Il nostro viaggio da Inquisitori è costellato di troppi inciampi per spiccare come avrebbe potuto
Su Mandragora: Whispers of the Witch Tree ho avuto modo di esprimermi qualche settimana fa, con delle prime impressioni positive e una generale curiosità su come si sarebbe potuta evolvere l’esperienza. Rammaricata, mi sono resa conto continuando a giocare e arrivando ai titoli di coda che, nel proseguire, l’esperienza si è fatta inutilmente frustrante, ben poco bilanciata e con una progressione del personaggio limitata ad alcune classi – ben più efficaci – o particolari strategie, mentre altre non avevano alcun effetto affrontando nemici e boss di difficoltà sempre più ingiustamente crescente. Il combattimento finale è stato la ciliegina sulla torta di un gioco che avrebbe potuto essere tanto e, invece, si è perso per strada come se a un certo punto gli sviluppatori non sapessero in che modo bilanciare un’esperienza che stava favorendo il giocatore.
Non è un gioco insufficiente, chiariamo, quanto piuttosto una grande occasione mancata che cerca di essere tante cose ma alla fine non riesce in nessuna, risultando un insieme di tante parti mal amalgamate dove i diversi problemi emergono con sempre maggior intensità. Le premesse per un titolo di spicco, in grado di offrire un metroidvania lodevole, erano lì da vedere per le primissime ore, poi però sono scemate in un insieme troppo confuso dove spiccano troppo i bastoni tra le ruote del giocatore.
Partiamo dalle premesse narrative. Il nostro personaggio, uomo o donna che sia, è un Inquisitore al servizio del Re Sacerdote, che dalla Città Scarlatta governa su una terra martoriata da creature oscure e, parrebbe, streghe: non esiste inquisizione, infatti, senza un obiettivo eretico cui dare la caccia e loro ne sono la personificazione. Cresciuta, io ho scelto una donna, tra i dogmi della Chiesa dopo essere stata strappata dalle braccia della madre, la mia Inquisitrice si trova in una posizione precaria per aver dato una morte rapida a una strega condannata al rogo – una sofferenza gratuita alla quale non ha potuto assistere oltre. Questo ha messo lei ma soprattutto il Re Sacerdote in discussione, poiché il popolo mormora che qualcuno ha osato combattere la sua volontà; un’Inquisitrice, nientemeno. Dopo aver volto la situazione a proprio favore, forte della sua influenza, l’uomo mi ha comandato di andare a cercare un’altra strega e di riportargliela viva. Se consideriamo che per catturare la precedente sono serviti tantissimi soldati, molti dei quali morti o feriti in modo invalidante, va da sé che quest’ordine ha soprattutto il sapore di una punizione. Nondimeno, mi sono preparata e sono partita per un viaggio che mi avrebbe portato ai confini del mondo e di una verità tenuta nascosta.
Il nostro personaggio, uomo o donna che sia, è un Inquisitore al servizio del Re Sacerdote
Dal punto di vista della storia, Mandragora: Whispers of the Witch Tree non reinventa alcuna ruota ma pone in essere una trama piacevole, ricca di personaggi peculiari e antagonisti tipici di un fantasy medievale ma non per questo così scontati. Forte anche di un valido doppiaggio, di una direzione artistica e in generale di un’ottima estetica, a colpo d’occhio non gli si può negare proprio nulla. Sono le scelte di gameplay da un certo punto in avanti a minarne la qualità fino a farlo scivolare verso una posizione più precaria di quanto avrebbe potuto essere altrimenti.

Passiamo alla costruzione del personaggio e al combattimento. Una volta scelta la classe iniziale, non si può accedere alle altre prima del livello 25, raggiunto il quale sarà possibile sbloccare il nucleo degli altri alberi delle abilità e proseguire con una build differente o con un mix di due. Il problema principale di questi alberi delle abilità è che sono troppo carichi di statistiche, rendendo difficile scegliere dove muoversi, ma soprattutto sono più orientati di quanto si pensi all’uso di una singola classe: provare a creare, per esempio, una combinazione di rogue e mago (ce ne sono di diversi tipi) porta un risultato fin troppo debole da ambo le parti, e lo stesso vale per altre combinazioni. L’unica dualità che potrebbe funzionare è quella tra maghi ma anche in questo caso ci si trova di fronte a statistiche e scelte da compiere sul lungo periodo poco concludenti. Avrei preferito una progressione standard delle statistiche con una maggior concentrazione sulle abilità per rendere le classi effettivamente diverse tra loro.
Mandragora: Whispers of the Witch Tree prova a emulare l’approccio soulslike senza però la stessa libertà, poiché ci sono dei percorsi da seguire nell’albero dei talenti, non posso far davvero salire le statistiche a piacimento. Ne risulta un impianto che dà qualche vago risultato se si resta fedeli a una sola build e pur così facendo ci sono dei problemi di bilanciamento non indifferenti – concentrarsi, per dire, quasi esclusivamente sulla difesa porta comunque a poter essere uccisi in uno o due colpi da certe creature o boss, vanificando dunque gli sforzi tesi a un approccio più difensivo. Per non parlare del solito, eccessivo sbilanciamento che vede i maghi prevalere su qualsiasi classe corpo a corpo, quasi a voler spingere verso una scelta che non sempre coincide con le preferenze del giocatore, magari più affine allo scontro diretto.
Una volta scelta la classe iniziale, non si può accedere alle altre prima del livello 25
Agganciandomi alla questione combattimento, il primo aspetto, magari non immediato, di cui ci si rende conto è la pressoché totale assenza di feedback dei colpi, sia dati sia soprattutto ricevuti. Alle fasi iniziali dell’avventura lo si potrebbe notare ma i nemici non rappresentano un vero problema e, pur accorgendosene, non risulta problematico. Lo diventa proseguendo, soprattutto contro certi boss, quando l’impatto di certi attacchi è a stento percettibile nonostante sia in grado di prosciugarci quasi del tutto la salute. Il feedback audio dei colpi si può riassumere in due suoni: spugnoso o secco. Il primo è predominante quando si parla di colpi inflitti, poiché l’altro si percepisce in rarissime occasioni, ovvero solo contro in nemici in armatura completa, lasciando una generale insoddisfazione durante le battaglie. Quando invece si parla di colpi subìti, c’è solo l’effetto spugnoso che, in virtù dell’assenza di altri indicatori come ad esempio una vibrazione del pad (se lo si usa), spesso non permette di rendersi conto di aver ricevuto danni: il risultato è vedersi uccisi poco dopo perché inconsapevoli di essere stati gravemente feriti.

Non è l’unico difetto del sistema di combattimento, che annovera il posizionamento spesso discutibile dei nemici, nonché la loro tipologia, tra le maggiori fonti di frustrazione. In termini di design e varietà, le creature comuni concorrono a creare un bestiario interessante, quando tuttavia vengono messe assieme in alcuni punti della mappa, soprattutto in assenza di potenziamenti quali il doppio salto, il bilanciamento dell’avventura viene molto messo in discussione. Troppe situazioni da morte immediata o quasi, così come la possibilità dei nemici di colpire fuori dallo schermo con una precisione assoluta e da distanze a volte assurde. I dardi o le frecce hanno un limite entro cui colpire, mentre altri mezzi come i massi scagliati o le magie raggiungono grandi distanze con il risultato di ucciderci quando magari pensiamo di essere lontani a sufficienza dal pericolo per poter bere una pozione.
Questi momenti di morti ingiuste e/o istantanee occorrono anche durante l’esplorazione ma ne parlerò a tempo debito. Restando sul combattimento, più si prosegue con il gioco più ci si rende conto che diverse zone sembrano essere fatte per ostacolare in modo estremamente artificioso, con un picco di difficoltà immotivato e soprattutto una distribuzione dei checkpoint fin troppo arbitraria: non è raro morire in una boss fight e ritrovarsi a dover macinare lunghe distanze piene di nemici od ostacoli che potrebbero uccidere in un istante, obbligando a rifare ancora una volta il percorso oppure consumare cure che avremmo preferito tenere per la boss fight. Non dico che bisogna necessariamente piazzare un punto di salvataggio fuori dalla stanza del boss, però agevolare la strada da percorrere, prendendo esempio anzitutto da From Software (che pur critico per molti altri aspetti) e magari premiando il giocatore per aver esplorato bene la mappa trovando una scorciatoia, sarebbe stata una soluzione più adeguata del continuo, frustrante andirivieni spesso più letale della boss fight.
Diverse zone sembrano essere fatte per ostacolare in modo estremamente artificioso
A proposito di boss, o nello specifico miniboss, se From Software in particolare con Elden Ring ha portato la fiera del riciclo a livelli non indifferenti, Mandragora: Whispers of the Witch Tree sembra aver preso la questione a livello personale. Ho perso il conto di quanti ratti, giganti, demoni o creature di sorta ho visto ripetersi, spesso identici nel design, ma anche quando cambiano leggermente mantengono lo stesso set di mosse al punto da risultare noiosi, prevedibili o frustranti se, pur essendo uguali ai precedenti, trovandoci in una zona nuova hanno la facoltà di ucciderci in un colpo. Capisco che limitazioni soprattutto di risorse possono portare a dover riutilizzare degli asset ma a questo punto sarebbe preferibile puntare meno sul numero e più sulla qualità, perché davvero all’ennesimo miniboss identico a quello di poche schermate prima viene soltanto da sospirare e alzare gli occhi al cielo.

Veniamo infine all’esplorazione, il punto cardine di ogni metroidvania. Non mancano nemmeno in questo caso diversi problemi, tra level design e i succitati checkpoint distribuiti un po’ troppo arbitrariamente. Di per loro le ambientazioni non sono male, sebbene a volte sia facile perdersi per via di una generale somiglianza tra le aree; l’ostacolo principale è il platforming, pensato per essere, di nuovo, fonte di morte istantanea anziché un’esperienza sfidante ma comunque corretta – fermo restando che possono esistere degli estremi come il Path of Pain di Hollow Knight, però si tratterebbe di aree opzionali. Fra cadute fin troppo comuni, una generale difficoltà a capire cosa ci aspetta dopo, collisioni che ogni tanto uccidono il personaggio sul colpo senza motivo, alcune piattaforme dove non è possibile appendersi non si sa bene perché e trappole che sono l’epitome della morte sul colpo (spuntoni, alabarde oscillanti, eccetera), quell’esplorazione che dovrebbe essere il maggior punto del divertimento con il suo senso di scoperta ed eventuali ricompense si trasforma in un calvario a mano a mano che si prosegue.
Troppe, davvero troppe aree fuori dalla vista del giocatore, che richiedono un salto nel buio con conseguente morte solo per capire se quella fosse davvero la direzione verso cui procedere
Credo di non aver mai odiato un’area come il castello dei vampiri o la foresta dei licantropi, con il loro level design specificatamente pensato per essere una totale spina nel fianco, popolato da nemici che, come ho già scritto, non sono ben distribuiti sia in termini di posizionamento sia di tipologia per sé; il fatto che poi le ricompense alla fine di una tale tortura non siano così soddisfacenti rende il tutto ancor più frustrante. Troppe, davvero troppe aree fuori dalla vista del giocatore, che richiedono un salto nel buio con conseguente morte solo per capire se quella fosse davvero la direzione verso cui procedere. L’implementazione del doppio salto, una volta sbloccato, è ugualmente discutibile poiché ha una specifica finestra di utilizzo e non può essere usato in fase di caduta, rendendolo meno utile di quanto in teoria dovrebbe essere. Mandragora: Whispers of the Witch Tree mi ha ricordato troppo da vicino Aeterna Noctis, che soffriva degli stessi problemi di level design, gestione dei nemici e soprattutto difficoltà artificiale.

Un ultimo punto riguardante l’esplorazione è l’Entropia. Trattasi di un mondo parallelo al nostro nel quale possiamo, o a volte dobbiamo per motivi di trama, navigare per ottenere ricompense o appunto continuare con la storia. Ora, prendete quanto detto finora sull’esplorazione, ossia il level design e le eccessive situazioni di morte istantanea, e applicatele qui aggiungendo che nell’Entropia c’è il fattore tempo contro di noi. Per navigare al suo interno dobbiamo disporre di una particolare lanterna, che otterremo a uno specifico punto di trama, la cui energia è a scadenza e determina sostanzialmente la nostra possibilità di permanere all’interno di questo reame senza morire.
Prendete quanto detto finora sull’esplorazione, ossia il level design e le eccessive situazioni di morte istantanea, e applicatele qui aggiungendo che nell’Entropia c’è il fattore tempo contro di noi
La lanterna può essere potenziata ma resta il fatto che, soprattutto verso la fine, i livelli sono troppo legati a un fattore di trial and error per essere apprezzati davvero (contando inoltre la presenza di nemici o miniboss); inoltre, sebbene morire non comporti una dipartita effettiva perché la lanterna ci salva riportandoci nel nostro mondo con salute e cure ripristinate, fallire significa ricominciare dall’inizio poiché non ci sono checkpoint all’interno dell’Entropia, solo occasionali punti in cui ricaricare la lanterna a prendere un attimo di respiro. Nonostante Mandragora: Whispers of the Witch Tree, sia definito come un misto tra metroidvania e soulslike, con maggior enfasi sul primo aspetto, la sensazione dopo averlo completato è che abbia preso in particolare il peggio di quello che dovrebbe essere un soulslike, mentre la parte metroidvania lascia un po’ il tempo che trova fra level design, esplorazione e potenziamenti.
Altro aspetto in buona parte legato all’esplorazione, anche se non completamente, riguarda i mercanti che piano piano popoleranno il punto da noi scelto come “base”, se così vogliamo definirla. Proseguendo con l’avventura incontreremo personaggi più o meno bizzarri che andranno a stabilirsi nel nostro accampamento e dai quali potremo ottenere oggetti o equipaggiamenti di vario tipo: dall’alchimista al cuoco, passando per il fabbro, la sarta, l’orafa, il cartografo e infine il mago, ciascuno di loro potrebbe supportarci nel nostro viaggio. In realtà siamo più noi a farlo con loro per il gusto del completismo, poiché ciascuna di queste attività può essere migliorata fino al livello 11 e lo si fa consegnando ai personaggi progetti di oggetti che li riguardano – da qui il legame con l’esplorazione – oppure acquistando o fabbricando suddetti oggetti. Il processo è piuttosto lento, soprattutto se pensate di incrementare il livello solo tramite compere o creazione, e non ha moltissimo da offrire in cambio, considerati i difetti del sistema di combattimento e delle classi offerte. Resta tuttavia un elemento da prendere in considerazione e offre, in ogni caso, un cast ben scritto e differenziato, ciascuno valorizzato da alcune missioni personali completando le quali possiamo sapere qualcosa di più su di loro, oltre a ottenere oggetti particolari.
A dispetto delle critiche, lo ripeto, Mandragora: Whispers of the Witch Tree non è un gioco insufficiente. Se la cava per il rotto della cuffia grazie all’estetica e a una storia che pur nel suo cliché funziona, così come a momenti in cui genuinamente ci si sente coinvolti e si percepisce l’esperienza per ciò che sarebbe potuta essere, se non avesse mirato a troppo per le sue possibilità. Un peccato, perché le fondamenta ci sono e le prime ore lasciano intendere un potenziale che tuttavia troppo presto si rivela sprecato.
Conclusioni
Mandragora: Whispers of the Witch Tree si è rivelato, dopo le buone premesse iniziali, un gioco privo di identità, che cerca di essere un po’ tutto senza dimostrarsi davvero qualcosa: non è un soulslike, poiché ne prende gli aspetti base ma li implementa nel modo più frustrante possibile; non è un metroidvania, perché tra level design, platforming discutibile e abilità legate all’esplorazione carenti e poco sfruttate, non restituisce la favorevole sensazione di progressione che invece altri esponenti del genere (senza scomodare i pionieri) hanno offerto; non è un action GdR perché il bilanciamento degli alberi dei talenti, così come dei nemici quando scalano con il giocatore raggiungendo però picchi di difficoltà assurdi, risulta poco equilibrato rendendo alcune scelte di classe o di approccio al combattimento deboli quando non inutili. Mette in campo una buona storia, cliché ma comunque valida, e un comparto artistico di tutto rispetto, che però sul piatto non controbilancia a dovere un’esperienza nel complesso troppo confusa e con solo rari momenti in cui si intravede cosa sarebbe potuta essere.

Good
+Artisticamente ottimo+Buona storia, pur nei suoi cliché+Alcuni momenti genuinamente soddisfacenti...Bad
-... che tuttavia si perdono in un insieme troppo confuso-Sistema di crescita del personaggio e combattimento da rivedere-Sbilanciato nella difficoltà, con picchi inspiegabili e casuali-Level design fin troppo orientato alla punizione gratuita-Eccessivo riciclo dei miniboss che a volte permea anche la trama
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