Life is Strange: Double Exposure, la nuova avventura di Max è una fotografia sbiadita – Recensione

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Qualcuno ha ucciso la migliore amica di Max e ora tocca a lei, con i suoi poteri, scoprire la verità

Life is Strange: Double Exposure, dopo tanta attesa, è finalmente tra noi, e in questi giorni abbiamo ovviamente avuto la possibilità di tuffarci a fondo nel nuovo capitolo, sequel a diversi anni di distanza (in gioco e nella vita vera) dell’originale Life is Strange. La protagonista è ancora una volta Max Caulfield, che dopo i tragici eventi di Arcadia Bay gira il mondo e affina le sue abilità da fotografa fino a diventare riconosciuta, avendo così la possibilità di esibire i propri lavori in diverse mostre ed essere anche citata su riviste di pregio. Questo la porta a ricevere un invito da parte dell’Università Caledon, nel Vermont, affinché tenga un corso agli studenti: poiché la vita da freelance non è sempre facile, Max accetta e si trasferisce in loco. A dispetto del suo carattere chiuso, che già la caratterizzava nel primo LiS e qui è anche esacerbato dal peso che si porta dietro, riesce a stringere amicizia con Safiya Llewellyn-Fayyad e Moses Murphy: aspirante poetessa la prima e astrofisico il secondo, riescono a tirare fuori Max dal proprio guscio, almeno fino a quando una tragedia torna a stravolgere la tranquillità che si stava lentamente costruendo. Una sera, Safi viene trovata morta da Max stessa assieme a Murphy, giunto pochissimo dopo sul posto, proprio all’interno del campus.

Distrutta dalla perdita dell’amica, che le ricorda il suo passato a prescindere dalle decisioni che prenderete all’inizio del primo episodio, Max si rifiuta di credere possa trattarsi di suicidio, come alcune ipotesi della polizia sembrano suggerire, e indaga per conto suo. I suoi poteri si sono lentamente spenti con il tempo, eppure qualcosa riprende a mostrarsi finché non esplodono ancora una volta ma non sono più quelli di quando era una liceale: anziché riavvolgere il tempo, Max si scopre in grado di attraversare la propria realtà per finire in una parallela dove Safi non è mai morta. Il tempo dunque scorre identico tra i due mondi, definiti della vita e della morte per ovvi motivi, ma ciò che vi accade e persino il comportamento di alcuni personaggi è diverso. Nonostante l’evidente confusione verso un potere diverso da quanto ricordava, e i dubbi su cosa possa generare, Max prosegue con le proprie indagini spostandosi da un mondo all’altro per cercare di ottenere informazioni utili a ricostruire i fatti e il movente dietro l’omicidio di Safi. Inoltre, la Safi del mondo della vita sarà al sicuro?

Max si scopre in grado di attraversare la propria realtà per finire in una parallela dove Safi non è mai morta

Life is Strange: Double Exposure, sviluppato questa volta da Deck Nine, che già ha dimostrato di saper gestire l’universo narrativo dedicato a Max, torna con una storia più articolata della precedente, in cui due mondi si alternano e potrebbero persino arrivare a intrecciarsi, che tiene anche conto degli eventi passati. Il primo episodio serve soprattutto a farci conoscere Max dopo tanti anni di stacco dal gioco originale: cos’è successo ad Arcadia Bay, decisione che prenderemo noi, le conseguenze, la strada che ha percorso per arrivare dov’è ora e via discorrendo. Il personaggio di Chloe non è presente fisicamente indipendentemente dalle scelte che prenderete all’inizio del primo episodio ma, in entrambi i casi, ha un forte impatto su Max che non riesce davvero a dimenticarla: nel mio caso le decisioni hanno seguito la direzione presa nel 2015 con l’originale LiS, perciò Chloe e Max sono andate via da Arcadia Bay instaurando una relazione. Sebbene avessi preferito vederla tornare come personaggio, e per quanto ne sappiamo potrebbe con i prossimi capitoli, comprendo il motivo che nel tempo ha spinto le due ad allontanarsi e trovo che al momento sia stato ben implementato – a patto leggiate bene ogni messaggio o pagina di diario, che assieme alle occasionali riflessioni di Max vanno a contestualizzare il rapporto.

I nuovi personaggi sono comunque in grado di rubare la scena senza far soffermare troppo il giocatore sul passato, in particolare Safi: ho molto apprezzato la sua indole sarcastica e spigliata, al punto che indagare sulla sua morte è diventata fin da subito una questione personale. Deck Nine riesce quindi, nel giro del solo primo episodio, a farci familiarizzare con alcuni dei personaggi e in particolare la vittima, andando poi a espandere questo e altri personaggi nel cosiddetto mondo della vita. Le due realtà sono un po’ le facce di una stessa medaglia e mi è anche molto piaciuto che a dispetto del nome e dell’atmosfera logicamente più allegra, non essendo avvenuto alcun omicidio, il mondo della vita abbia più ombre di quante ne mostri quello della morte. A causa di avvenimenti diversi il cui punto zero è la sopravvivenza di Safi, siamo testimoni di questioni, risvolti caratteriali o scheletri nell’armadio che andranno a mettere alla prova le certezze di Max su diverse persone tra cui proprio la stessa Safi. Il desiderio di andare a fondo nella questione resta immutato ma gli interrogativi, anziché risolversi, aumentano solo.

Life is Strange: Double Exposure torna con una storia più articolata della precedente

Un po’ com’era la Blackwell, anche la Caledon nasconde, dietro la facciata spensierata di un ateneo, segreti più profondi di quanto si possa immaginare proprio grazie ai personaggi che la frequentano. Dal punto di vista narrativo gli eventi si intersecano sempre di più a mano a mano che Max passa da un mondo all’altro, sfruttando un potere le cui conseguenze sembra inizino a mostrarsi verso la fine del secondo episodio con un’impennata proprio sul finale che, come la serie ci ha abituato, ci lascia con un cliffhanger non da poco seppur abbastanza prevedibile nella direzione presa, perché mette ancora una volta Max di fronte alle potenziali conseguenze di un uso sconsiderato dei suoi poteri – una lezione che avrebbe dovuto imparare ma sulla quale sembra ricascare. Dall’altro lato, è anche vero che non può propriamente ignorarli, poiché hanno un’influenza fisica su di lei tra improvvisi capogiri e sanguinamenti dal naso: che lo voglia o no, deve proseguire e sbrigliare non una ma due matasse.

Dal punto di vista della storia, tuttavia, Life is Strange: Double Exposure, che potete recuperare sullo shop online di GameStop, regge e funziona fino alla conclusione del terzo capitolo. Ci sono delle situazioni non propriamente allineate e una in particolare che non trova spiegazione né utilità nel corso dell’intero gioco, lasciando la sensazione che sia solo un espediente per togliere dall’equazione un personaggio altrimenti scomodo, ma fino a quel momento riesce a costruire un buon intreccio introducendo personaggi con molto potenziale. Gli ultimi due capitoli, al contrario, sembrano buttare molto di tutto questo alle ortiche, proseguendo su una strada tortuosa che porta la storia a torcersi su se stessa perdendo quel senso metaforico e di intimità che invece aveva il capitolo originale.

Pur comprendendo gli intenti di Deck Nine, o quantomeno presumendo di intenderli, non sono riuscita ad apprezzare come siano stati messi in scena: se di fondo l’idea sembra essere quella di chiudere un cerchio su Max apertosi con il primo Life is Strange, il modo in cui viene esposto è piuttosto confusionario e in realtà mai davvero chiaro nei suoi scopi. Io personalmente posso dire di averci visto un’idea ma non è detto sia corretta e, qualora lo fosse, l’esposizione resta quantomeno discutibile – ci sono tanti fili ma pochi vengono tirati e molte situazioni restano appese, messe in un angolo, oppure chiuse in modo frettoloso. Apprezzo in particolare la caratterizzazione di Max e Safi, o la valida costruzione del personaggio di Gwen Hunter e in una certa misura anche di Moses, mentre gli altri vivono di alti e bassi. Detto questo, a pesare molto sull’esperienza complessiva è l’assoluta mancanza di conseguenze che le nostre azioni hanno: a dispetto dell’avviso che segue quelle scelte ritenute rilevanti non ci sono ripercussioni tangibili come invece è stato nel gioco originale – che vanta momenti di assoluta tensione come il delicatissimo confronto con Kate Marsh.

A pesare molto sull’esperienza complessiva è l’assoluta mancanza di conseguenze che le nostre azioni hanno

Nel corso dell’intera esperienza non ho mai davvero sentito il peso delle mie decisioni, né ho avuto contezza delle loro conseguenze; se cambia qualcosa, è talmente sottile e irrilevante al fine della trama da non rendersi percettibile. Se ben ricordate l’originale, a cui faccio riferimento perché questo ne è il diretto seguito con la stessa protagonista, non solo diverse nostre decisioni ma azioni stesse avevano una futura ripercussione sul destino dei personaggi (Alyssa Anderson, Victoria Chase, la senzatetto) mentre in Life is Strange: Double Exposure non sembra accadere nulla di tutto questo. Intendiamoci, non volevo la tragedia obbligata a ogni costo ma se c’è una cosa che abbiamo imparato dalle disavventure di Max alla Blackwell Academy è proprio come persino un’azione all’apparenza insignificante possa avere un forte peso nel breve o lungo periodo. Qui invece il gioco sembra scorrere su dei binari abbastanza predefiniti, con leggere variazioni che tuttavia non portano con loro quelle medesime conseguenze di cui siamo stati partecipi a suo tempo: un pattern, questo, che in realtà abbiamo già visto in Life is Strange: True Colors dove i finali principali erano due e le decisioni prese nel corso della storia non avevano granché influenza se non sulla benevolenza o meno dei cittadini nei confronti di Alex.

Deck Nine si è dunque sempre tenuta più indietro rispetto a Don’t Nod e se può essere legittimo in un racconto inedito diventa più difficile quando prendi in mano il seguito di un gioco tanto delicato come Life is Strange, che basa il suo intero intreccio proprio su quanto la vita e il destino si disinteressino di noi e dei nostri desideri, rispedendo duramente al mittente le nostre scelte ed evidenziando come un sacrificio sia necessario prima o poi lungo il percorso. Per come l’ho inteso, Life is Strange: Double Exposure vuole riconciliare Max con un passato nel quale è ancora impantanata, troppo segnata dalla sua scelta – quale che fosse – per guardare al futuro; lo fa, però, in un modo eccessivamente soffice e, nonostante Max sia sempre lì a ricordare come i poteri abbiano sempre un prezzo, questo non è mai davvero visibile e tutto si limita a variazioni così leggere da risultare impercettibili mentre altre vengono proprio lasciate lì, dimenticate.

Al netto, come ho scritto, di una valida caratterizzazione soprattutto di Max e Safi, la storia nel suo complesso langue di quel pathos e quella drammaticità di cui godeva l’originale, così come della sua intimità nel ricordarci che non tutto è alla nostra portata per essere sistemato e qualcosa, presto o tardi, dovrà essere lasciato indietro. A un certo punto non è neppure chiaro se e chi sia l’antagonista di tutta la vicenda, poiché laddove Mark Jefferson si poneva come la mente maestra dietro lo spettro che aleggiava sulla Blackwell e personaggi come Nathan Prescott potevano essere considerati comunque degli ostacoli, quello che emerge qui non ha la stessa potenza narrativa a dispetto di premesse con un certo potenziale. Viene molto derubricato e depotenziato soprattutto nel quarto capitolo, dove dovrebbe esserci la svolta decisiva dalla quale poi il quinto prende piede per chiudere tutte le questioni in sospeso e invece nulla viene davvero concluso o gestito narrativamente a dovere.

La scrittura tentenna molto, troppo, lasciandoci con spizzichi e bocconi di situazioni di fronte a cui ci chiediamo “quindi?” ma senza che il gioco ci offra una risposta, limitandosi a metterle da una parte e forse riprenderle, tenendosi comunque vago e mai risolutivo in merito. In un certo senso è come se riprenda le fondamenta del primo Life is Strange ma le vada ad alleggerire troppo, quasi scimmiottando gli eventi e modificando qui e lì all’occorrenza: gli eventi non sono gli stessi eppure, nel loro essere circoscritti all’università Caldwell, ricordano un po’ troppo la Blackwell Academy portando dunque a una inevitabile sovrapposizione. La sensazione è che questa storia avrebbe funzionato molto meglio con un altro protagonista e, nello specifico, con un solo protagonista. Capirete giocando cosa intendo.

Anche lato gameplay ho notato un generale passo indietro. Le basi restano: si esplora tanto, si esamina o chiacchiera allo stesso modo, ci sono situazioni che possiamo cogliere e gestire in un certo modo, oppure ignorare del tutto senza nemmeno esserne consapevoli, collezionabili da raccogliere e fotografie da fare. Ciò che manca è una maggior interazione dal punto di vista dei poteri di Max, che all’atto pratico vengono utilizzati soltanto per passare dal mondo della vita a quello della morte attraverso “strappi” nello spaziotempo; nonostante nel corso della storia le sue capacità si evolvano, non vengono mai davvero sfruttate se non in modo automatico e occasionale durante alcune sequenze narrative, quando il gioco lo ritiene necessario.

La manipolazione del tempo nell’originale Life is Strange era più interattiva e pur agendo anch’essa su binari durante la trama, c’erano anche situazioni marginali che potevano richiedere un nostro intervento: qui, anche nel caso in cui volessimo completare un incarico secondario, tutto quello che ci viene richiesto è passare da un mondo all’altro con la semplice pressione di un tasto. A cervello spento. La “difficoltà”, se così vogliamo definirla, è al massimo nel trovare questi incarichi parlando con le persone alla Caledon o al Turtle ma al di là di questo non viene richiesto granché al giocatore. La stessa ristrettezza di luoghi in cui avvengono i fatti non aiuta a creare potenziale varietà: le vicende si svolgono tutte tra la Caledon, a volte il promontorio, il Turtle e occasionalmente casa di Max, lasciando il giocatore a ripercorrere avanti e indietro gli stessi posti se si dedicasse alla raccolta di collezionabili o fotografie.

Lato gameplay, ciò che manca è una maggior interazione dal punto di vista dei poteri di Max

Sotto il profilo tecnico il gioco brilla soprattutto per quanto riguarda l’espressività dei personaggi e l’animazione in generale, tuttavia ci sono alcune incertezze su delle ombre dinamiche e qualche rarissimo glitch che porta gli oggetti a sparire per un attimo. Sono eventualità occorse molto poco, in particolare la seconda, ma non è troppo difficile farci caso. Complessivamente, il gioco è promosso per quanto riguarda l’estetica, mentre la colonna sonora, pur vantando alcune tracce di spessore, non emerge molto, soprattutto perché le musiche migliori sono relegate ai momenti di riflessione di Max che è compito del giocatore trovare nel corso della partita.

Conclusioni

Life is Strange: Double Exposure ha il sapore di un’occasione mancata e si mostra, piuttosto, come la prova che certi videogiochi andrebbero lasciati nella memoria collettiva e non più ripresi in mano. Se un prequel come Before the Storm poteva avere spazio poiché non andava a intaccare un finale duplice e mai canonizzato come quello dell’originale, un sequel scende inevitabilmente a compromessi: non è l’assenza di Chloe, nel caso specifico, a influire quanto l’intera gestione della storia in relazione a Max e soprattutto a un predecessore che faceva dell’intimità e della metafora i suoi cardini principali per raccontarsi.

Qui sembra si sia cercata la stessa strada, in un percorso per Max di riconciliazione con se stessa e le sue azioni, quali che siano state, ma l’intreccio inizia a sgretolarsi dal quarto capitolo fino alla fine, portando una storia sconclusionata i cui fili non vengono mai tirati del tutto lasciando la sensazione che sarebbe funzionato tutto meglio con un altro personaggio protagonista – soprattutto, con un protagonista soltanto. Anche lato gameplay, i nuovi poteri di Max e la loro lenta evoluzione non sono mai messi davvero a disposizione del giocatore al di là del passaggio tra il mondo della vita e della morte, privando il gioco dell’interattività che invece aveva l’originale pur con i suoi dovuti limiti.

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  • Good
    +Si torna nei panni di Max Caulfield
    +Interessante il nuovo potere legato al tempo...
  • Bad
    -... ma lato gameplay non viene sfruttato bene
    -La storia regge fino al terzo episodio, poi scivola malamente
    -Le decisioni prese sono prive di conseguenze effettive
  • 6.5 Sovraesposto

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Conclusioni

Life is Strange: Double Exposure ha il sapore di un’occasione mancata e si mostra, piuttosto, come la prova che certi videogiochi andrebbero lasciati nella memoria collettiva e non più ripresi in mano. Se un prequel come Before the Storm poteva avere spazio poiché non andava a intaccare un finale duplice e mai canonizzato come quello dell’originale, un sequel scende inevitabilmente a compromessi: non è l’assenza di Chloe, nel caso specifico, a influire quanto l’intera gestione della storia in relazione a Max e soprattutto a un predecessore che faceva dell’intimità e della metafora i suoi cardini principali per raccontarsi.

Qui sembra si sia cercata la stessa strada, in un percorso per Max di riconciliazione con se stessa e le sue azioni, quali che siano state, ma l’intreccio inizia a sgretolarsi dal quarto capitolo fino alla fine, portando una storia sconclusionata i cui fili non vengono mai tirati del tutto lasciando la sensazione che sarebbe funzionato tutto meglio con un altro personaggio protagonista – soprattutto, con un protagonista soltanto. Anche lato gameplay, i nuovi poteri di Max e la loro lenta evoluzione non sono mai messi davvero a disposizione del giocatore al di là del passaggio tra il mondo della vita e della morte, privando il gioco dell’interattività che invece aveva l’originale pur con i suoi dovuti limiti.

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    +Interessante il nuovo potere legato al tempo...
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    -Le decisioni prese sono prive di conseguenze effettive
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