Tales of Zestiria – Recensione

Tales of Zestiria – Recensione

Continua, lenta ma implacabile, la conquista di Tales Of al vecchio continente. Dopo gli ottimi risultati portati a casa con i due episodi di Tales of Xillia su PS3 e Tales of Hearts R su PSVitaquesta storica serie RPG dal gusto tutto nipponico giunge oggi, con Tales of Zestiria, al suo quindicesimo capitolo ufficiale con il duplice compito di saggiare le capacità della Playstation 4 e rinnovarsi nelle basi in vista del prossimo, già annunciato, capitolo. Ma bando alle ciance e vediamo come se la sono cavati Hideo Baba e il suo team con questo “RPG of Passion Lighting the World”!

Tales of Zestiria

Piattaforma: PS4, PS3, PC

Genere: JRPG

Sviluppatore: Namco Bandai

Publisher: Namco Bandai

Giocatori: 1/4

Online: Assente

Lingua: Audio in inglese/giapponese, Testi in italiano

Versione Testata:PS4

Da sempre un punto cardine quando si tratta di scindere un “buon gioco” da “gran JRPG”, il peso della trama e lo spessore dei personaggi hanno sempre giocato un ruolo di prim’ordine all’interno della serie Tales of. Sotto questo punto di vista però, Tales of Zestiria sembra partire fin dai primissimi istanti come un’eccezione alla regola. Nei panni di Sorey, un ragazzo allegro e solare sulle cui spalle il delicato compito di “Redentore” dell’umanità, le vicende ivi narrate attingono senza fare troppi complimenti da anni e anni di cliché e stereotipi del genere, il cui incipit e sviluppo sembrano già stati tracciati prima ancora di cominciare.

Almeno inizialmente, le vicende stentano a decollare e ritrovarsi a peregrinare per il mondo di gioco al solo scopo di purificare il male “perché si” è un movente poco stimolante e che poteva stupire, forse, 20 anni fa. Lo stessoSorey, ad esempio, abituati ad anni di protagonisti pluri sfaccettati e sebbene sempre fedeli ai vari archetipi del genere, appare oggi eccessivamente stereotipato, con un futuro già scritto e con una carica di buoni sentimenti tale da far storcere il naso ai giocatori più smaliziati. Fortunatamente, superato un impatto iniziale piuttosto fiacco, una volta assimilati i concetti basilari del particolare mondo di gioco ed entrati in contatto con i restanti membri del party, la situazione migliora sensibilmente.

Interamente basata sul dualismo che contrappone un’umanità allo sbando all’imperturbabilità dei serafini, esseri dotati di straordinari poteri magici ma invisibili all’occhio umano, una volta avviata, la trama di Tales of Zestiria, offre comunque diversi spunti di riflessione interessanti. E laddove certe volte alcuni elementi vengono liquidati in maniera eccessivamente semplicistica, il loro inserimento ha comunque permesso al team di sviluppo di sbizzarrirsi quanto basta per quanto riguarda il nuovo Battle System e la crescita dei personaggi. Se quindi per certi versi la trama non può non registrare qualche passo indietro rispetto a quella più matura e innovativa dei dueTales of Xillia, Tales of Zestiria riesce comunque a pareggiare i conti con il passato proponendo tutta una serie di nuove migliorie sul fronte della giocabilità nuda e cruda.

Il peso della trama e lo spessore dei personaggi hanno sempre giocato un ruolo di prim’ordine all’interno della serie Tales of. Sotto questo punto di vista però, Tales of Zestiria sembra partire fin dai primissimi istanti come un’eccezione alla regola

Oltre all’importanza della trama, l’altro grande pregio di Tales of è sicuramente quel il Linear Motion Battle Systemche ha reso grande la saga dai tempi Tales of Symphonia e che permette di gestire contemporaneamente fino quattro personaggi a schermo (uno attivo e tre controllati dall’intelligenza artificiale). Tale Battle System ritorna oggi in Tales of Zestiria opportunamente modificato e rivisto alla luce delle recenti conquiste di Tales of Graces F, con l’unica novità apparente legata allo svolgimento degli scontri, ora sempre e comunque disputati all’interno della mappa di gioco esplorabile e non più in arene estemporanee. Superate le prime ore di gioco, tuttavia, quello che per l’occasione è stato definito come Fusionic Chain Linear Motion Battle System, inizierà ad aprirsi al giocatore e riversare costantemente in tavola tutti i suoi assi nella manica. Ma procediamo un passo alla volta.

Per quanto generalmente umani e serafini non possano interagire fra di loro, Sorey sembra essere l’unico a poter vedere e comunicare con questi ultimi e non ci vorrà molto prima che in compagnia del suo amico di infanzia, l’irriverente Mikleo, e la dama del lago Lailah il nostro eroe impari a sfruttare i poteri di questi particolari esseri eterei. Da qui il Fusionic Chain di cui sopra, che al lato pratico si traduce nella possibilità di Sorey (e non solo) di effettuare l’Armatizzazione”, una speciale fusione con uno dei suoi compari serafini così da poter disporre di una potenza offensiva e abilità elementali particolari (ognuna associata a un coprotagonista diverso) al costo di un membro in meno sul campo di battaglia.

Un po’ come il potere “Cromatus” di Tales of Xillia 2, utilizzare la fusione con Lailah per usufruire del suo potentissimo spadone fiammeggiante o optare per un approccio a distanza grazie alle frecce d’acqua dell’irriverente Mikleo apre le porte a un modo tutto nuovo di intendere e approcciarsi alle battaglie, soprattutto in vista degli scontri con i sempre tosti boss di fine livello. Per quanto abusabile durante le fasi più squisitamente esplorative dei Dungeons e della World Map, la barra che regola tale status va comunque caricata nel tempo e da essa dipendono anche alcuni attacchi speciali e cure ad area, ragion per cui è sempre meglio ponderare al meglio quando ricorrervi e quando invece tentare di sopraffare il nemico con il vantaggio tattico del numero.

In modalità Armatizzazione l’aspetto di Sorey cambia e tende sul Super sayan 3 andante. Un po’ Kitsch a dire il vero.

Un’altra conseguenza interessante dettata dalle esigenze di trama è quella riguardante la costruzione del party, ora legata a delle regole ben precise sulla base dei membri che si desidera schierare in battaglia. Diversamente da quanto accadeva in passato, la necessità di Sorey di stringere un patto per poter sfruttare l’Armatizzazioneporta il giocatore a dover disporre i personaggi in campo a coppie di due, umano e Serafino, con i primi più affini agli attacchi fisici e i secondi inclini invece alle classiche arti magiche. Questo vuol dire che è impossibile disporre, ad esempio, di un team di soli “Tanks” tutti HP e difesa o di soli maghi in grado di lanciare esclusivamente palle di fuoco sulla lunga distanza.

Nonostante questa apparente restrizione, tuttavia, il gioco contempla l’eventualità di poter cambiare in qualsiasi momento tanto il proprio personaggio attivo quanto il partner a cui si è legati, con la possibilità di  poter sostituire all’occasione i serafini caduti in battaglia in modo da far recuperare loro le energie perdute. Si tratta di una trovata che potrebbe sembrare limitante sulla carta, ma che di fatto evolve e svecchia quanto visto fin’ora all’interno della serie, ponendo il giocatore di fronte a situazioni sempre diverse durante le quali è possibile incappare in scontri durante i quali utilizzare il solo Sorey con l’esigenza di dover cambiare costantemente il proprio partner in base alle debolezze e resistenze del nemico.

La nuova gestione del party legato al dualismo umani/serafini evolve e svecchia quanto visto fin’ora all’interno della serie, ponendo il giocatore di fronte a situazioni sempre diverse

Ad essersi evoluto, e questa volta non necessariamente in bene, è stato anche il sistema di crescita dei personaggi. Etichettare Tales of come una serie sempre uguale a se stessa è infatti un crimine visto gli innumerevoli cambiamenti che vengono introdotti ogni volta di episodio in episodio, cambiamenti che in Tales of Zestiria però sembrano essere andati un po’ troppo oltre. A complicare il sempre verde equilibrio basato su livelli di esperienza, equip, arti marziali e arti arcane, a questo giro subentra un intricatissimo sistema basato su delle rune elementali attribuite agli equip. Questi ultimi oltre ai classici incrementi in termini di forza e difesa garantiscono anche svariati bonus passivi addizionali (attacco +4%, velocità di movimento +10% e via discorrendo) che è possibile “impilare” e “concatenare” all’interno di un’astrusa griglia colorata per poterne ottenere gli effetti desiderati. Questo detto in maniera molto semplicistica perché poi al lato pratico ogni oggetto, seppur dal nome uguale, ospita al suo interno rune diverse e che spesso costringono il giocatore a dover rivedere costantemente il proprio equipaggiamento onde evitare di perdere i bonus accumulati, spesso anche a scapito di nuove e più potenti armi. Non aiuta neanche il fatto che per padroneggiare al meglio tale sistema sia necessario assistere a particolari “Skit” (gli immancabili siparietti fra i vari personaggi) che spiegano come sfruttare al meglio queste rune lungo diversi inframezzi scollegati fra di loro.

Nonostante ciò, anche qualora decidiate di non dare troppo peso a questo sistema di crescita, equipaggiando a sentimento gli oggetti che possono sembrare più forti singolarmente, i combattimenti rimangono sempre e comunque abbordabili anche ai neofiti della serie. A livello di difficoltà “normale” infatti, la sconfitta è un’opzione difficilmente contemplabile per chi avesse già avuto modo di farsi le ossa con la serie in passato, ragion per cui consigliamo di alzare l’asticella della difficoltà per lo meno a “moderato”, livello in cui i punti esperienza risultano diminuiti in favore di una migliore qualità e quantità delle ricompense e del denaro.

Come da tradizione, le boss fight saranno il banco di prova definitivo per le vostre build e conoscenze sul Combat System. Fortunatamente, con un po’ di organizzazione, difficilmente ci sarà bisogno di tornare sui propri passi a grindare livelli di esperienza aggiuntivi.

Ma se alla luce di quanto visto fin’ora in termini di storyboard e battle system ognuno potrà esprimere un diverso grado di apprezzamento in base ai propri gusti personali e ai trascorsi con la serie, dove invece Tales of Zestiriafa acqua da tutte le parti senza appello di sorta è nella sua pessima e vetusta gestione degli ambienti e della telecamera. Per quanto riguarda l’esplorazione e i Dungeons, il lavoro svolto per quello che doveva essere la celebrazione del ventennale della serie risulta qui essere totalmente inaccettabile e lontano anni luce dai fasti delle generazioni passate che ha visto in Tales of the Abyss e Tales of Vesperia alcuni dei suoi migliori esponenti. La volontà di Baba e il suo team di andare oltre i canoni di una semplice World Map in favore di un mondo di gioco maggiormente coeso e “Open World” è evidente sin dalle prime battute, tuttavia è anche altrettanto chiaro come il suo sviluppo avrebbe necessitato forse di un maggior tempo e soprattutto caratterizzazione visto che la maggior parte delle aree (soprattutto fuori dai centri abitati) si presentano vuote e prive di particolari punti di interesse.

Ma se per lo meno girovagare per il mondo è un’esperienza in grado di regalare qualche interessante deviazione dalla missione principale vista la vastità degli ambienti (leggasi: subquests), è all’interno dei Dungeons che Tales of Zestiria riesce a dare il peggio di sé. Contraddistinti spesso e volentieri da ambientazioni votate al riciclo e da percorsi che poco spazio lasciano all’esplorazione e agli enigmi, i Dungeons creati per l’occasione rappresentano il punto più basso dell’intera produzione, in grado di mettere in luce tutta una serie di problemi strutturali e tecnici che inficiano non poco sull’esperienza generale. La gestione della telecamera in particolar modo, è forse uno dei problemi più fastidiosi che affliggono Tales of Zestiria, incapace di seguire a dovere l’azione qualora la battaglia si svolgesse in un ambiente chiuso e caratterizzata dalla brutta tendenza a incastrarsi contro le pareti o gli ostacoli ambientali rendendo alcune battaglie un vero e proprio inferno.

Per quanto riguarda l’esplorazione e i Dungeons, il lavoro svolto per quello che doveva essere la celebrazione del ventennale della serie risulta qui essere totalmente inaccettabile e lontano anni luce dai fasti delle generazioni passate

Come si diceva in apertura, oltre a dover celebrare il ventennale della serie, l’altro grande compito sulle spalle diTales of Zestiria è quello di rappresentare l’approdo della serie sulla console next gen di casa SONY. Anche sotto questo punto di vista, però, le cose non sono andate esattamente come ci si sarebbe aspettati. Tales of Zestiria infatti tradisce un’origine old gen evidente sotto praticamente ogni punto di vista, dalle legnose animazioni ad alcune espressioni facciali veramente bruttine. È cosa nota che il titolo nasce e cresce con la PS3 in mente (i cui utenti ritroveranno in tutto e per tutto quanto visto nei precedenti Tales of Xillia) e che il comparto tecnico non sia mai stato esattamente il fiore all’occhiello di Tales of, tuttavia dopo l’annuncio relativo a una conversione su PS4 in pompa magna (versione da noi testata) ci si sarebbe aspettati per lo meno un’ottimizzazione migliore sul fronte delle texture, fattore che invece sembra esser passato totalmente in secondo piano e non in grado di spiegare la discrepanza di prezzo delle due versioni.

A risollevare la situazione ci pensa fortunatamente l’eccellente lavoro svolto sul fronte dell’art design, un lavoro che vede congiunti gli sforzi di alcuni artisti storici per la serie (e non solo) fra cui Minoru Iwamoto, Kōsuke Fujishima, Mutsumi Inomata e Daigo Okumura. Il risultato è un’ambientazione medieval fantasy magistralmente ricreata, piena di rimandi a tematiche di Arturiana memoria e realizzata a schermo tramite un eccellente uso dei colori e delle sfumature in grado di celare egregiamente l’arretratezza di cui sopra. Non fosse per la pessima gestione della telecamera accennata in precedenza, l’atmosfera generale che si respira osservando certi scorci diTales of Zestiria è quella di trovarsi davanti a un vero e proprio Anime. Sensazione ulteriormente avvalorata da un accompagnamento musicale di prim’ordine a opera Motoi Sakuraba (Dark Souls, Star Ocean fra gli altri), il quale firma una colonna sonora dal sapore epico da ascoltare e riascoltare anche fuori dalle sessioni di gioco. Sotto questo punto di vista per lo meno, complice anche il buon lavoro svolto con il doppiaggio (disponibile anche in lingua originale per i puristi), risulta veramente difficile trovare di che lamentarsi.

In Conclusione…

Inutile girarci attorno, Tales of Zestiria non è sicuramente il capitolo che ci saremo augurati per lanciare la serie su Playstation 4 e festeggiare i 20 anni di Tales of. I difetti sono tanti e, soprattutto agli appassionati della serie a cui principalmente il titolo si rivolge, difficili da nascondere. Eppure, nonostante una storia che stenta inizialmente a decollare, un mondo di gioco con i suoi grossi “perchè?” e la solita arretratezza tecnica ormai marchio di fabbrica della serie, Tales of Zestiria riesce comunque ad essere, nel suo complesso, un prodotto migliore della somma delle sue singole parti. Perché?

Perché Tales of è così, non è The Witcher, non è Elder Scrolls, ma soprattutto non è un gioco figlio dei tempi che corrono. Tales of è un modo di vedere il gioco di ruolo forse ormai desueto ma comunque sempre affascinante a modo suo. Come il titolo suggerisce, si tratta di un racconto e in quanto tale può piacere o no, ma a prescindere da ciò non può comunque tradire le origini e il modo di raccontarsi che lo hanno reso la serie che oggi è.

Ed è alla luce di ciò che, seppur con una leggera penalizzazione rispetto al precedente episodio, Tales of Zestiria ne esce comunque dignitosamente e questo nonostante i sopracitati difetti. Se siete alla ricerca di un gioco di ruolo vecchia scuola capace di intrattenervi per decine e decine di ore con le sue vicende e i suoi personaggi unici, senza per questo rinunciare alla velocità e alla freschezza di un sistema di combattimento al passo coi tempi, Tales of Zestiria è, ancora una volta, la scelta ideale.

Voto: 8/10

Videogiocatore incallito, divoratore di film, seguace della via del Social: praticamente una vita passata a giocare, leggere e scrivere. A volte anche contemporaneamente.

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