Come Pokémon Blu e Rosso cambiarono la mia vita da giocatore

Acchiappali tutti.

Pokémon Rosso e Blu

Inizierò questo speciale dedicato ai Pocket Monsters con un aneddoto (spero) inaspettato, una storia che non ho mai raccontato a nessuno, che rivelerà oltretutto la mia vetusta età da nerd attempato. Probabilmente in pochi ricordano una vecchissima trasmissione RAI chiamata Turisti per Caso, che aveva come protagonisti una coppia di italiani, Syusy Blady e Patrizio Roversi, che giravano in mondo nella metà degli anni novanta. In particolare, mi riferisco a un trittico di puntate uscite verso la fine di quel decennio, dedicate esclusivamente alla terra del Sol Levante per come era in quel periodo.

Satoshi Tajiri

Satoshi Tajiri, il “papà” di Pokémon con il Game Boy Color.

Beh, quella trasmissione ha avuto due straordinari pregi: introdurmi al Giappone moderno (del quale mi innamorai perdutamente) e farmi conoscere, per la prima volta in assoluto, il franchise di Pokémon. Ero molto piccolo ma rimasi incredibilmente affascinato da quel mondo lontano, così diverso da sembrare un altro pianeta. E rimasi ipnotizzato dalla visita di Patrizio al quartier generale di Nintendo: un italiano lì, in quello che all’epoca era uno dei Sancta Sanctorum del videoludo, l’altare della creatività digitale, il tempio del giocatore. E poi accadde la magia: un gameboy e le primissime versioni di Pokémon Rosso, mostrate per la prima volta in una televisione nazionale, così, senza preavviso. Qualcosa in me era attratto da quel gioco, e quei pochi minuti in compagnia di una demo giapponese di Pokémon Rosso e Blu mi avevano già convinto. Volevo a tutti i costi vedere quel mondo digitale, scoprire di più sui pocket monsters e vedere se era davvero così magico come appariva sul mio televisore CRT.

E la risposta fu, ovviamente, sì.

Ben prima dell’arrivo dell’anime e dell’esplosione della Pokémon-mania, divenni avido di riviste specializzate per reperire più informazioni, più dettagli, più novità. Cos’è un Caterpie? All’epoca non lo sapevo, ma appariva sui primi screenshot e quindi volevo saperne di più. E quel drago rosso, Charizard? Non ne parliamo. Inutile dirvi che quando il gioco arrivò in Italia, fui in coda per acquistare la mia copia e Pokémon Blu mi aprì un mondo completamente nuovo.

Il mondo videoludico nel 1996/1999 e la nascita di Pocket Monsters

Pokémon Rosso

La copertina originale di Pokémon versione rossa per Game Boy.

In pochi sanno che l’idea di Pocket Monsters venne a Satoshi Tajiri alla fine degli anni ’80. Ancor meno sono a conoscenza della passione per coleotteri e insetti vari (un hobby popolare fra i bambini giapponesi dell’epoca) del fondatore di Game Freak, che inizialmente pensò a “Capsule Monsters”, un gioco dove collezionare e far crescere mostri proprio grazie a questo suo passatempo di gioventù. Nel 1989, insieme a quell’altra leggenda di Ken Sugimori, Tajiri fondò Game Freak e due anni dopo vide nel Game Boy di Nintendo, all’epoca appena uscito, la piattaforma ideale per il suo concept. Le persone tendono a ricordare Pokémon come un franchise dal successo immediato, una hit wonder da milioni di copie vendute sin dai suoi albori.

La verità è stata ben più travagliata di così: Tajiri e Sugimori impiegarono sei anni per sviluppare il loro titolo, che nel frattempo si era trasformato in Pocket Monsters, lavorando senza sosta, affrontando problemi finanziari che quasi costarono la bancarotta a Game Freak (Tajiri stesso rinunciò alla sua paga per qualche tempo), oltre che perdere diversi dipendenti che diedero le dimissioni spaventati dall’incertezza che aleggiava sull’azienda (al tempo Game Freak arrivò a toccare un picco di nove dipendenti).

Pokémon Blu

La copertina originale di Pokémon versione blu per Game Boy.

Nonostante i lunghi tempi di sviluppo e la situazione non proprio florida dello studio, Nintendo non smise di credere nel progetto e persino sua maestà Shigeru Miyamoto diede un consiglio a Tajiri e Sugimori: quello di dividere il gioco in due versioni, per incentivare gli scambi e l’interazione fra giocatori. L’idea piacque così tanto che per omaggiare Miyamoto e Tajiri i due protagonisti del gioco vennero rinominati Satoshi e Shigeru (nella versione giapponese). Il primissimo capitolo di Pocket Monsters arrivò quindi in due versioni, Red e Green, su una console che era giunta praticamente verso la fine del suo ciclo vitale. Inizialmente l’accoglienza fu buona ma non esaltante, rimanendo sulle 200.000 copie in Giappone.

Tuttavia le cose iniziarono a cambiare nel 1997: grazie al passaparola, le copie vendute iniziarono a lievitare, alimentate dalla dichiarazione dell’esistenza di un Pokémon segreto, Mew (inserito inizialmente per scherzo da Shigeki Morimoto, ma annunciato in maniera molto seria da Tajiri stesso), ed esplosero con l’annuncio e l’uscita dell’anime di Pokémon su TV Tokyo. La richiesta fu tale che, ancora oggi, Pokémon Rosso/Verde/Blu detengono il record di copie vendute in Giappone (oltre 10 milioni).

L’occidente fu travolto poco tempo dopo, e l’uragano Pokémon ci colpì con la stessa forza: undici milioni di copie in USA e quasi altrettanti in Europa, con giocattoli, carte collezionabili e gadget che spopolavano in tutto il mondo. In pochissimo tempo il progetto quasi personale di Satoshi Tajiri e Ken Sugimori era diventato un fenomeno culturale di massa, capace di influenzare il mondo videoludico e i media per i futuri 25 anni.

Un cambio di prospettiva

Pokémon

Le primissime schermate di lotta: essenziali, spartane, non particolarmente belle. Eppure uniche.

Ma come mai Pokémon è riuscito in questa impresa? Come hanno fatto due sviluppatori giapponesi ad immaginarsi uno dei franchise più imponenti ed importanti degli ultimi venticinque anni? Nonostante una risposta certa a queste domande sia di difficile da dare, proviamo ad analizzare questa situazione, mettendo in chiaro una cosa. Lasciatevelo dire da uno che questi venticinque anni li ha passati tutti: Pokémon Rosso/Blu aveva e ha una sorta di magia che trascende lo schermo da 65 millimetri del Nintendo Game Boy. Non si può certo dire che la prima iterazione dei Pocket Monsters brillasse per il suo comparto grafico, anzi: già per l’epoca gli standard erano ben altri, e si stava avvicinando l’era della PlayStation 2, presentata nella primavera del ’99. In un mondo che aveva scoperto la grafica 3D già dal 1994, Pokémon riuscì dove altri fallirono: far leva sull’immaginazione dei giovanissimi per proporre un titolo innovativo con una grafica estremamente spartana, con tutti i limiti del primissimo Game Boy. Personalmente, ricordo le serate passate alla luce di una vecchia lampada per cercare i Pokémon più rari, gli scambi con gli amici, i pomeriggi e le ore che scorrevano via mentre si cercava di catturare Zapdos, Moltres o Articuno.

Pokémon

Un momento magico: la prima scelta del Pokémon iniziale.

Pokémon Blu/Rosso ha cambiato drasticamente il modo di approcciarmi ai videogiochi e, sebbene allora non lo capissi, influenzò pesantemente la personalissima visione del medium videoludico in maniera piuttosto irreversibile. Certo, è difficile spiegarlo ora, nel 2021, in un mondo costantemente connesso, dove scambi e iterazioni fra utenti sono il pane quotidiano dei giocatori. Ma dovete capire che all’epoca giocare significava stare in casa e spararsi ore davanti un titolo prettamente single player. Le eccezioni c’erano, ma a meno che non voleste farvi un torneo di Street Fighter II, le iterazioni fra giocatori erano molto più limitate e rappresentavano, appunto, un’eccezione.

Cercate di comprendere quindi cosa significasse per l’epoca giocare a un titolo che era sostanzialmente un GDR nel quale si poteva duellare con gli amici, preparare la squadra e scambiarsi Pokémon, proprio come in una delle avventure di Ash Ketchum viste nei pomeriggi su Italia 1 o, per i più raffinati, proprio come Rosso e Blu nel manga originale di Hidenori Kusaka. In più, tutto sembrava così reale, ben più di molti altri titoli dal comparto grafico più blasonato. Muoversi fra le foglie di Biancavilla o ascoltare gli inquietanti lamenti di Lavandonia (Junichi Masuda ha composto delle musiche che definirei immortali per questo gioco) è un’esperienza che ha cambiato la vita ludica di molti, nonché l’internet stesso. Basti pensare alla famigerata “Lavender Town Syndrome”, una creepypasta legata proprio alla cittadina di Lavandonia, e alle decine di leggende urbane legate a Mew che chiunque in quell’epoca ha sentito almeno una volta.

L’eredità di Rosso e Blu

Come avrete facilmente intuito da questo mio piccolo wall of text, la primissima iterazione di Pokémon ha cambiato non solo il mio personalissimo modo di approcciarmi al videoludo, ma anche il nostro medium preferito più in generale. Ciò che Rosso e Blu hanno fatto è stato stravolgere le regole del gioco, prendere una console a fine ciclo vitale e renderla di nuovo un best seller, oltre a gettare le basi per un nuovo tipo di gioco di ruolo, ad oggi imitato ma mai eguagliato, che ha saputo catturare l’immaginario collettivo di milioni di giocatori in tutto il mondo. Ancora oggi Pokémon Rosso e Blu sono il gioco di ruolo più venduto della storia.

Quello che è successo dopo lo sapete tutti: l’alba di un franchise multimilionario, una serie di titoli che ci accompagna ancora oggi e poi carte da gioco, gadget, film di animazione e live action; futuri parchi a tema e ancora molto, moltissimo altro. Il progetto di Tajiri e Sugimori è andato ben oltre le loro più rosee previsioni, trasformandosi dal sogno di due amici a una delle più potenti ed evocative ambientazioni fantastiche dei tempi moderni, e ditemi se è poco considerando che tutto è iniziato da una cartuccia su Game Boy nel 1996.

Questi venticinque anni sono passati piuttosto in fretta, ma ancora oggi quel titolo è lì, nel mio cassetto, con il Game Boy di fianco. Ogni tanto lo guardo e lo accendo, giusto per masticare un po’ di quella malinconica nostalgia che fa sorridere e che ti riporta il buonumore. Pokémon Blu rimane uno dei miei giochi preferiti di sempre, affianco a mostri sacri quali Super Mario Bros, Final Fantasy VII e Metal Gear Solid. Tuttavia, ed è difficile da ammettere, è forse quello che ha influenzato più in assoluto il mio essere giocatore.

E oggi, venticinque anni dopo, non vedo l’ora di sapere cosa si nasconde nel futuro di Pokémon.

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Nato nel medioevo videoludico, i fantastici anni ’80, Amedeo è cresciuto con i grandi classici del gaming, passando per tutte le console sulle quali riuscisse a mettere le mani. Appassionato fino alla morte di Star Wars e The Witcher, vive fra mondi fatti di LEGO e GDR cartacei. Nel tempo libero gli piace dare legnate in palestra e leggere libri.

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