Syndrome – Recensione

Nello spazio nessuno può sentirti sbadigliare

Syndrome – Recensione
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Sono tanti i videogiochi che, con la scusa di essere ambientati nello spazio, magari in un’astronave semi-deserta, cercano in tutti i modi di spaventare il giocatore con effetti di luce particolari, ombre sospette che spuntano dai corridoi o rumori agghiaccianti che provengono da chissà dove.

C’è chi come Alien Isolation, sfrutta la peculiare ambientazione e grazie a innovative meccaniche di gameplay riesce a diventare un piccolo grande cult del genere e chi, come Syndrome, le tenta davvero tutte ma proprio non riesce ad raggiungere la sufficienza.

Ovviamente nessuno pretendeva il miracolo. Dopotutto la software house Camel 101 è un piccolo studio indipendente, composto da 3 sviluppatori in tutto, che non possono vantare nessun esperienza in fatto survival-horror. Ci hanno provato con orgoglio, ma purtroppo il risultato è al di sotto di un qualsiasi titolo affine già disponibile sul mercato. Syndrome non offre nulla di nuovo, nulla di stuzzicante e soffre di molti problemi tecnici oltre che narrativi. Persino l’idea alla base dell’avventura, ha il sapore di un noioso déjà-vu e con passare del tempo questa sensazione non farà altro che diventare più concreta.

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Protagonista di questo viaggio da incubo è Galen, un tecnico spaziale della nave Valkenburg, risvegliatosi di soprassalto dal sonno criogenico. Bastano pochi minuti per capire che è accaduto qualcosa di orribile sull’astronave durante la nostra “assenza”: più della metà dell’equipaggio è morto in circostanze misteriose ed i pochi superstiti sono barricati chissà dove, alienati da un opprimente paranoia nei confronti di qualsiasi altro individuo cosciente. Una volta ristabilite le trasmissioni con alcuni di loro, riceviamo informazioni confuse e contradditorie, rimanendo in forte dubbio su chi ha ragione e chi invece la ragione l’ha totalmente persa.

Come se non bastasse, totalmente disarmati (almeno all’inizio) saremo costretti ad avventurarci nei meandri della gigantesca Valkenburg, per tentare di riattivare i motori e ripristinare il sistema energetico primario, cercando quindi di ripartire e cercare al contempo di capire cos’è successo a bordo attraverso il recupero dei rimanenti sopravvissuti.
Syndrome si apre così, in maniera cruda e asettica, mettendoci immediatamente nei panni di un giovane spaurito ed impreparato a ciò che affronterà nell’immediato futuro.

Purtroppo rimane poco di buono oltre alla buona premessa iniziale ed il titolo inizia a vacillare già dopo la prima ora; l’astronave è immensa, buia e angosciante ed il suo ripetersi di corridoi e stanze tutte ma proprio tutte uguali fa spesso perdere la bussola giocatore, che dovrà quindi ricorrere alla mappa (confusionaria) per capire la propria destinazione.

Anche perché gli obiettivi sono chiari, ma l’ambientazione no: dobbiamo riavviare i motori? Perfetto, ma dove dobbiamo andare? In sala macchine o in sala comandi? E se l’energia è stata appena riattivata, perché l’ascensore ancora non funziona? Piccoli espedienti per far aumentare il grado di difficoltà e di disagio psicologico del giocatore, che finiscono però per accrescere anche la frustrazione del dover girovagare a vuoto senza giungere a particolari conclusioni.

Purtroppo rimane poco di buono oltre alla buona premessa iniziale ed il titolo inizia a vacillare già dopo la prima ora

A questo, si aggiungono occasionali visioni e voci inesistenti che incominceranno a disturbare il povero Galen con ripercussioni visive spesso improvvise e spaventose. C’è decisamente qualcosa di malvagio che aleggia all’interno della nave ed il protagonista ne sembra essere la prossima gustosa preda.

Fortunatamente potremo contare sulla forza fisica, sulla stamina, che consente brevi scatti –usati principalmente per sfuggire a situazioni pericolose- e su una vitalità che non si rigenera naturalmente col tempo. Sarà perciò fondamentale perquisire ogni angolo della struttura ed ogni cadavere martoriato che ci ritroveremo davanti, per trovare preziose razioni di cibo o medikit in grado di curare le nostre ferite.

Il primo contatto con il nemico ( al di là di sporadici avvistamenti) avviene piuttosto tardi, lasciando il tempo di prendere confidenza con i comandi, con il sistema di gioco, ridotto ai minimi termini come ogni survival-horror che si rispetti. Purtroppo anche qui, dopo un primo momento di panico, si capisce ben presto che l’intelligenza artificiale sotto la media della maggior parte dei nemici presenti sulla nave è in completa antitesi con le sensazioni disturbanti che il titolo vuole promuovere a tutti i costi.

Molte delle aberrazioni con cui dovremo combattere ripeterà sempre gli stessi pattern all’infinito e sarà poco reattivo nei nostri confronti o perlomeno risponderà in maniera confusa agli stimoli. Ad esempio, in alcune occasioni ci è capito di sfruttare a dovere le zone d’ombra per passare indisturbati in una zona pullulante di ostili, mentre in altre lo stesso tipo di nemici è stato perfettamente in grado di riconoscerci al buio e di attaccarci. Fuggendo per qualche secondo inoltre, i mutanti si “dimenticheranno” di noi, come per magia, e torneranno al loro percorso di sempre.

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Questi comportamenti altalenanti, frutto di uno sviluppo approssimativo dell’IA, incidono moltissimo sull’esperienza finale, che risulta quindi impoverita di tutti quei dettagli così caratteristici di un titolo a sfondo horror.

Non giova nemmeno la scelta di un equipaggiamento piuttosto vario (pistole, fucili, lanciagranate…), controbilanciato da una scarsità di munizioni esagerata, che costringe il protagonista ad uno stato di fuga perenne, tenendo anche conto della mole di proiettili necessaria per l’eliminazione di un singolo nemico. E’ pur vero che ci viene data la possibilità di distrarre i nemici con oggetti random raccolti in giro, ma anche in questo caso i riflessi ad una simile azione ci sono sembrati poco immediati o addirittura assenti.
La fase shooter è altresì vessata da problemi di feedback delle armi, a cui si aggiungono i movimenti legnosi e finti dei mostri mutanti, incapaci di regalare vere soddisfazioni.

L’ambientazione asettica e del tutto anonima rende il tutto ripetitivo e monotono, con il rischio di stancare molto prima del tempo

Il sistema di salvataggio è del tutto similare a quello visto in Alien Isolation e quindi sarà possibile salvare solo in determinati punti della mappa. Ma non avrete l’occasione di vederne molti, in quanto gli obiettivi che via via verranno assegnati a Galen dal nostro misterioso aiutante via radio, lo faranno tornare in zone già visitate più di una volta; il backtracking è un espediente molto marcato in Syndrome ed i checkpoint che alla fine verranno utilizzati saranno bene o male sempre gli stessi.

L’ambientazione asettica e del tutto anonima però, rende il tutto ripetitivo e monotono, con il rischio di stancare chi impugna il pad molto prima del tempo che ci vuole per terminare l’avventura, ossia intorno alle 12 ore.

Tecnicamente Syndrome soffre la presenza di numerose imperfezioni grafiche, textures poco dettagliate e ridotte, modelli poligonali antiquati e animazioni imprecise e macchinose. Alcune situazioni di gioco sono sommariamente godibili e gli effetti luce/ombra in qualche modo salvano il titolo dal disastro conclamato, attenuato anche dal fatto che il team di sviluppo indie è ridotto ai minimi termini (solo tre persone!) ed è la prima volta che si imbarca in un progetto così ambizioso.

Tremendo il sonoro, in particolar modo con l’utilizzo di cuffie o auricolari, perché manca del tutto la prospettiva spaziale dei rumori e capita di sentire passi o rantoli vicinissimi, quando in realtà non c’è nulla e viceversa. Niente da dire sulle musiche utilizzate, perché semplicemente non ce ne sono.

Conclusioni

Syndrome è un buco nell’acqua. Un tentativo malsano di avvicinarsi ai mostri sacri del survival-horror, che per mancanza di tutta una serie di fattori, finisce invece per esserne una brutta imitazione. Manca di originalità e di carattere ed è gravato da una moltitudine di imperfezioni tecniche che ne accentuano la natura approssimativa.

Purtroppo i Camel 101 si sono buttati a capofitto in un lavoro molto al di sopra delle loro attuali possibilità, e pur volendone premiare il coraggio, Syndrome non riesce proprio a raggiungere gli standard minimi di un acquisto consigliato. La tensione e la paura spuntano fuori principalmente nelle fasi iniziali, quando la formula ripetitiva adottata dalla produzione è ancora tutta da scoprire; quello che rimane dopo è noia, frustrazione e la consapevolezza dell’ennesima occasione mancata.

Good

  • Longevità sulla media
  • Alcuni momenti di sincera tensione

Bad

  • Tecnicamente antiquato
  • L'Intelligenza artificiale è altalenante
  • Mappa di gioco approssimativa
  • Design delle ambientazioni ridotto ai minimi termini
  • Uso spudorato del backtracking
4

Brutto

Amante dei tatuaggi e del buon vino, crede fermamente nella vita extraterrestre. Ha una passione viscerale per i videogames maturata nel tempo, che lo ha portato a scrivere per molte riviste italiane e siti web specializzati nel settore.

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