La fiera della illusioni, un bellissimo quadro che non appassiona

Il ritorno di Guillermo Del Toro

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Se i film fossero vini, il 2018 potrebbe sicuramente considerarsi un’ottima annata: Dunkirk, Scappa – Get OutTre manifesti a Ebbing, Missouri e Chiamami col tuo nome sono stati tutti candidati all’Oscar come miglior film, ma a spuntarla fu (finalmente) Guillermo Del Toro con La forma dell’acqua. La splendida storia della relazione amorosa tra una misteriosa creatura marina e una ragazza conquistò sia l’Academy Award che il pubblico, con un successo al botteghino che riuscì a decuplicare l’investimento di produzione (19 milioni di dollari spesi, contro i 195 milioni di dollari guadagnati).

Come spesso accade a fronte di un successo tanto clamoroso, il budget per il film successivo non può che gonfiarsi, così come è appunto accaduto per La fiera delle illusioni, il nuovo film del regista messicano il cui budget stimato si aggira intorno ai 60 milioni di dollari. Sarà riuscito il regista di film culto come Hellboy, Pacific Rim e Il labirinto del Fauno a bissare il successo?

Il richiamo ai successi collezionati da Del Toro non è solo a scopo introduttivo, ma aiuta a spiegare pregi e difetti de La fiera delle illusioni, film che durante la lunga, e a tratti estenuante, visione dà l’impressione di essere iper prodotto. Come spesso accade in qualsiasi ambito dell’intrattenimento, a fronte di un incredibile successo può capitare di ritrovarsi ad avere a che fare con una nuova opera ben confezionata, dove si perde l’anima, il tocco dell’autore.

La fiera delle illusioni racconta la storia di Stanton Carlisle, un giostraio dalle straordinarie ambizioni che vedrà ben presto il mondo circense come troppo stretto e che pertanto deciderà con ogni mezzo di abbandonarlo per raggiungere la grandezza degna del suo nome e ingegno. Lungo il mirabolante percorso, Stan incontrerà tantissimi personaggi, ognuno dei quali interpretato da una star di Hollywood. Il cast de La fiera delle illusioni è infatti assolutamente di primo piano: il protagonista, Stan Carlisle, è un Bradly Cooper, sicuramente al di sopra della media delle sue interpretazioni, e intorno a lui gravitano la divina indovina (Toni Collette), la prima donna che al circo gli farà perdere la testa (Rooney Mara), l’affascinante psicoanalista (Cate Blanchett), il gestore del circo che gli darà una possibilità di riscatto (Willem Defoe) e dell’uomo più forte del mondo che ci aspetta di vedere al circo (Ron Perlman, al ritorno in un film di Del Toro dai magici tempi di Hellboy).

All’altezza di questo cast, che da solo vale ovviamente il biglietto del cinema, troviamo tutto un comparto tecnico a dir poco spettacolare a partire dalle scenografie. L’intero primo atto sprizza Del Toro da tutti i pori: il circo trasmette quel perfetto bilanciamento tra marcio e grazia tipico dei suoi film, dove gli elementi inquietanti, al limite dell’horror, sono accompagnati da personaggi speciali, dotati di quel quel calore umano che li spinge ad affezionarsi con anima e corpo a elementi altrimenti disgustosi per la gente comune. Non da meno sono le scenografie del secondo atto, di tutt’altro tenore, ma non per questo meno interessanti.

Dal fango imperante si passa infatti a lussuosi interni, pronti per essere ripresi come reference su Instagram in un auspicabile revival architettonico dello stile del film. La fotografia riesce con cura a valorizzare quanto di buono evidenziato fino a quel momento con un sapiente uso di colori caldi, soprattutto nel prima parte del film, andando poi mano a mano a raffreddarsi e spegnersi nel freddo del finale, in perfetta sintonia con gli eventi narrati.

Eppure non è tutto oro quel che luccica. A fronte di questi elementi tecnici curatissimi, nel suo complesso La fiera delle illusioni non riesce a coinvolgere, vuoi per la sua smisurata durata (ben 150 minuti) o per la semplicità della storia raccontata che difficilmente sorprende, raramente si fa avvincente e spesso ha quel tocco di moralismo sopportabile solo grazie proprio al tocco di Del Toro.

Anche il tentativo di rendere universale una storia personale, tramite l’utilizzo di un’espediente narrativo molto comune che rende la narrazione circolare, lascia nello spettatore l’impressione di aver visto un film incredibilmente lungo, iper prodotto, super curato eppure, in qualche, modo estremamente freddo, alienante. La storia di Carlisle, proprio nel momento in cui si vuole assurgere a riflessione sul limite tra uomo e bestia, trova lo spettatore quasi esanime, tenuto forse sveglio solo dalla bellezza delle immagini e dalla speranza che, trattandosi di Del Toro, ci debba essere ad un certo punto “qualcosa in più”.

Quel qualcosa che lascia il segno non arriva e La fiera delle illusioni resta un bellissimo esercizio di stile di Del Toro che sicuramente merita una visione per il suo cast e per il mondo magico che cerca di proporre, ma nel quale non entreremo mai veramente.


Da quando ho scoperto che i piaceri che i miei pollici opponibili potevano darmi con un joypad erano pressoché infiniti non ho mai smesso di videogiocare. Appassionato di cinema e musica, sempre e solo a livello maniacale.

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