Popcorn Time: Gone Girl – L’Amore Bugiardo

Popcorn Time: Gone Girl – L’Amore Bugiardo

Se il soggetto non è malato non è di interesse per David Fincher, questo ormai lo abbiamo appurato.
Eppure si potrebbe incorrere nell’errore di pensare che il regista americano si sia in qualche modo imborghesito: dopo gli antichi e perversi fasti di Fight Club, Seven e Zodiac infatti Fincher ci ha raccontato storie più composte come quelle di The Social Network e Uomini che odiano le donne. Quello che però non è mai mancato (e che unisce gran parte della sua filmografia) è la volontà di rappresentare quel momento determinante in cui tutto prende una piega storta e degenera.

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Lo sguardo enigmatico di Rosamund Pike apre e chiude il cerchio di Gone Girl: cosa starà mai pensando?

Questa volta tocca al sacro vincolo del matrimonio che Fincher sviscera grazie al romanzo omonimo scritto da Gillian Flynn: per quanto il sottotitolo italiano sia (come al solito) orribile, almeno questa volta si avvicina alla storia che racconta il caso della scomparsa di Amy Dunne (interpretata da un’algida Rosamund Pike) e dei guai che passerà il marito Nick Dunne (portato sullo schermo da un sempre più valido Ben Affleck). La ricostruzione degli eventi per il ritrovamento di Amy si intreccerà profondamente con un percorso a ritroso nella storia della coppia, in un vortice di bugie e risentimenti che non è possibile approfondire per non fare spoiler.

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Pur essendo estate, i colori sono freddi. Proprio come i personaggi.

Fincher infatti gioca con lo spettatore: lo conduce su un percorso, lo inganna e lo sorprende. Il confine tra realtà e finzione è spesso labile e lungo i ben 149 minuti della pellicola avrete spesso il dubbio se quello che state vedendo è successo davvero o è un’invenzione dei personaggi. A questa incertezza contribuisce il montaggio che grazie a delle sottili associazioni mentali, va costantemente ad approfondire alcuni dettagli (che possono sembrare irrilevanti) con dei flashback che gettano nuova luce su quanto accaduto.

Uno degli aspetti più importanti che ci si aspetta di trovare quando si va a vedere un film di autore così di spessore è la ricorrenza di determinati “marchi” che in questo caso troviamo ben riproposti. Partiamo da uno dei punti di forza di Fincher, ovvero la fotografia, qui più che mai morbosa, capace di ritagliare il mondo dei protagonisti in quadri di vita quotidiana assediata da media e polizia: lo sguardo del regista è lo stesso del curioso spettatore della tv che brama nuove informazioni sul caso del momento. Notevole anche l’uso dei colori che sottolineano con tonalità calde i primi momenti di felicità della coppia e che inevitabilmente si raffreddano nella rappresentazione della crisi del matrimonio. Un altro marchio di fabbrica, la sceneggiatura tagliente, qui si ripresenta: non siamo ai livelli di Aaron Sorkin in The Social Network, ma l’aver coinvolto lo scrittore del romanzo da cui il film è tratto ha garantito a Gone Girl una coerenza narrativa adeguata ed una rappresentazione dei personaggi fedele. Curioso inoltre il fatto che entrambi i protagonisti siano scrittori e quindi esperti nell’inventare storie e personaggi, capaci quindi di mentire innanzitutto a sé stessi prima ancora che al prossimo, sino ad arrivare al punto di essere dei personaggi e non delle persone.

Gli albori di una storia… malata.

Gran parte dell’atmosfera la crea la colonna sonora che, per la terza volta consecutiva in un film di David Fincher, è curata da Trent Reznor (Nine Inch Nails) e dal suo collaboratore di lunga data, Atticus Ross. Come accaduto per The Social Network, la colonna sonora dei due musicisti è spesso più tetra di quanto lo sia in realtà il film, specie nella prima parte dove la follia dei personaggi è ancora celata da un coltre di borghesia perbenista, ma riesce comunque a sottolineare magistralmente la perversione che trasuda da ogni gesto, specie nelle  sequenze cardine della pellicola. Si tratta comunque di un accompagnamento più canonico, complice anche il coinvolgimento (inedito per i due musicisti) di una orchestra sinfonica.

Il quadro complessivo che emerge è avvilente (ma in senso positivo): Fincher sbatte su schermo in maniera estremamente composta il fallimento di una coppia, il modo in cui si sono ingannati a vicenda per anni, senza mai realmente capirsi e senza sapere cosa cercava l’uno nell’altro. Intorno a loro, il mondo non se la passa meglio: la crisi mondiale è presente in tutto il suo dramma economico e pesa come una scure sulla coppia, che smette di essere felice nel momento in cui smette di essere ricca. Non se la passano meglio le altre comparse del mondo di Gone Girl tra vicine ficcanaso, media morbosi e loschi figuri pronti ad approfittarsi del prossimo. La rappresentazione dei media inoltre merita un approfondimento per via dei palesi collegamenti con l’agenda setting dei nostri telegiornali che, a quanto pare, deve essere sincronizzata con quella americana: questioni come il femminicidio e gli abusi in casa sono affrontati con spietata parità da Fincher.
Nel complesso quindi, se possibile, Gone Girl è il film più pessimista di David Fincher: un dramma borghese in cui non si salva nessuno.

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A noi ricorda…

Alan-Wake-LogoAlan Wake: Uno scrittore non trova più sua moglie e inizia a cercarla, tra il sospetto del villaggio e della polizia: l’ho già sentita questa trama! Manca la svolta sovrannaturale in Gone Girl, ma per la prima parte il film di Fincher e il titolo dei Remedy hanno qualche punto di contatto.

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Appuntamento alla settimana prossima con una nuova recensione! Stay tuned…

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Da quando ho scoperto che i piaceri che i miei pollici opponibili potevano darmi con un joypad erano pressoché infiniti non ho mai smesso di videogiocare. Appassionato di cinema e musica, sempre e solo a livello maniacale.

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