesori apportano e l’assenza di una mappa chiara per il loro ritrovamento, ne fanno un elemento marginale di cui si fa presto a meno.
Sul fronte combattimenti è poi da segnalare un’intelligenza artificiale del tutto deficitaria, con soldati incapaci di ripararsi e la cui strategia più raffinata è correrci in faccia ad armi spianate. Le mummie invece sono più ostiche poiché, in maniera del tutto identica ad Alan Wake (con anche lo stesso effetto sonoro della torcia), vanno prima illuminate per poter poi essere colpite e si da il caso che siano persino in grado di provare a schivare la luce. I labirinti offrono poi spesso alcune trappole con cui possiamo sadicamente abbattere i nemici aggiungendo un pizzico di strategia in più.
Infine sul fronte gameplay è importante sottolineare inoltre un sistema di autosalvataggio a dir poco schizofrenico: potrà anche capitarvi che dopo una morte il gioco ricarichi sopra ad un candelotto di dinamite già acceso

Hai scelto il momento sbagliato per risorgere, cara mummia!

Hai scelto il momento sbagliato per risorgere, cara mummia!

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Guardare ma non toccare

Il solito Unreal Engine dà sempre soddisfazioni

Il solito Unreal Engine dà sempre soddisfazioni

Non è però tutto da buttare. I ragazzi di The Farm 51 hanno svolto un buon lavoro dal punto di vista artistico e delle ambientazioni, che pur non distinguendosi per originalità sono comunque ben realizzate e ricche di dettagli, specie negli ambienti più esotici come l’Egitto e il Guatemala. Purtroppo non si può dire lo stesso dei vari effetti (un po’ puerili) e delle animazioni dei personaggi (leggermente datate, specie nelle mimiche facciali). Quanto di buono riscontrato nelle ambientazioni viene in parte rovinato dalla totale assenza di interazione che il giocatore ha con essa, fatta eccezione per le sopracitate trappole. Il mondo di gioco di Deadfall Adventure non è altro che un corridoio ben arredato, in cui il giocatore viene punito per la sua esplorazione in territori non previsti dai programmatori con muri invisibili o morti inspiegabili. La colonna sonora sottolinea bene i vari passaggi con musiche che ricordano il mitico Indiana Jones, mentre il doppiaggio (a prescindere dalle tristi battute dei personaggi) è ben realizzato e riesce in parte a rimediare alle pessime mimiche facciali.
Non mancano i bug, ma di poca rilevanza e mai invasivi: al massimo vi strapperanno qualche sorriso, come quando la bella rossa che vi accompagna rimane incastrata in muri invisibili e continua la sua velocissima corsa nel vuoto, mentre il frame-rate al massimo del dettaglio perde colpi di fronte alle fasi più concitate con molti nemici su schermo.

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Rovina Maya con una cattedrale: perché no?

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Un lungo viaggio: ne vale la pena? 

Tutto pronto per lo scontro finale

Tutto pronto per lo scontro finale

Alla fine dell’avventura è lecito chiedersi: ne è valsa la pena? La risposta è meno negativa di quanto si possa immaginare. Nonostante i suoi difetti e i suoi aspetti estremamente derivati o antiquati, Deadfall Adventures ha qualche spunto interessante, come i tesori da cercare (il cui sistema di ricerca andrebbe migliorato), le trappole da usare contro i nemici ed un setting comunque affascinante, anche se estremamente artificiale. Un eventuale seguito (il finale è, ovviamente, aperto) potrebbe risolvere questi aspetti e intrattenere i giocatori per qualche ora. Al momento però è difficile consigliare di addentrarsi nell’impresa di portare a termine questa scampagnata tra i ruderi antichi, complice anche un livello di difficoltà inesistente nei combattimenti e una durata complessiva (a difficoltà normale) di circa 7-8 ore. C’è anche una modalità multiplayer, che però a causa dell’assenza di giocatori non abbiamo avuto modo di provare, ma che propone comunque vari deathmatch, personaggi con classi e livelli di esperienza, numerosi stage ispirati ai livelli del gioco e molte personalizzazioni per allungare con altri giocatori l’esperienza e sfruttare quanto di buono è stato fatto a livello grafico.
Se proprio siete interessati al gioco, non demoralizzatevi a metà strada: la parte finale del gioco, complice una decisa sterzata sul fronte action ed un arsenale di tutto rispetto, è indubbiamente la migliore e riesce a regalare in fin dei conti qualche soddisfazione, lasciando magari ben sperare per una prossima avventura di Allan Quatermain.

L'ultima parte del gioco merita l'impegno profuso per arrivarci

L’ultima parte del gioco merita l’impegno profuso per arrivarci

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Da quando ho scoperto che i piaceri che i miei pollici opponibili potevano darmi con un joypad erano pressoché infiniti non ho mai smesso di videogiocare. Appassionato di cinema e musica, sempre e solo a livello maniacale.

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