Metro: Exodus – Recensione Aggiornata (PC & PS5)

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Morire per (soprav)vivere

Metro Exodus
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Metro Exodus è uno sparatutto in prima persona, story-driven di 4A Games che combina combattimenti e modalità stealth con l’esplorazione e il survival horror in uno dei più profondi e completi mondi dei videogiochi mai creati.

Data di Uscita:Genere:PEGI:Sviluppatore:Editore:Versione Testata:

Sin dall’annuncio, credevo e speravo in cuor mio che questo Metro: Exodus fosse una sorta di seguito spirituale di quello S.T.A.L.K.E.R. a cui vari membri di 4A Games, lo studio di sviluppo di questo terzo tassello tratto dai romanzi di Dmitrij Gluchovskij, avevano lavorato prima che GSC Game World si sgretolasse (salvo poi tornare come uno zombie, ma questa è un’altra storia).

La nuova struttura “aperta” pareva essere un più che valido indizio, anche a costo di snaturare ciò che aveva reso i primi due Metro così affascinanti, quell’atmosfera nera fatta di radiazioni miste a fuliggine e disperazione.

Dopo averlo giocato e averne meglio compreso i confini, ludici e non, la sensazione è di avere tra le mani un ottimo capitolo di transizione, non perfetto, ma assolutamente in equilibrio tra la tradizione, di cui ne è assolutamente rispettoso, e la volontà di gettare le basi di qualcosa di più grande e ambizioso.

Metro: Exodus è uno shooter duro e puro, single player (e per giunta doppiato in italiano, altra rarità), atmosferico e “grezzo” come i predecessori, tranquilli. L’influenza survival è sempre presente, seppur meno estenuante di un Subnautica a caso (meglio specificarlo per i neofiti della serie), idem quella più orrorifica e claustrofobica.

Già, perché nonostante la presenza di vaste mappe esplorabili, persino a bordo di veicoli di fortuna, il fulcro del gioco restano le discese nelle viscere della Terra, che sia in una metro, in un bunker (apparentemente?) abbandonato, in una fogna, alla ricerca di questo o quell’oggetto o strumento necessario alla sopravvivenza dell’Aurora e del suo equipaggio.

Uno shooter duro e puro, atmosferico e “grezzo” come i predecessori

È un treno della speranza, malconcio e arrugginito, carico di sogni, quelli di Artyom, che non contento di aver salvato gli abitanti dei sotterranei di Mosca, ora vuole provare a dare un appiglio alla restante umanità. Sì, c’è una restante umanità al di fuori dei confini della capitale russa: il governo lo ha tenuto ben nascosto, con tanto di schermature e menzogne cucite su misura. Il protagonista, preso per pazzo dai suoi commilitoni e amici, aveva ragione: le trasmissioni che captava di tanto in tanto salendo sulla superficie divorata dalle radiazioni, a suo rischio e pericolo, provenivano da lontano.

C’è ancora qualcuno in vita, magari in un’oasi verde, in cui l’acqua è pulita, gli alberi crescono rigogliosi, e non ci sono creature immonde a vagare affamate per le strade, tra le carcasse di una civiltà annichilita dalla Terza Guerra Mondiale.

Giochi in uscita

In un disperato susseguirsi di vicende, scandito dal cambio di stagione e da momenti rilassati a bordo del treno, tra canzoni popolari strimpellate con una chitarra, una sigaretta in sala macchine e chiacchierate davanti ad un bicchiere di vodka, Artyom, l’amata Anna, il Colonnello Miller e soci scopriranno ben presto però che di umanità (inteso come sentimento), nel resto della Russia, ne è rimasta ben poca: bestie immonde, volanti e non, banditi della steppa, predoni del deserto, selvaggi della taiga, cultisti, sono solo alcune delle categorie di folli e minacce che incroceremo sui binari in un viaggio lungo un anno, per decine di migliaia di chilometri lungo l’immenso paese.

Non tutti però da massacrare a spron battente: la serie Metro ha sempre offerto scelte, ed Exodus non è da meno. Scelte fatte non a suon di risposte multiple, ma di modalità di approccio. L’opzione non violenta, avanzando tanto stordendo quanto non torcendo un capello (in qualche caso basterà deporre l’arma per evitare spargimenti di sangue), è infatti promossa in primis dai nostri compagni, i quali, in un riuscito tentativo di rendere vivo e credibile il mondo di gioco, commentano infastiditi la nostra brutalità o ci ricordano di missioni secondarie (non scritte) ancora da portare a termine.

Il senso di sopravvivenza non è legato solamente ai pochi proiettili ma anche da una costante spada di Damocle: cosa fare, e soprattutto, come farlo?

Le grandi mappe in cui sono divisi i vari “atti” presentano infatti numerosi punti di interesse, da esplorare a nostro rischio e pericolo. Potrebbero contenere un collezionabile (lettere, diari, cartoline), una preziosa mod per le armi (mirini, caricatori più grandi) e per l’equipaggiamento che va ad aumentare la resistenza della nostra maschera a gas (che, rompendosi nel bel mezzo di una nube tossica, porta dritti verso la morte) o la luminosità della torcia (utilissima contro alcune tipologie di nemico), un qualche oggetto assolutamente opzionale ma che influenza dialoghi e sequenze in compagnia dei nostri commilitoni, o delle sempre utili risorse con cui riparare le armi e ricaricare i proiettili presso un (raro il giusto) banco da lavoro, o per fabbricare medikit e filtri per la maschera anti-gas.

Oppure un bel niente.

Non tutte le decisioni possono essere giuste, no? Nulla vi vieterà di ignorarli completamente e di tirare dritti, riducendo però l’immersione, ma è pur vero che con uno sforzo extra, il team avrebbe potuto rendere più stimolanti questi contatti fuori dal sentiero battuto. Per i fan assetati di lore alcuni sono imperdibili, ma non aspettatevi un vero e proprio sistema di missioni à la RPG: lo trovate scritto qualche riga più in alto, Metro: Exodus resta uno shooter duro e puro, al netto di meccaniche di crafting e di una certa forma di libertà di approccio (in cui anche la scelta dell’orario, tra giorno e notte, influenza l’esito degli scontri, ad esempio).

Insomma, l’avete capito, il senso di sopravvivenza non è legato solamente ai pochi proiettili e alla nemmeno troppo remota ipotesi di ritrovarsi senza risorse di dover correre come pazzi perché il filtro si sta per esaurire, o senza munizione e di essere quindi costretti ad avanzare in completo silenzio, ma anche da questa costante spada di Damocle: cosa fare, e soprattutto, come farlo?

Il meglio di sé Metro: Exodus lo dà al buio, al silenzio, con i brividi che corrono lungo la schiena

Indipendentemente dall’approccio, qualcosa in più poteva essere fatto per le animazioni e per l’Intelligenza Artificiale: le prime fanno a volte comparire goffi alcuni gesti, sia compiuti da terzi che dallo stesso Artyom quando interagisce con il mondo circostante (ma nulla di frustrante). La seconda, almeno a difficoltà normale, non offre sempre nemici all’altezza quando si sceglie l’approccio all guns blazing, che viene premiato da un campionario di armi variegato e personalizzabile, oltre che soddisfacente in fase di puro shooting, ma sminuito quando le nostre vittime sacrificali (almeno quelle umane) si limitano ad attendere il nostro proiettile dritto in testa, o sembrano confuse.

Compensano i gruppi di creature, i jump scare, gli zombie che compaiono all’improvviso dalla sabbia, i John Rambo che vi piazzano una molotov nell’alcova in cui vi siete nascosti a cecchinare, comunque. Ma il meglio di sé Metro: Exodus lo dà al buio, al silenzio, quando avete 3 proiettili contati in canna e la costante sensazione che qualcosa stia per sbucare da dove meno ve lo aspettate, con i brividi che corrono lungo la schiena. È dannatamente atmosferico, nonostante la luce, il sole, il verde, l’acqua fresca della taiga e la rigogliosa primavera, tutti elementi splendidamente realizzati grazie ad un comparto tecnico eccellente, che brilla anche su PC non proprio recenti (1080p, qualità Ultra e FPS tra i 30 e i 45 – qualche incertezza solo contro gruppi molto folti di nemici – su un PC che monta su un processore i5-760 da 2.80 Ghz e una 980 Ti), ma che con una scheda della famiglia serie 20 di GeForce sfrutta pienamente il ray tracing per garantire un sistema di illuminazione ancor più impressionante.

Davvero fastidioso invece il sistema di salvataggio, che prevede solo un save automatico e uno manuale: oltre a non poter salvare su più slot (impedendo così di poter sperimentare varie strategie di approccio, e ci sta in un’ottica survival), quello automatico mi ha lasciato in qualche occasione in situazioni davvero scomode (nemici appena allertati, o nel mezzo di uno scontro a fuoco).

Versione PS5

Non contenti dell’ottimo lavoro svolto con il titolo base, quelli di 4A Games hanno ben pensato di portare il loro Metro: Exodus anche su nuovi lidi, spingendo al massimo, lato prestazioni, i PC e le console next-gen. Dopo la Enhanced Edition, arriva infatti anche un corposo aggiornamento per PS5 e Series X|S (gratuito per i possessori delle versioni old) che, strano a dirsi, non fa troppo rimpiangere la versione PC.

Lo abbiamo provato su PS5 e possiamo confermare innanzitutto che è molto più bello da vedere: i 60 fps sono granitici e quasi inscalfibili, merito di una risoluzione dinamica molto malleabile (che dai 4K scende, anche fino ai 1080p nelle sezioni più ampie, senza però farsi notare troppo), la qualità di texture ed effetti è migliorata vistosamente, ma è il Ray tracing a farla da padrone. Scordatevi i riflessi visti su PC, ma in compenso l’illuminazione ha subito un revamp sontuoso, a tutto vantaggio dell’atmosfera, uno dei punto di forza di Metro: Exodus: provate ad usare l’accendino per dare fuoco a una ragnatela, o ad accendere una torcia in un antro buio, per credere.

Impugnando il DualSense poi, l’emozione diventa ancora più concreta, con vibrazioni mirate e la resistenza dei grilletti che cambia in base all’arma impugnata (il Tikhar in particolare, con la faticosa ma super soddisfacente ricarica manuale).

Insomma, se avete una versione PS4, aggiornatela immediatamente. Se avete una PS5 ma non avete mai giocato Exodus, cosa aspettate a dargli una chance?

Conclusioni

Se temevate (come il sottoscritto) che le contaminazioni potessero infettare e rovinare Metro: Exodus, potete dormire sonni tranquilli: per quanto palesi, non rappresentano il cuore dell’esperienza, che resta ben radicata nel buio a cui ci hanno abituato i due predecessori.

Le attività secondarie di cui pullulano le pozioni aperte del mondo sono del tutto opzionali, utili a godere pienamente di ciò che il gioco ha da offrire (e a semplificarvi la vita), ma non necessarie: nulla vi vieterà di tirare dritti per la vostra strada e focalizzarvi su una narrazione meno epica, ma coinvolgente e disperata, che alterna qualche spiraglio di luce al buio omega, e su un sistema di scelte a base di approcci, più che di mere linee di dialogo, che influenza non solo la meta, ma anche il viaggio stesso in tanti piccoli modi, rendendolo ancor più vivo e pulsante che mai.

Metro: Exodus è la dimostrazione che vale ancora la pena sviluppare sparatutto in singolo di alta qualità senza il bisogno di snaturarne l’essenza diluendone inutilmente il contenuto. E al contempo, sa di antipasto di un ritorno a quel glorioso passato di cui 4A Games stesso (o meglio, chi l’ha fondato) ha fatto parte.

Good

  • Claustrofobico e atmosferico (nonostante tutto)
  • Grande libertà di approccio
  • Le mappe più aperte e le attività secondarie donano ulteriore profondità (ma sono assolutamente opzionali)

Bad

  • Animazioni a volte davvero goffe
  • IA non proprio stellare
  • Sistema di salvataggio da rivedere
8

Imperdibile

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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