Popcorn Time: Disconnect

Popcorn Time: Disconnect

L’avvento dei social network ha rappresentato una vera e propria rivoluzione sociale, culturale e di costume, è sotto gli occhi di tutti, e come ogni rivoluzione fonda le basi del proprio successo su fattori più o meno positivi. In poche parole, non è difficile trovare del marcio e innumerevoli scheletri nell’armadio quando si parla di fenomeni di portata globale che luccicano, ma oro non sono, o meglio, non del tutto.
E’ un gioco da ragazzi elencare i meriti di una piattaforma quale Facebook, per utilizzare l’esempio più illustre di questo nuovo  ordine (online) degli eventi, ma con il tempo e l’esperienza vengono a galla “colpe” e demeriti da pelle d’oca, ennesima conferma del fatto che – come la Storia insegna – anche il più nobile ed utile degli strumenti può diventare un’arma micidiale nelle mani sbagliate.
Cyber-bullismo, truffe telematiche, prostituzione e molte altre “amenità” sono ora agevolate proprio da quella rete onnipresente ed invasiva che sembra tenere unite le nostre vite come mai prima d’ora.
Il film che analizzerò oggi è importante proprio per l’intento dal quale nasce: indagare sul lato oscuro di internet, sul non detto celato dietro al velo virtuale che copre tutto e tutti, in particolar modo i soggetti più a rischio: bambini e adolescenti.
Per la regia di Henry Alex Rubin, il film in questione è Disconnect.
Distribuita negli States già a partire dal 2012, la pellicola approda in terra italica e cerca di ritagliarsi il dovuto e meritatissimo spazio tra simil-cinepanettoni e altri prodotti del tutto trascurabili. Pare che il compito non sia dei più facili, tant’è che il cyber-dramma a stelle e strisce arranca al botteghino, ma questo è un fattore che non può e non deve influenzare chi fosse davvero interessato ad un pregevole assaggio di Cinema.
Partiamo da una veloce occhiata al giovanissimo cast. Non vedrete volti arcinoti, ma devo dire che la scelta degli attori è stata di un’intelligenza assoluta, con contaminazioni da mondi affini al grande schermo come quello della moda: tra gli altri potreste riconoscere lo stilista Marc Jacobs e Cole Mohr, modello ventisettenne. Prova recitativa di livello superlativo per tutti, a partire dai protagonisti fino ad arrivare alle (quasi) comparse, il che è importantissimo in un film che fa dell’intensità e dell’espressività la vera e propria parola d’ordine.
Senza scadere in inutili spoiler, assisterete a più storie in qualche modo connesse (non poteri usare termine più adatto), singoli casi inscindibilmente associati ad un’unica, grande rete “mangiauomini” con molte meno regole di quanto possiate sperare.
Ora devo fare una distinzione, o meglio dividere la mia analisi con un taglio netto e presentarvi brevemente le due metà che ne derivano.
La prima: da un punto di vista critico ed obiettivo non posso certo gridare al miracolo, il film è intenso, scorre senza intoppi e non presenta particolari problemi, senza tuttavia oltrepassare quel “mistico” e famigerato confine tra opera ed opera d’arte. Bello, ricco di spunti, ma tutto sommato simile ad altri e non esente da cliché (ve ne accorgerete soprattutto con una delle situazioni raccontate).
La seconda: dal punto di vista soggettivo e appassionato di chi si confronta ogni singolo giorno con rapporti interpersonali “virtuali” e ben conosce le distorsioni che l’immediatezza di internet ha portato nella comunicazione quotidiana, non posso che applaudire ad un lavoro tanto impegnato e profondo, sono rimasto scottato dal realismo e dalla preoccupante attualità di alcune sequenze, spaventose proprio perché troppo vicine, troppo riconoscibili e riconducibili alla realtà in cui viviamo.
Disconnect non è un capolavoro, ma un invito ad aprire gli occhi e come tale lo giustifico e lo consiglio, senza se e senza ma.

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A noi ricorda…

 “Watch Dogs”: questa volta il paragone regge senza sforzo, tralasciando come di consueto linee di trama, personaggi e tutta la rosa di aspetti propri dell’una e dell’altra opera, in entrambe siamo posti di fronte al devastante (in positivo così come in negativo) potere della tecnologia ed agli effetti più o meno immediati di azioni così semplici da compiere, ma – di fatto – spesso irreversibili, definitive.
Ci stiamo avvicinando al tanto anticipato scontro uomo – macchina?

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Alla prossima con la recensione de I, Frankenstein, che grazie al gentile invito di Koch Media abbiamo potuto vedere in anteprima mondiale con tanto di presentazione tenuta dall’attore protagonista, Aaron Eckhart. Stay tuned!

 

"Write drunk; edit sober." E. Hemingway

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