The Sly Trilogy – Recensione

The Sly Trilogy – Recensione

Qualche anno fa il brand PlayStation era dominato da qualche mascotte in più rispetto a quanto siamo abituati oggi. C’erano Jak & Daxter della premiata ditta Naughty Dog, c’erano Ratchet & Clank dai creatori di Spyro e c’era Sly Cooper, il ladro “gentilprocione” di quella Sucker Punch che nelle generazioni seguenti avrebbe dato i natali alla serie inFAMOUS e, più in particolare, al chiacchierassimo Second Son, videogame dal comparto tecnico strabiliante che sta facendo sognare i possessori di PS4 (del quale potete leggere la nostra recensione proprio qui). E già all’epoca si intravedevano alcuni tratti distintivi del più “infame” degli action: la struttura free-roaming, gli appigli, le azioni diversificate in base al personaggio erano già parte integrante della produzione made in Seattle. A qualche anno dalla release su PlayStation 3 e a uno dall’arrivo del mai troppo apprezzato quarto capitolo, arriva su PlayStation Vita The Sly Trilogy, un modo per rivivere al meglio i redivivi fasti della gloriosa epoca PlayStation 2 o anche (non ve ne facciamo una colpa, con tutta la roba che c’era da giocare…) per assaporarli da verginelli della serie.

 Il tris di platform contenuto nella piccola cartuccia per la portatile Sony è a mio parere quanto di più delizioso ci è stato regalato dal genere nel corso nel periodo post-Mario 64. Siamo, inizialmente e principalmente, Sly Cooper, un procione facente parte di una dinastia di ladri secolare il cui credo è rappresentato dal Thievius Raccoonus, che a conti fatti rappresenta, né più né meno, il manuale del perfetto ladro. Ed è proprio dal furto e la sparizione di quest’ultimo che partono le avventure della mai troppo pucciosa banda di ladri, sempre alla ricerca del colpo della vita, oltre che alle conseguenti catastrofi scongiurate in un leitmotiv degno del migliore Lupin.

La struttura della serie e i capisaldi di molti titoli attuali si notano già dal primo episodio (di gran lunga il mio preferito!). Tra un free-roming sempre meno accennato, la progressione delle abilità dei personaggi e la trama sempre più articolata c’è più Assassin’s Creed di quanto possiate immaginare. Le avventure del carismatico procione, chiudendo un occhio sull’effettiva e tangibile – soprattutto mettendo mano, in sequenza e senza pausa, a tutti i capitoli inclusi – ripetitività, procedono lisce e senza intoppi ancora oggi, a dieci anni di distanza dal loro debutto.

La trilogia parte con un approccio semplice, quello del primo episodio che è molto meno impegnativo e sfacciatamente più schematico. Ogni mondo vive quasi come un episodio di una serie televisiva, con un’introduzione cartoon e un briefing preciso da seguire. Le location – dei semplici hub illusivi che non corrispondono esattamente a dei reali mondi aperti – sono composte da sette livelli, ognuno dei quali contiene una chiave da raccogliere, oltre alle bottigliette collezionabili per sbloccare il segreto di turno. Una volta ottenute tutte le chiavi si avrà l’accesso al livello finale culminante in una caratteristica boss fight con un pattern da seguire ben chiaro ed evidente. Il risultato non guasta affatto, ma alla lunga potrebbe risultare ridondante e prevedibile.

Ed è forse proprio per questo che durante l’ideazione dei due capitoli successivi gli sviluppatori decisero di arricchire l’offerta introducendo tre novità sostanziali. Punto primo: fu rimosso il sistema “un colpo = morte” in favore di una più moderna barra vitale; una soluzione interessante che “costringe” l’utente a essere più attento e silenzioso. Una scelta tutt’altro che discutibile, soprattutto considerando il secondo punto: delle ambientazioni decisamente più grandi all’interno delle quali scegliere le missioni nell’ordine che si preferisce, alternandosi tra tre personaggi con conseguenti gameplay differenti, il terzo punto di questa piccola rassegna delle novità. E mentre in Sly 2: La banda dei ladri tutto quanto descritto è ancora in divenire, la maturazione della trilogia è chiaramente rappresentata da Sly 3: L’onore dei ladriun platform completo, vario e con la giusta evoluzione narrativa e dei personaggi. Nel terzo capitolo tutto è al suo posto grazie alla decantazione di una formula che non è più un timido tentativo per allontanarsi (almeno in parte) dalla fruizione da parte del solo pubblico dei più giovani, ma una decisiva e convinta stretta di mano ai giocatori più navigati ed esigenti.

Vorrei però sottolineare il punto focale delle tre produzioni di Sucker Punch, che risiede principalmente in delle caratteristiche lontane (ma non troppo) dal gameplay e dal level design su cui si poggiano: la totalizzante caratterizzazione dei personaggi e la magnifica ispirazione del setting di gioco. L’identità di Sly Raccoon è infatti talmente curata da risultare indelebile nel tempo. Il pungente humor e la certosina realizzazione del mondo gioco e dei suoi “abitanti” vi prenderà per mano e vi accompagnerà saltellando da una piattaforma all’altra, senza mai dimenticare l’importanza di una struttura di gioco valida, solida e che già guarda sognante alla verticalità e ai virtuosismi dei più blasonati videogame attuali.

Questa identità si estende poi anche al comparto grafico e si fa identità visiva: la particolarità e  la riconoscibilità della saga ladra in esclusiva Sony risiedono infatti nella simpatica e coloratissima veste grafica in cel shading (o toon shading, per i più precisi amici lettori del lato più fastidioso dell’internet). Una veste grafica che anch’essa rimane intonsa nel tempo, ma che anzi è stata migliorata dal rifacimento in alta definizione. E vi dirò di più: il risultato finale è più apprezzabile nella versione PlayStation Vita che nell’originale controparte per PlayStation 3.

Perché? Beh, perché l’impegno profuso di Sanzaru Games (gli appassionatissimi sviluppatori di questa Collection e del recente Ladri nel Tempo) nella lavorazione delle texture è esaltato dalle dimensioni ridotte della console portatile. Per non parlare poi della pulizia generale e dei frame per secondo costantemente fermi sulla tanto discussa e agognata cifra del sessanta. Il “compitino” conversione è stato quindi svolto in maniera eccellente e invidiabile, con l’unica nota stonata del formato 4:3 scelto per le scene d’intermezzo. Da sottolineare e applaudire invece il doppiaggio in italiano, splendido all’epoca e capace di far rabbrividire anche i più costosi titoli tripla A del mercato attuale.

Concludendo sulle caratteristiche prerogative dell’edizione PlayStation Vita, va accennata la perfetta riproposizione dei comandi, adattati per necessità al meno ricco (di pulsanti) schema di controllo dell’handheld giapponese, e il set di trofei separati dalla collection per PS3. Un contentino gustoso per chi ha voglia di rigiocare per la terza volta la serie e che addolcisce l’amara e giustificata pillola del mancato supporto alla funzionalità Cross-Buy.

In conclusione…

The Sly Trilogy è un pacchetto incantevole che rende perfettamente giustizia alla serie platform che tra le tre dell’era PlayStation 2 è forse la meno famosa e (a torto) apprezzata. Una cartuccia che vi garantirà divertimento per più di quaranta ore e che potrà farvi chiudere anche entrambi gli occhi sulla tragica situazione della line-up di PlayStation Vita. Fossi in voi, preferirei (ri)affrontare le avventure della banda dei ladri in questa versione invece che nella “spalmata” – ma pur sempre eccellente – conversione in HD per PlayStation 3. Ma la questione più importante resta solamente una: per il prezzo che costa, non giocare The Sly Trilogy sarebbe un vero e proprio furto, all’altezza dei migliori colpi di Sly. Correte in negozio, scaricatelo dal PlayStation Store, rubatelo (scusate, è Sly che parla). Non ve ne pentirete.

Voto: 8/10

Cresciuto a pane e Super Mario Bros. 3, scopre molto velocemente che i videogiochi faranno parte del suo futuro. Coltiva una passione innata anche per la tecnologia, il cinema e le auto. Dice di aver conosciuto Batman.

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