Tony Hawk’s Pro Skater 5 – Recensione

Tony Hawk’s Pro Skater 5 – Recensione

Errare è umano, perseverare è diabolico, soprattutto quando in ballo ci sono emozioni, ricordi, e anche un po’ la storia, tanto del gaming quanto dello stesso skateboarding. Perché è innegabile il debito di tale disciplina nei confronti di Tony Hawk e della sua controparte digitale, quella serie, nata su PlayStation con i quattro leggendari Pro Skater ad opera dell’ormai defunta e compianta Neversoft, che tantissimi videogiocatori avvicinò allo sport in rotelle e ossa (rotte), e che tanti campioni moderni collocano senza troppe riserve al primo posto tra le fonti di ispirazione.

E quando vai a scomodare la storia ponendo un “5” nel titolo e promettendo la old-school, sai perfettamente di esserti preso dei rischi che neanche immagini: è il gaming, baby, è la giungla dei tripla-A, dei 60 o 70 euro da giustificare a suon di contenuti, di comparti tecnici spaccamascella, di “esperienze” che lasciano il segno. Vuoi chiedere il prezzo pieno? Tira fuori uno di quei 720 da prime pagine delle fanzine. E invece no, e invece si torna a quella diabolica perseveranza di qualche riga fa, apparsa mefistofelicamente nelle vesti di Robomodo, lo stesso team che ha contribuito al collasso della serie. Ha fallito con Ride e quell’oscena periferica fuori tempo massimo, ha replicato con Shred, concedendosi una boccata d’aria con l’amarcord puro (Tony Hawk’s Pro Skater HD) e poi il vuoto cosmico nella giungla mobile, fino ad oggi, agli sgoccioli della tanto vociferata scadenza dell’accordo tra Activision e BirdMan.

La fretta è cattiva consigliera, e il team di Chicago sta scontando quella fretta (o sconsideratezza?) sulla sua pelle.

È sempre difficile dover valutare e criticare una serie alla quale si è affezionati, ma con Tony Hawk’s Pro Skater 5 bastano occhi per guardare per scrollarsi di dosso ogni timore e accompagnarlo al patibolo, perché purtroppo il salvabile è davvero poco, troppo poco, e ha le sembianze di quell’immediatezza e spontaneità di base tipica della serie, quel fregarsene della precisione, del realismo, in un mercato dove tutti vogliono sopravvivere all’implacabile natura, anche i giocatori, quella punta di sapore old-school in un minestrone misero ed insipido che, contro ogni previsione, mi ha spinto fisicamente a tornare sul gioco in più occasioni. Una fede quasi cieca in grado di mettere da parte la razionalità e di far tornare a credere ingenuamente ai miracoli: “Sono spariti i problemi, torna a giocare”. Ogni singola volta ho preso in mano il pad fiducioso, quasi elettrizzato, perché con quell’immediatezza e spontaneità ci sono cresciuto, passando interi pomeriggi a scoprire segreti, a perfezionare i trick, ad escogitare combo da sangue dal naso e da capatina all’infermeria (virtuale), ma basta dare un’occhiata al menu per capire che c’è qualcosa che non va… anzi, nemmeno. La scattosità delle intro con su i loghi di Activision e Robomodo sono un oscuro presagio dei tanti intoppi che affossano l’esperienza di gioco, antipasto di scomodi e poveri menu, facciata di una povertà contenutistica, nei quali risulta indigesta persino la scelta dello skater tra i 12 proposti: ci sono i campioni del passato (Tony, ovviamente), del presente e futuro… e c’è anche Lil Wayne. Potrete customizzare il loro aspetto con vestiti ed emblemi, e assegnargli punti abilità guadagnati salendo di livello, ma non aspettatevi cambiamenti radicali nelle loro (e vostre) prestazioni.

Scelto il personaggio, è il momento della campag… degli 8 skate park sui quale verte l’intero gioco, da affrontare in solitaria (possibilmente sconnessi, per non incappare in lunghi e misteriosi caricamenti) o nelle lobby multiplayer, una delle novità principali sulla quale, dopo la non proprio eccelsa prova in quel della Gamescom, puntavo i miei scellini. Ogni livello viene avviato in modalità libera: ci saranno dei classici collezionabili da raccogliere (VHS, le lettere S-K-A-T-E e C-O-M-B-O ed oggetti specifici in base alla location); è popolato da un massimo di 20 giocatori, che sarà possibile sfidare in modalità ad hoc (come King of the Hill o Deathmatch), o semplicemente sbesfeggiare sfoggiando le proprie skill in tempo reale; inoltre, tramite appositi indicatori (o dal menu della lobby, col quale potrete invitare giocatori in partita), ci si potrà dedicare alle missioni, per un totale di 15 per livello, 10 normali e 5 Pro, ognuna delle quali permetterà di ottenere 3 stelle, una per ogni soglia di punti o di tempo superata. Come da tradizione, spazieranno dal semplice realizzare una combo particolarmente articolata, al dover grindare il più possibile, fino a stravaganze pure come la testa dello skater che esploderà se non si eseguiranno trick nell’immediato, o persino bersagli da abbattere a suon di kickflip e proiettili di vario tipo (fuoco, palloni etc.), fino al dover raccogliere quanti più oggetti possibili (gelati, marshmellow e così via) e depositarli in uno spot specifico senza mai cadere.

E basta.

È questo il fulcro dell’esperienza offerta da Tony Hawk’s Pro Skater 5. Si cazzeggia per un po’ in free skate, si partecipa alle missioni dalla scarsissima varietà (in ogni livello saranno sostanzialmente sempre le stesse, al massimo qualche lieve variazione sul tema), e l’unico stimolo a proseguire viene dato dalla necessità di dover raccogliere un minimo di 15 stelle per poter sbloccare il nuovo livello, o di acchiapparle tutte per dedicarsi alle sfide Pro. La sensazione è quella di trovarsi intrappolati in un girone infernale, quello del giocatore, dove ogni partita viene bruscamente interrotta da spiritelli e diavolacci sempre pronti a compromettere il godimento del titolo faticosamente atteso ed acquistato: ogni missione porta con sé continui micro-caricamenti urticanti, uniti ad un lag pedissequo che colpisce menu, singole azioni (persino ogni dannata rincorsa, con una spinta che va sempre a vuoto), e primi 15/20 secondi di gioco post-avvio di un livello o di una quest, e ripetetelo per tutte le volte che dovrete riavviare la missione per colpa di un vostro errore, nella stragrande maggioranza dei casi, frutto di pura imperizia, nella forma di un glitch, dell’ennesimo problema con le collisioni e le compenetrazioni, di controlli poco reattivi (perfino nei menu), di “uscite di binario”, che sia da un half-pipe senza aver premuto il tasto apposito, o persino dai confini della mappa, che induce in tentazione salvo poi redarguire il giocatore.

Follia pura. È follia pura chiedere 60 euro per quest’accozzaglia di pixel fatti testare da qualche incapace, o peggio ancora, nemmeno testati per poter rispettare qualche deadline collocata tra gli altri big di Activision in uscita in autunno, giusto per non sovraccaricare i reparti marketing. Come detto, ad ogni avvio dovrete aspettare buone manciate di secondi prima che il gioco si metta in sesto, tra texture che non vengono caricate (ma il pop-in delle stesse si presenterà di continuo) e singhiozzi audio e di frame-rate palesi e dannatamente fastidiosi. Ogni avvio, ogni singolo avvio, anche dopo la patch più grande del gioco stesso, che si è limitata a ridurre i problemi con le compenetrazioni e gli spettrali passaggi al di là del muro, del pavimento e dell’half-pipe di turno (di compilation di glitch e di sberleffi è già pieno il web, evito di infierire). Nulla è stato fatto per il “matchmaking”, che definirei “grottesco”: una volta avviata una modalità multiplayer, questa partirà indipendentemente dalla presenza o meno di altri giocatori. Inizierete a giocare, anche da soli, e dovrete aspettare che il timer raggiunga lo zero, incassare i vostri immeritati punti di esperienza, e tornare a deprimervi con qualcos’altro.

Fisica talmente surreale e malconcia da scaraventare in fin troppo numerose occasioni il personaggio da una parte all’altra del livello dopo un semplice atterraggio, freeze sfusi che richiedono il riavvio del gioco, telecamera ballerina, wallride che falliscono perché mezza tavola ha oltrepassato le pareti, grind spot nei quali lo skateboard rimane incastrato a metà percorso, oggetti da raccogliere che vengono schivati con maestria (e con imprecazioni), o che non spawnano come dovrebbero, rendendo semplicemente impossibile anche solo ambire alla seconda stella, figuriamoci la terza, una sensazione che traspare in numerose sfide, decisioni forse frutto dell’ennesimo test frettoloso, tanto “Se ci riesce il tester che non gioca ad altro da mesi, ci riuscirà anche il comune giocatore”. Una pretesa di perfezione che stona dannatamente con tutte le imprecisioni e le brutture che compongono questo Pro Skater 5.

E ancora: l’acqua non riflette, e le volte che vi capiterà di passarci su, sembrerà di sfrecciare su dei brandelli di cartone, e gli altri giocatori, tra il lag e le animazioni rigide ed innaturali, skate-ranno come anime in pena, fantasmi composti da una materia leggera ed impalpabile (ma che potrete schiaffeggiare, in simpatia), divorati dal rimorso di aver buttato 60 euro. E quei 60 euro sembrano ancor più una beffa, quando si fa caso alle tonnellate di pubblicità di cui è infarcito il gioco. I giochi sportivi sono il festival del brand piazzato in bella vista “per esigenze tecnico-tattiche“, ma Activision e Robomodo han pensato di tappezzare interni ed esterni di loghi di riviste di skate, action camera e quant’altro, di sicuro non per beneficenza o per altruismo.

Anche quanto il team si è sforzato di introdurre qualche lieve novità al gameplay, purtroppo non ha fatto che peggiorare la situazione. Lo “slam”, attivato dallo stesso tasto del grind, ha praticamente spazzato via la possibilità di grindare a mezz’aria (mi sto ancora chiedendo se non sia un semplice problema tecnico… forse lo scoprirò tra qualche patch), proponendosi invece come sorta di “ancora di salvataggio” quando si è calcolato male un salto o un trick, facendo piombare lo skater in posizione dritta e più o meno precisa, mentre i trick della barra Special, ora utilizzabile in qualsiasi momento e non solo quando la si è riempita, difficilmente andranno a segno, per motivi non ben precisati, complice di sicuro la fisica “malevola”.

A spartirsi le attenzioni dei (pochi) giocatori, oltre alla sequela di missioni, ci pensa l’editor di livelli, ricchissimo (almeno quello) di elementi, rampe, ringhiere, panchine, palloni e chi più ne ha più ne metta, da posizionare a proprio piacimento per dare sfogo alla propria creatività… ma con un limite, imposto dalla fantomatica “Barra di Complessità”, che forse per impedire alla console di implodere, pone l’ennesimo freno al divertimento. Un peccato, visti gli ampi livelli dal design a tratti anche ispirato (quello “spaziale” su tutti), ma tra cali di frame-rate (anche dopo aver inserito due o tre rampe), machiavellici posizionamenti da calcolare al millimetro, pregando di non dover eliminare l’oggetto appena posizionato, pena giostra di tasti da ripremere per tornare al punto precedente, non è che ci si aspettasse di avere tra le mani la versione street-punk di Minecraft. E l’hanno notato anche gli altri giocatori: ad oggi, a quasi due settimane dal lancio, sono solo 12 i livelli presenti, almeno sulla versione Xbox One testata.

Non aspettatevi salvataggi in extremis dal comparto video/audio: la colonna sonora scorre via senza troppi sussulti tra rap, punk e mall-core (mi piace chiamare così – un po’ impropriamente – il metal per famiglie e ragazzini, ndr), altro che le O.S.T. dei tempi ormai andati, quelle che ti facevano scoprire nuove perle sparate come proiettili ogni 2 o 3 minuti. Quell’attitudine s’è persa per strada, incastrata tra le rotelle di qualche skate dimenticato in soffitta. E la grafica? Una sorta di cel-shading rattoppato all’ultimo momento, senza infamia e senza lode, fagocitato dall’aliasing. L’ultimo chiodo nella bara dalla forma di una custodia verde, una blu e una trasparente.

In conclusione…

Mi sarebbe piaciuto chiudere con un po’ di sana saggezza dei nostri nonni, qualche proverbio sulla fretta, sull’inesperienza, sull’osare senza avere un piano B. Ma qui c’è una vera e propria mancanza di rispetto di fondo, quella malizia che porta a chiedere, lo ripeto per l’ennesima volta, 60 euro, per un prodotto letteralmente improponibile. Nato e pensato male, sviluppato e confezionato peggio, senza uno straccio di testing degno di tale nome, senza un guizzo creativo, distribuito senza aver avuto la decenza di controllare che fosse effettivamente giocabile. Il poco di vagamente decente è l’alone old-school tramandato dal remaster di qualche anno fa, sepolto però da bug, imperizia, fretta e noia in fase di sviluppo, elementi che hanno portato questo promesso ritorno in pompa magna ad un glorioso passato, ad una nuova discesa nell’oblio che difficilmente verrà frenata o quantomeno rallentata dall’ormai classica sfilza di patch.

La volontà di offrire un gioco immediato e spensierato non basta. Avete presente quel che viene solitamente (e un bel po’ pigramente) detto a buona parte dei genitori sulla faccia della terra, in riferimento al rendimento scolastico della propria prole: “È bravo, ma non si applica“? In questo caso, fossi stato un professore, a sua madre avrei detto: “Signora, non è questione di applicarsi o meno. Suo figlio a scuola non c’è mai venuto”.

VOTO: 3/10

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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