Logan – The Wolverine – Recensione

Crudo, diretto ed emozionante, il lavoro di Mangold e Jackman centra l'obiettivo.

Logan recensione
Logan

La locandina del film.

Dopo quasi vent’anni di X-Men e cinecomic vari, era difficile pensare a qualcosa che non fosse già stato mostrato, visto e ingollato dal grande pubblico nelle più svariate versioni. Crossover, reboot e remake hanno però atrofizzato la nostra emotività legata al pantheon dei supereroi, catturata spesso dalla spettacolarità delle grandi produzioni Marvel che si fanno via via più simili ad una grande serie TV.

Una delle poche costanti in questo ventennale del cinecomic è appunto Hugh Jackman, che ha ormai Wolverine incollato sulla pelle dal 2000, arrivato finalmente alla sua ultima interpretazione. L’attore ha voluto dire addio al suo personaggio più noto con un film totalmente diverso, sia per stile che per contenuti, non più edulcorato da un PG-13 tanto odiato dagli appassionati del mutante canadese (e non solo). James Mangold riprende quindi la regia (dopo un mediocre Wolverine – L’Immortale) per portarci attraverso le due ore ed un quarto di Logan – The Wolverine.

Ore intense, crude, cariche di un peso trascinato dal protagonista e trasmesso direttamente al suo pubblico. Wolverine infatti non è più l’eroe invincibile che abbiamo conosciuto nei film degli X-Men: avvelenato dai suoi stessi poteri, praticamente privato del suo fattore rigenerante, Logan è un alcolizzato, spezzato sia nel corpo che nella mente, che si trascina fra un giorno e l’altro, con un lavoro squallido in un mondo che non ha più mutanti, sterminati dalla paranoia dell’homo sapiens. Assieme a lui, al confine fra Texas e Messico, vivono Caliban, un mutante fotosensibile in grado di percepire la presenza dei suoi simili, e Charles Xavier, una volta conosciuto come il Professor X ed ora ridotto ad un vecchio stanco, in preda alla senilità ed all’Alzheimer, che deve essere tenuto costantemente sedato per evitare crisi pericolosissime per sé stesso e per chiunque gli sia vicino.

Logan recensione

Crudo e violento, Logan ci mostra un lato dei cinecomic che mai pensavamo di vedere.

L’anno è infatti il 2029, un futuro decadente che strizza l’occhio alle lande desolate ed alle ambientazioni cupe di Mad Max. Un velo scuro segna i toni della pellicola, permeando tutto il girato con malinconia e rassegnazione. Gli X-Men non esistono più se non in vecchi fumetti. La radio parla di acque avvelenate. Il professore è confinato dentro una vecchia cisterna d’acqua, e Logan porta sempre con sé un proiettile d’adamantio per sé stesso.

È solo lo sconvolgente arrivo di Laura (la bravissima Dafne Keen), una bimba dal passato oscuro e dal carattere selvaggio e primordiale, a risvegliare dal torpore sia il professore che lo stanco guerriero. Inizia così un percorso duro, conflittuale, fatto di sangue e dolore, carico di emozioni. La violenza c’è tutta ed è cruda, rabbiosa e reale quanto può esserlo un vero film di Wolverine. Logan non risparmia niente e nessuno, sopratutto sé stesso: è un film forte, più violento di Deadpool e cento volte più intenso. L’alchimia fra la piccola Laura e lo stanco Logan è una versione distorta del più strano rapporto padre/figlia che si possa immaginare, ma funziona. La furia ferina della ragazzina è uno dei punti cardine del film, un vero e proprio motore trascinante che spinge tutti gli altri personaggi ad agire ed a uscire dalla loro triste e malinconica condizione.

L’ultimo Wolverine è il miglior Wolverine.

Patrick Stewart rende, un’ultima volta, giustizia al suo Professor X, che per buona parte del film regola il ritmo di quasi tutte le scene, dall’azione al sentimentalismo, senza contare il (pochissimo) humor presente. Una eccellente interpretazione la sua, non solo quella di un mutante dai poteri oramai senza controllo, ma sopratutto quella di un uomo anziano, malato, che sa di stare andando incontro all’inevitabile morte.

L’unica e forse più evidente mancanza di questo film è l’assenza di un vero e proprio villain. Certo, c’è Boyd Holbrook nei panni del mercenario Pierce, ma non riesce mai del tutto a convincere (né il pubblico, né Wolverine stesso). Il vero cattivo è proprio Logan con tutti i suoi demoni, che porta con sé lentamente ed inesorabilmente, ombre che lo logorano pezzo dopo pezzo, trascinandolo a terra. Logan – The Wolverine è un film con un’anima profonda e probabilmente uno dei cinecomic più riusciti mai prodotti da Hollywood, che qualunque amante del genere (ma non solo) dovrebbe vedere. Hugh Jackman non poteva lasciare il personaggio con una chiusura migliore, e siamo decisamente contenti che l’abbia fatto in questo modo crudo e violento: d’altronde Wolverine è il migliore in quello fa, nonostante ciò che fa non è mai piacevole.


Nato nel medioevo videoludico, i fantastici anni ’80, Amedeo è cresciuto con i grandi classici del gaming, passando per tutte le console sulle quali riuscisse a mettere le mani. Appassionato fino alla morte di Star Wars e The Witcher, vive fra mondi fatti di LEGO e GDR cartacei. Nel tempo libero gli piace dare legnate in palestra e leggere libri.

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