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Versus Evil Tour – Anteprima E3 2015

Los Angeles – Tra le riproduzioni di Vault e stanze vittoriane, l’Incredibile Hulk in versione LEGO e tante altre amenità (in senso positivo, sia chiaro), c’era anche un piccolo stand nell’affollatissimo Convention Center, con una quindicina di postazioni tutte compatte, ma non per questo meno interessanti di quelle posizionate presso i booth di titoli più blasonati ed affermati. La missione di Versus Evil, publisher texano attivo da pochissimo tempo (poco più di due anni), trascende però le dimensioni contenute del suo piccolo “tempio”: fondato da un veterano dell’industry, l’ex-Bethesda Steve Escalante, intende offrire agli indie più meritevoli lo spazio che meritano, in un mare sempre più pieno di pesci di ogni dimensione. Vi basti sapere che la loro prima scommessa vedeva come protagonista un terzetto, anch’esso texano, composto anch’esso da veterani dell’industry, che al caldo mostruoso del sud degli USA preferiva le fredde lande nordiche: parliamo di Stoic Studio e del suo The Banner Saga, new entry dello scorso anno che avrete sicuramente visto nelle Top 10 di fine anno di tante testate, riconoscimenti meritati per il valore indubbio di una delle sorprese più piacevoli del 2014.

Con l’E3 di quest’anno, il publisher ha mostrato ulteriormente i denti, portando con sé ben 6 titoli, tra i quali figurano anche un certo Afro Samurai 2, precedentemente in mano a Namco, segno che le loro scommesse hanno e stanno portando i loro frutti. Eccovi un resoconto di quel che abbiamo provato, tra titoli riusciti, altri decisamente meno, tutti però accomunati da una certa originalità e personalità di fondo.


The Banner Saga 2

Parte di una trilogia, la gemma di Stoic fu un vero fulmine a ciel sereno, uscito dal nulla più completo: offriva un combat system profondo ed appagante che pescava a piene mani da un capolavoro come Final Fantasy Tactics, un design ispiratissimo ed una trama avvolgente, plasmata per davvero dalle scelte compiute dal giocatore, proposte prima di ogni singolo gesto, da un semplice rumore percepito durante il “trekking” (automatico) da un villaggio all’altro (ignorare una potenziale minaccia e rischiare di ritrovarsi in un’imboscata l’indomani, o tentare di stanarla nonostante l’inferiorità numerica?) a decisioni più drastiche che andavano ad influenzare il party stesso. Il secondo capitolo si presenta in maniera molto familiare per chi viene dal primo (e dato che potrete importare il vostro savegame, non dovrete averlo necessariamente giocato, ma sicuramente vi permetterà di cogliere ogni sfumatura di questo nuovo episodio), ambientato poco dopo il finale. Evitiamo spoiler, ma abbiamo potuto provare due possibili “scenari”, per un breve playthrough che ha messo in mostra delle prime, gradite novità: i combattimenti ci sono parsi sin da subito più vivi, scenografici e complessi, con dialoghi tra un turno e l’altro, e nuovi nemici, sempre facenti parte della misteriosa razza dei “Dredge”, che hanno sistematicamente fatto la loro comparsa proprio sul più bello, quando la vittoria sembrava ormai in pugno. Prima i Dredge Skullkers, simili a lupi, affamati e letali, visibili soltanto per qualche secondo durante gli spostamenti sulla “scacchiera” di combattimento, e un’unita simile ad uno sciamano, che rendeva quasi invincibili i suoi alleati, ma che una volta ucciso ci avrebbe garantito la vittoria. Come impostare il combattimento? Eliminare un nemico alla volta, o tentare di colpire da subito il più forte? Una delle tante scelte che non si limiteranno più alle sole fasi “gestionali/narrative”, ma che diventeranno più importanti nell’economia degli scontri. Presenti poi nuove classi e nuovi comprimari, ma non mancano meccaniche e volti noti, anche se, al varco, è chiaramente attesa l’intricata trama più di ogni altra cosa, e per quella non si può che attendere l’uscita.

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Skyshine’s BEDLAM

Altra sorpresa inattesa, un po’ come fu al tempo The Banner Saga, è questo BEDLAM del team Skyshine, che col titolo degli Stoic condivide più di un elemento: a partire dalla natura del team, piccolo ma dalle grandi ambizioni e composto da veterani dell’industry (seppur non dal portfolio così pregiato come quello dei texani), al motore di gioco, lo stesso, passando per le meccaniche di base. Ma la generazione procedurale lo rende molto meno attaccato alla narrazione e all’atmosfera, diametralmente opposta rispetto a quella a base di vikinghi e terre del nord, e molto più al gameplay, tanto nell’esplorazione della mappa di gioco che nei combattimenti, similissimi in tutto e per tutto a Banner Saga ma lievemente più liberi (due mosse per ogni turno, per muoversi o attaccare, o le barre dell’armatura e della vita). C’è ancora una carovana, ma questa volta prende le sembianze di un blindato sperduto in un deserto post-apocalittico che deve raggiungere il lato opposto di una landa spartita tra varie fazioni, piena di nemici ed insidie, gran parte delle quali casuali, con eventi (a dir la verità ancora un po’ simili tra loro, sperando che nella versione definitiva ci sia molta più varietà) influenzati da ogni decisione affidata al giocatore, che deve tener conto della salute delle unità di civili e combattenti che stiamo trasportando. E ci sono gli agenti atmosferici, tra nubi tossiche  o di cenere che influenzeranno gli scontri, con campi di battaglia disseminati di difese, carburante e cibo, ma anche di pallottole nemiche. C’è anche la permadeath, bastarda quanto quella di XCOM, ma alleggerita dal loop continuo di morti e di nuovi arrivati, che vivranno abbastanza da poter diventare più potenti (eseguendo due attacchi in una stessa battaglia) ma non da potersi affezionare a loro.

L’estrema velocità degli incontri (tanto quelli pre-calcolati che quelli casuali), degli scontri, del passaggio da un punto di interesse all’altro (contrassegnato da un punto esclamativo sulla mappa), ma anche l’atmosfera schizzata ed esagerata, con nemici ripugnanti, scherzi della natura frutto dell’esagerata esposizione alle radiazioni, e una desolazione generale che rende ogni briciola di cibo fondamentale per la sopravvivenza, lo rendono un titolo davvero promettente: derivativo, ma con quel pizzico di personalità malata che fa chiudere un occhio sulle somiglianze e i tributi. Ne parleremo sicuramente in futuro, quindi stay tuned.

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Afro Samurai 2: Revenge of Kuma

Chi l’avrebbe mai detto? Il primo Afro Samurai non era un capolavoro, aveva i suoi pesanti problemi, eppure godeva di una personalità così unica e strabordante da essersi ritagliato un posto d’onore del cuore di un buon numero di giocatori, ma il fatto che sia pronto a tornare con un seguito, persino diviso in trilogia, significa che o ha venduto così tanto da esserselo meritato di diritto, oppure che i ragazzi di Redacted Studios adorano il rischio. Per chi non ne avesse mai sentito parlare, il nome la dice lunga: un samurai con tanto di katana e di kimono che sembra provenire direttamente dai campetti di basket di Harlem, con la sua voce black e profonda, e la sua strafottenza tipica di chi è nato e vissuto su strade poco raccomandabili. Questo nuovo trittico di titoli si concentra sulla figura di Kuma, l’amico d’infanzia di Afro, che è tornato dall’Inferno trasformato in una macchina da guerra metà uomo, metà orsacchiotto tanto coccoloso quanto killer (ma tranquilli, le stranezze non finiscono qui).

Peccato che definirci “delusi” da quel che abbiamo provato ad L.A. sia un delicato eufemismo: una sequenza introduttiva ai limiti del delirante, con una lunga sessione di dialogo in cui una calda voce femminile stride non poco, farneticante com’è, con l’ambientazione orientale e la tonalità seppia che provano ad insinuarsi nello spirito del giocatore. Quando poi parte uno dei tutorial più insensati e fastidiosi degli ultimi anni, la frittata sembra ormai essere già fatta: lunghi, interminabili e noiosissimi minuti di animazioni legnose e di uno sfondo totalmente bianco, una sorta di buco dimensionale nel quale esercitarsi momentaneamente con le combo, senza un criterio ben preciso da seguire, o uno stimolo a perfezionare la propria tecnica. Si resta lì a premere tasti passivamente, fino a che, quasi 10 minuti dopo di combo effettuate correttamente, si prosegue con il nonsense più totale tra dialoghi a casaccio e mix d’atmosfera che tanto convinsero col primo, ma che ora risultano abbastanza ridicoli. Prima impressione davvero pessima: il buon Afro merita di sicuro maggior rispetto, ora che si appresta a raggiungere PS4 ed Xbox One (oltre al PC).

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Armikrog

Altra nuova IP particolarmente originale, altro team composto da navigati membri dell’industry, i ragazzi di Pencil Test Studios, che nel loro portfolio annoverano un certo Earthworm Jim, oltre a collaborazioni prestigiose con Disney, Pixar e Activision, sia in ambito videoludico che cinematografico, esperti di animazioni come sono. Ed Armikrog ne è una prova, essendo un’avventura punta e clicca abbastanza classica e vecchia scuola, ma dal comparto artistico unico, totalmente realizzata in stop motion con pupazzi di argilla, dotati di un design e di una personalità davvero particolari e fuori dal comune, a partire dai nemici che dovranno affrontare i due eroi, Tommynaut e il suo cane alieno parlante, Beak-Beak, i quali dovranno fuggire dalla fortezza nella quale sono stati imprigionati a suon di puzzle da risolvere cliccando qua e là nelle coloratissime location. Un’esperienza sicuramente fuori dagli schemi.

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Guild of Dungeoneering

Stufi dei soliti dungeon crawler tutti uguali tra loro? Il titolo degli irlandesi Gambrinous fa decisamente al caso vostro: alla base dell’originale concept c’è il dungeon mastering, ma come si evince dal titolo, c’è una certa componente “ingegneristica” dietro che rende il tutto più entusiasmante. Invece di controllare il protagonista, il giocatore dovrà infatti creare il livello attorno all’avatar, che agirà (più o meno) in maniera indipendente, e subirà le decisioni “dall’alto”: in ogni turno avrete delle carte da cui attingere, con le quali potrete posizionare incroci, curve e tracciati per raggiungere il boss o del ricco (ed immancabile) loot, ma potrete anche cambiare la classe al personaggio, gli incantesimi che potrà castare, e la tipologia di armi. Una sorta di Munchkin in versione videogame, praticamente. Una volta incontrato un nemico, si entrerà in battaglia, con un mazzo di carte differente che permetterà di attaccare, difendersi, o aggiungere effetti positivi e negativi ai combattenti. C’è poi un sistema di dinastia (legato alla Gilda del titolo) simile a Rogue Legacy, con tanto di lapidi in memoriam dei compagni caduti in battaglia, il tutto con uno stile artistico originale e in bianco e nero, con qualche colore a distinguere le fazioni e/o gli oggetti con i quali interagire. Disponibile dal 14 luglio, promette di essere una rinfrescante rivisitazione del genere.

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KYN

L’ultimo titolo è quello forse più classico e “banale”, in quanto RPG a visuale isometrica di diablesca memoria, ma tra l’atmosfera sognante e il mix tra vichinghi e magia, prova comunque a farsi notare nella massa di esponenti del genere. Sviluppato da due giovani olandesi, KYN è un’esperienza rigorosamente single player, che unisce l’esplorazione e la caccia del loot tipica di Diablo e co. al combattimento party-centrico più tattico e pensato rispetto al mero “clicca clicca” più consono al genere, con tanto di slow-motion da sfruttare per ponderare meglio gli attacchi, e un’ambiente di gioco da sfruttare astutamente piazzando trappole e, più in generale, da utilizzare contro gli avversari a proprio vantaggio. Non manca all’appello il crafting system, che permette di unire più di 100 materiali elementali e creare potenti armi ed armature, dando la possibilità di mixare praticamente qualsiasi elemento tratto dai cadaveri ancora fumanti dei nemici. Dal punto di vista tecnico non brilla assolutamente, ma in compenso recupera con una direzione artistica ispirata e piacevole, tra lande innevate, antiche rovine e valli erbose e coloratissime da esplorare in lungo e in largo, al comando di 6 baldi eroi.

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