Viviamo il passaggio di consegne tra eroi Oni
Non so quale sia la convergenza astrale in cui sono incorso, ma in questi ultimi mesi sto vivendo una meravigliosa luna di miele con Capcom e la sensazione è che sembra non debba finire mai. Sto assistendo al continuo ritorno dei brand e dei titoli che più ho amato, tra vecchi e nuovi giochi, ed è sempre una gioia, come nel caso di Onimusha 2: Samurai’s Destiny.
Stiamo parlando di un secondo capitolo di una serie che ha goduto di una certa rilevanza ma che non necessariamente è rimasta impressa a fuoco nella memoria dei giocatori, anche e soprattutto perché dopo l’era PlayStation 2 (console che ha ospitato tutti i titoli del franchise) non si è mai riusciti a trovare voglia e idee per riproporre il demoniaco Giappone dell’era Edo in un titolo che potesse incarnare ambizioni e creatività del publisher nipponico.

Fortuna vuole che dopo 3 generazioni sia finalmente arrivato il momento di mettere nuovamente in scena Onimusha, con un gioco del tutto nuovo previsto per il 2026. Devo davvero dire di essere entusiasta della notizia? Beh, non sarebbe una sorpresa se lo fossi, considerato l’incipit di questa recensione, ma comunque lo confermo: immaginare Miyamoto Musashi nel bel mezzo delle battaglie tra Demoni e Oni è spettacolare e sarà difficile pazientare fino all’uscita.
Per questo accolgo con grandissimo piacere questa “re-release” di Onimusha 2: Samurai’s Destiny, che va ad aggiungersi al già disponibile Onimusha: Warlords e ci permette di esplorare nuovamente le origini di questa curiosa serie: come se la cava nel 2025? È tempo di mettersi nei panni del maestro spadaccino Jubei Yagyu e lanciarci nella nostra sfida al demone Nobunaga per scoprirlo!

Ciò che maggiormente colpisce di questo titolo una volta avviato è la sua capacità di vivere in una sorta di sospensione temporale in cui da un lato abbiamo una proposta audio/video relativamente moderna per risoluzione, framerate e qualità generale degli asset mentre dall’altra la struttura di base rimane letteralmente la stessa di 20 e più anni fa: evidentemente è il classico caso di porting/remaster realizzato per offrirci un gioco nella forma in cui “ce lo ricordiamo” (e non necessariamente in quella che era all’origine).
il classico caso di porting/remaster realizzato per offrirci un gioco nella forma in cui “ce lo ricordiamo“
Il lavoro di Capcom si intuisce già dalle dimensioni del gioco (ben 20 e più giga), che attestano senza troppi dubbi un intervento piuttosto massiccio sugli assets. Salvo i video e i fondali prerenderizzati, difficilmente “restaurabili” in modo apprezzabile, tutto il resto ha subito un bel lifting per quel che concerne dettagli e pulizia, in particolare nel caso dei personaggi e delle texture delle ambientazioni.

Purtroppo non riusciremo mai (salvo grandi progressi dell’IA) a toglierci di dosso la sensazione che i giochi con telecamere fisse e sfondi 2D siano una bruttissima gatta da pelare, ma tutto sommato questo Onimusha 2: Samurai’s Destiny sembra essere riuscito a trovare un compromesso più che accettabile per quel che concerne la resa finale. Certo non dovete concentrarvi sui piedi o sui muri invisibili, ma nel nome della preservazione si può chiudere un occhio.
Onimusha 2: Samurai’s Destiny sembra essere riuscito a trovare un compromessi più che accettabile per quel che concerne la resa finale
Ricordiamo infatti che stiamo parlando di un titolo action costruito sul canovaccio dei classici Resident Evil, quindi affidandosi a telecamere fisse e continui cambi di inquadrature ad effetto, puntando sulla qualità e le animazioni dei fondali (prerenderizzati) per sopperire ai limiti tecnici del 3D dell’epoca. Gli scontri spesso avvengono in spazi ristretti o in condizione di visuale ridotta e questo faceva parte del “bello” (con che coraggio lo sto dicendo) dell’esperienza. Nel 2025 è davvero un tuffo nel passato senza paracadute.



Prevedibilissima quindi la spinta verso un sistema di controllo tentacolare che possa permettere al giocatore di avere sempre sotto controllo ogni meccanica, superando i limiti dell’epoca. Il sistema di cambio delle inquadrature è infatti sempre stato associato ai controlli “player relative”, o “tank” (premi avanti/indietro, il personaggio cammina in avanti o arretra, con destra/sinistra gira su sé stesso) per evitare costanti cambi di direzione che avverrebbero con un controllo “screen relative” (il personaggio va nella direzione dove punta la levetta, indipendentemente dalla scena), cosa risolta solo nel 2001 con un magheggio tecnico di prim’ordine dal primo Devil May Cry e quasi mai applicata in altri giochi.
Nelle prime fasi di gioco ci si trova ad allenarsi un po’ nel padroneggiare entrambi i sistemi e a sfruttarli al meglio
Qui possiamo invece passare liberamente dal controllo old-style, associato alla croce direzionale, a quello più moderno, riservato alla levetta analogica. A ognuno il suo, verrebbe da dire, ma in realtà in alcuni contesti è davvero complesso (per non dire impossibile) raggiungere certi cunicoli con i controlli moderni per via del sopracitato cambio di telecamere, quindi nelle prime fasi di gioco ci si trova ad allenarsi un po’ nel padroneggiare entrambi i sistemi e a sfruttarli al meglio. Alla lunga sono i controlli moderni a occupare la maggior parte del tempo, ma quando ci sarà da raggiungere una cesta piazzata in modo strano vi torneranno in mente le mie parole, ne sono sicuro!


Grafica e controlli a parte, positivamente in linea con questo genere di produzioni, bisogna anche capire di che genere gioco stiamo parlando. Onimusha 2: Samurai’s Destiny, come detto in precedenza, appartiene a una serie horror/fantasy nata da una costola di Resident Evil, cosa avvenuta anche in altri contesti e per altri titoli (come ad esempio Dino Crisis) nelle generazioni PlayStation 1 e 2, con tanto di sperimentazioni anche da sviluppatori terzi.
Qui si respira l’aria da RPG, con un hub centrali di riferimento, personaggi con cui interagire, luoghi da visitare in più occasioni e una trama decisamente molto più articolata
Infatti questo secondo capitolo ci propone aree da esplorare, porte da aprire, scorciatoie da sbloccare (ehi, ma è Dark Souls?) ma lo fa in una struttura meno lineare rispetto al suo predecessore, un po’ più semplice e ingenuo nella sua proposta. Qui si respira l’aria da RPG, con un hub centrali di riferimento, personaggi con cui interagire, luoghi da visitare in più occasioni e una trama decisamente molto più articolata nel mettere insieme il micro e il macro. Nulla di sconvolgente per gli standard moderni e oggi si patisce un po’ la rigidità della struttura, al tempo però il tutto era considerato “top” e a ben vedere.


La progressione rimane quasi del tutto identica all’originale e vede il giocatore impegnato a raccogliere armi differenti per tipologia e poteri elementali, potenziandole grazie alle anime dei demoni che verranno sconfitti. Da un lato c’è il potenziamento diretto, dall’altro il giocatore che deve padroneggiare parate e tempismo per eseguire micidiali contrattacchi (oh no, sembra ancora un soulslike!). A questo però si aggiungono le pepite d’oro, da raccogliere nella nostra avventura, con cui acquistare oggetti più o meno utili dai mercanti o dagli NPC, in alcuni casi cruciali per proseguire nella quest.
Un’avventura più appassionante, divertente e a tratti strategica
Altra aggiunta è da ritrovarsi nei companion: Onimusha 2: Samurai’s Destiny vede infatti un cast variegato di personaggi che ruoteranno attorno Jubei, il protagonista, offrendo il loro supporto in battaglia (più o meno intenso a seconda di quanti regali gli faremo) e potendo essere controllati direttamente in alcuni contesti. Al contrario di Samanosuke (protagonista di Onimusha: Warlords), il cast è composto da di figure estremamente rilevanti nella storia del Giappone e spesso già utilizzate in altri titoli (Samurai Warriors, Samurai Shodown, Sengoku Basara, etc.).
Una bella divergenza rispetto all’avventura solitaria e opprimente che ha vissuto il caro e vecchio Samanosuke in Onimusha 1: il cambio di registro di offre un’avventura più appassionante, divertente e a tratti strategica – pur nella sua semplicità strutturale di gioco fatto per essere giocato e rigiocato per migliorarsi. Infatti oltre ai differenti livelli di difficoltà, è presente anche una nuvoa modalità “Inferno” davvero impegnativa.



Che dire di questo titolo giocato oggi? Onestamente credo che molti nuovi giocatori o comunque chi non abbia la passione per il recupero delle vecchie perle potrebbe non cogliere la grandezza di questo titolo, ma per quanto mi riguarda rigiocarlo è stato un viaggio favoloso, che mi ha ricordato come alcune produzioni possano mutare ed evolvere nel tempo se affidate a mani differenti.
Per quanto mi riguarda rigiocarlo è stato un viaggio favoloso
Se nel primo gioco si respirava un’atmosfera cupa eppur nobile, in questo sequel invece si sono abbracciati tutti i virtuosismi del teatro e della recitazione nipponiche, offrendo ampio spazio ai personaggi per esplorarne virtuosismi, debolezze e raccontare storie di conflitti e dilemma, senza però perdere l’occasione di giocare con i luoghi comuni del genere (e.g. eroe tutto d’un pezzo e donna infatuata che neanche viene vista) e sperimentare con figure eccentriche da teatro kabuki o introdurre folli ibridi tra magia e tecnologia, quasi fossimo in un super sentai.

Anche solo i dialoghi più semplici possono essere seguiti prestando attenzione alle piccole animazioni del corpo e dei volti (cosa da non sottovalutare, considerando che è un gioco del 2002) per cogliere gli elementi di complicità tra gli attori in scena. Gli incontri tra Jubei e Gogandantess (personaggio spettacolare) offrono sempre moltissimo come messinscena tra prossemica e interpretazione, nonostante il doppiaggio inglese non proprio al top per sync e temporizzazione.
Onimusha 2: Samurai’s Destiny ci ricorda anche quanto fosse divertente all’epoca avere titoli ricchi di modalità extra
Onimusha 2: Samurai’s Destiny ci ricorda anche quanto fosse divertente all’epoca avere titoli ricchi di modalità extra, comprese alcune molto buffe come quella dedicata all’Uomo in Nero, e come oggi recuperare ogni dettagli dei giochi originali aggiungendo gallerie e dietro le quinte contribuisca a offrire un pacchetto di valore anche a livello contemporaneo. A proposito di gallerie, forse mi sono abituato troppo bene con quelle presenti nelle raccolte di picchiaduro Capcom e avrei apprezzato qualcosa in più relativo all’epoca (qualche banner pubblicitario o simili), ma va bene così, anche perché è stato aggiunto davvero tantissimo materiale.
Conclusioni
Onimusha 2: Samurai’s Destiny, pur in questa sua riedizione abbastanza “basilare”, ci ricorda con successo che abbiamo vissuto un’epoca in cui si è provato a reinterpretare un format di successo in forme diverse, spesso con grandi slanci creativi figli di una specifica epoca e cultura. Al tempo il fascino era indubbio, oggi il contesto può risultare un pelo difficile da digerire per i meno affini a queste tipologie di gaming e rappresentazione.
I fan della serie devono comprarlo a occhi chiusi, in quanto è una delle migliori riproposizioni di titoli del genere che abbia visto negli ultimi tempi, in particolare alla luce dei limiti tecnici in cui incorrono queste rimasterizzazioni e della rinnovata immediatezza nella giocabilità grazie alla completezza dei controlli.
In generale Onimusha 2: Samurai’s Destiny era una testimonianza della grandezza di Capcom nell’era PlayStation 2 ed è un titolo meritevole anche oggi nonostante gli enormi progressi del genere d’azione/esplorazione, in particolare grazie ai soulslike, che hanno reso quasi anacronistiche le esperienze così concise e piene di carattere. Che comunque vale la pena riscoprire.

Good
+Un enorme passo avanti rispetto al prequel a livello di design e ambizione+Personaggi, mondo e mitologia sfoggiano un enorme carisma+Porting che fa il suo dovere+Tutte le modalità e gli extra dell'epoca presenti (se non di più)Bad
-Un po' macchinoso per il nuovo pubblico-Alcune situazioni (sia di gameplay che di narrativa) mostrano il peso degli anni
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