25 Ago 2017

Kingdom Come: Deliverance – Anteprima gamescom 17

Colonia – L’ambizione può rivelarsi davvero una brutta bestia: è un carburante fenomenale, fondamentale per raggiungere certi risultati. Ma come Icaro che si bruciò le ali sfidando il sole, il rischio di volare troppo in alto porta con sé l’opzione, non così remota, di rendere il tonfo ancora più rumoroso e doloroso. E i Warhorse Studios, dalla Repubblica Ceca, di ambizione ne hanno da vendere: il loro Kingdom Come: Deliverance, premiato su Kickstarter da oltre 35000 backer che hanno scommesso sul progetto, sembra voler strappare ad ogni altro GDR a mondo aperto qualsiasi trofeo o riconoscimento legato al realismo estremo. Ma il confine tra realtà e frustrazione in un videogioco è labilissimo, e il rischio di ritrovarsi con tutte le scarpe nella seconda è, in proporzione, molto alto.

Partiamo però dalle basi, con un rapido recap di questo progetto così imponente e interessante: l’anno è il 1403, il dove, il cuore dell’Europa, la Boemia, considerata un vero e proprio gioiello del Sacro Romano Impero. Qui le vicende di fantasia del protagonista, Henry, si intrecciano prepotentemente con quelle reali, la lotta fratricida tra Sigismondo di Lussemburgo e il fratellastro Venceslao, detronizzato per via della sua mancanza di polso. Tra i villaggi rasi al suolo dal nuovo re c’è proprio quello del nostro protagonista, rimasto orfano e assetato di vendetta in quella terribile occasione. Anni dopo, ce lo ritroviamo tra le fila di Lord Radzig Kobyla, impegnato a tenere a bada il re e i suoi cavalieri: che tra loro si nasconda il colpevole di quel gesto criminale?

Spetta ad Henry scoprirlo, indagando in una Boemia messa a ferro e fuoco dal suo stesso tiranno, e facendoci strada con la spada, ma anche con la favella: il team di Kingdom Come: Deliverance, in occasione del nostro incontro a Colonia per la gamescom, ha infatti precisato che, nonostante la cura riposta nel combattimento (con tanto di consulenze esterne da parte di esperti), il focus dell’esperienza saranno principalmente l’investigazione e l’esplorazione: interrogare quanti più NPC possibili, convincendoli a spifferare ciò che sanno con le buone (mettendo a frutto le nostre skill oratorie, da potenziare con la pratica) o con le cattive (minacce, letteralmente), fino ad offrire il nostro denaro o il nostro aiuto per qualche scomodo compito, così da oliare i loro meccanismi. Ma anche indagini sul campo, tra conversazioni da origliare e tracce di sangue da analizzare (no, non come in CSI). La scelta del sentiero da percorrere spetterà interamente al giocatore, che potrà plasmare la sua presenza nel mondo e la sua reputazione con un singolo gesto.

Scelte multiple presenti non solo nei dialoghi, ma anche nell’approccio alle missioni stesse: abbiamo provato quella chiamata “Massacre”, in cui veniamo spediti dal nostro signore con un manipolo di altri soldati nel minuscolo villaggio di Neuhof, vittima di un raid a sorpresa di un misterioso cavaliere dalla nera armatura. Una volta raggiunto, lo spettacolo al nostro cospetto è terribile: uomini, donne e bestie orribilmente sfigurati e interamente coperti di sangue. Giro di chiacchiere con i superstiti ed ecco le prime, preziosissime informazioni: uno dei colpevoli è rimasto ferito nello scontro, e potrebbe ancora trovarsi nei paraggi, nel boschetto a nord del villaggio. Un indicatore sulla mappa ci segnala l’area entro cui indagare, e una volta trovate le prime tracce di sangue, non ci resta che seguirle nel silenzio più totale, nella speranza di scovare quanto prima il legittimo proprietario.

A questo punto, gli scenari possibili diventano molteplici: impiegando troppo tempo a trovare le tracce (ed è facile perdersi in sella al nostro fido cavallo, evocabile con un fischio come in The Witcher 3), c’è il rischio che i nemici riescano a sfuggire in tutta tranquillità; nel nostro caso, abbiamo assistito ad una conversazione tra due di quei soldati, uno dei quali ferito e desideroso di morire nella maniera più indolore possibile (ma le rimostranze dell’amico non gli permettono di realizzare la sua volontà), e abbiamo colto l’occasione per sfoderare la nostra spada (con un tasto apposito) e mettere alla prova il peculiare combat system, che permette di selezionare la direzione del colpo e aggirare così la guardia ed eventuali protezioni del nemico. In alternativa, sarebbe stato possibile tornare al villaggio, avvisare i nostri compagni di missione e tornare in superiorità numerica ad inseguire gli obiettivi.

Dopo numerose chiacchierate con il team, con annessa descrizione dello svolgimento delle missioni e della libertà di azione proposta da Kingdom Come: Deliverance, abbiamo finalmente potuto testarla pad alla mano, e pur trattandosi di un primo, brevissimo assaggio, ci lascia ben sperare sul prodotto finito. La lunga cavalcata che ci separa dal luogo della missione ci ha inoltre permesso di gustare le meraviglie del motore grafico, in grado, nonostante il gioco sia ancora in beta (l’uscita su PC, PS4 e Xbox One è prevista per il 13 febbraio 2018), di regalare degli scorci semplicemente pazzeschi, con le rigogliose foreste boeme e le imponenti catene montuose che delimitano il vasto mondo di gioco, interamente e liberamente esplorabile. Ottima impressione confermata anche dalle animazioni e dai volti dei personaggi, davvero convincenti e ricchissimi di dettagli (nonostante qualche problemino con le collisioni), impreziositi da densi dialoghi recitati con un’intensa teatralità raramente ammirata in un videogioco, testimonianza dell’attenzione riposta alla componente narrativa da Warhorse.

Kingdom Come: Deliverance

Ad attanagliarci è però un dubbio grande come una casa, lo stesso che ci portiamo dietro sin dal nostro primo contatto con Kingdom Come: Deliverance (risalente all’E3 2015): non riusciamo proprio a scrollarci di dosso l’idea che l’eccessiva ricerca del realismo possa rivelarsi funesta. Dalla difficoltà di dover agire molto di intuito, affidandoci ben poco ad indicatori e quant’altro (potremo però consultare il diario per avere vaghi indizi su cosa fare e come avanzare), passando per la necessità di dover dosare ogni parola e ogni gesto (basta “scordarsi” la spada sguainata per allarmare gli NPC e ritrovarci con decine di guardie alle calcagna), o per l’esagerata attenzione da riservare ai dialoghi, pena la perdita di dettagli cruciali (e in caso di mancata localizzazione, la cosa potrebbe rappresentare un problema non indifferente per i non-anglofoni), o per i lunghi tragitti da percorrere per spostarci da un punto all’altro, studiati, forse, per ricordarci le difficoltà vissute dagli uomini dell’epoca, complice anche un sistema di “guida” del cavallo tutto fuorché semplice, fino al combat system sprovvisto di lock-on, al quale basta un minimo movimento dell’avversario o un’imprecisione nel posizionamento del cursore da parte del giocatore per mandare all’aria un fendente, sono tutti piccoli elementi che, a lungo andare, rischiano di rendere l’esperienza estenuante, riservata unicamente ad un pubblico hardcore che potrebbe, al contrario, accogliere questo iper-realismo a braccia aperte.

In conclusione

Insomma, questo primo assaggio di missione ci ha permesso di mettere alla prova la decantata libertà di Kingdom Come: Deliverance, lungi però dal confermare le promesse del team in una sessione così breve, soprattutto per un gioco dalla scala così ampia. Graficamente è impressionante, e la densità dei dialoghi promette di impreziosire la componente narrativa, già affascinante di suo per via di un contesto cronologico così peculiare e poco trattato. La paura, però, è che l’esagerato realismo ne rovini le evidenti potenzialità: il gioco di Warhorse ha tutte le carte in regola per offrire ai giocatori qualcosa di mai visto prima, a patto di non chiedere un prezzo troppo alto da pagare.