Video…gioco?

Video…gioco?

 

Le declinazioni dal “video-giocare”

Che significa “giocare”? Spalanco un vecchio, polveroso vocabolario e cito testualmente:

“dedicarsi a qualche esercizio piacevole per divertimento o anche per guadagno”

In poche parole è l’arte del divertirsi, evasione fugace e precaria da un mondo che, magari, ci sta stretto e perde colore ogni giorno di più. Ci rapportiamo con il gioco fin da bambini: chi non ha speso ore ed ore della propria infanzia impilando cubetti di Lego in improbabili ed avanguardistiche imitazioni di torri e castelli, o facendo sfrecciare con le dita bolidi da un centimetro per due su traballanti tracciati di plastica nera?

Ora…La mia domanda è semplice: è giusto definire “gioco” un videogioco e “giocare” l’attività del video-giocare?

Se parliamo di pura e spensierata evasione potrebbe anche starci, ma solo per alcuni degli innumerevoli prodotti in commercio. Ricordo ancora, a tal proposito, le ore dedicate ad un gioco della prima, indimenticabile Playstation:  Chocobo Racing (Square, 1999). Catturare l’attenzione di un bambino è meno semplice di quanto possa sembrare, ma questo gioco ci riusciva con l’abilità di un consumato ipnotista, premevo start sul joypad ed eccomi lì, avvinghiato al monitor ad ammirare a bocca aperta pixel tanto grandi da far impallidire i creeper di Minecraft.
Un ottimo prodotto, immediato e deliziosamente arcade, ma – lo devo ammettere – niente più di questo…di un gioco.
Diciamo che Chocobo Racing rappresentò per me la next-gen del divertimento post natalizio, l’evoluzione di trenini elettrici e puzzle colorati, ma nulla di trascendentale e – ripeto – perfettamente definibile “gioco”.

La questione si complica con il passare degli anni e delle ere videoludiche: non ero più un bambino quando posai gli occhi per la prima volta su di un nome destinato a segnare indelebilmente la storia del videogame (e non solo): Silent Hill.

E’ lecito parlare di “gioco” di fronte ad un titolo quale, ad esempio, Silent Hill 2?

Nei meandri onirici di quella nebbia spessa come carne ho provato sensazioni ed emozioni tipiche di un’esperienza cinematografica, e delle migliori. Si può davvero definire “giocare” l’esplorare con il fiato sospeso quei corridoi intrisi di sangue e buio, l’assistere a cutscenes e dialoghi degni di una produzione d’altri tempi, lasciarsi ammaliare dalle melodie disturbanti e meravigliose partorite dall’estro di Akira Yamaoka, scorgere Mary ovunque tra le grinfie scure della foschia e sperare di poterla – finalmente – raggiungere?
Io non credo. Introspezione, profondità, genio, follia…non esattamente le prerogative dell’Allegro Chirurgo.

Ma allora, qual è la risposta alla mia domanda?
Bisogna forse fare una distinzione tra “giochi” di un tipo e “giochi” di un altro? Sempre di “giochi” parleremmo, e saremmo da capo. Possiamo mettere sullo stesso piano una partitina di dieci minuti a Pinball ed un’angosciosa sessione di Condemned?

…beh, sulla carta si tratta di due videogiochi…ma in realtà? Posso “giocare” con il primo, ma sto davvero “giocando” con il secondo?

"Write drunk; edit sober." E. Hemingway

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