Cosa è reale e cosa no, in un mondo dove le megacorporazioni hanno il controllo delle nostre menti?
“1984” è un romanzo che ha fatto storia e scuola: l’opera di George Orwell è stata presa a modello ovunque, rielaborata, reinterpretata, anche riscritta per certi versi, perché il contesto messo in essere non smette mai di ispirare o, seppur limitatamente, di trovare qualche piccolo riscontro nel reale. Non sorprende dunque che Karma: The Dark World ne faccia la base per raccontare la propria storia, andando a prendere l’ampio concetto per il quale esiste un totale controllo del pensiero e dell’informazione ma portandolo oltre, al punto in cui le persone non sono al sicuro nemmeno nelle loro menti, poiché in qualunque momento possono essere scandagliate da agenti speciali al servizio della megacorporazione, nonché governo, di turno. Nel caso specifico parliamo di Leviathan, che ha preso il potere e con esso esteso il controllo sui cittadini stringendoli nelle rigidissime maglie di un brutale totalitarismo.
Se da un lato, infatti, Leviathan è intervenuta nei conflitti mondiali ponendo fine alle guerre, dall’altro il prezzo imposto per questa pace globale si è rivelato altissimo: l’obbedienza assoluta. Sorveglianza di massa, classismo, sostanze psicoattive per mantenere in opera i lavoratori facendo loro ignorare il senso di affaticamento fisico, promesse di un mondo migliore per chiunque segua questi dettami… Non c’è nulla che questa megacorporazione non adoperi per controllare la popolazione con il pugno di ferro e, come vedremo, le persone che pensano anche solo di poterla fronteggiare sono pressoché inesistenti.
Ci troviamo nella Germania dell’Est, esattamente nel 1984, e vestiamo i panni di Daniel McGovern, un Agente Roam facente parte dell’Ufficio Pensieri incaricato di sondare la mente delle persone quando la corporazione ne fa richiesta – in genere, sulla base del sospetto che qualcuno operi contro il regime. Dopo un prologo piuttosto criptico, che ci vede risvegliarci nei panni di un giovane sconosciuto in una struttura altrettanto ignota, l’unico essere umano oltre a noi ci invita, non senza un piccolo inganno, a quella che potremmo definire un’immersione neurale: veniamo dunque accompagnati a rivivere le memorie di Daniel, nello specifico durante un’indagine a seguito del trafugamento di materiale sensibile.
Karma: The Dark World ci porta in una distopica Germania dell’Est nel 1984
Abbiamo il colpevole, quello che dobbiamo fare è “solo” sondarne i pensieri, grazie a una tecnologia all’avanguardia, per scoprire cosa nasconde, il tutto sotto l’occhio vigile di Madre – l’intelligenza artificiale che controlla tutto, in questa realtà alternativa distopica. Daniel quindi esplora i labirinti della mente di queste persone, sapendo cosa potrebbe accadere se i naturali limiti sono pressati oltre il consentito, per trovare le ragioni dietro un simile crimine. Nel farlo, tuttavia, inizierà a scoprire qualcosa di molto peggio, al punto che il confine tra realtà e finzione comincia a farsi sempre più sottile, assieme alla percezione stessa della sua identità. Daniel è davvero chi crede di essere? O c’è qualcosa, nascosto nei meandri della sua stessa coscienza, che è stato represso affinché non potesse ricordare? Se sì, di cosa si tratta e per quale motivo è stato obbligato a dimenticare, o chiudere da qualche parte dentro di sé? Esplorando le menti delle persone coinvolte, Daniel svelerà segreti impensabili, in un thriller psicologico nel complesso ben costruito e che solo in alcune situazioni risulta un po’ convoluto ed eccessivamente dilungato.

Ad aiutare molto nell’immersione in questa vicenda non è tanto la scelta di impostarlo sulla prima persona, quanto che Daniel sia una presenza tangibile. Spesso, anche per risparmiare risorse, giochi di questo genere non permettono di vedere se stessi e addirittura a volte presentano un protagonista muto, rendendo difficile la sua integrazione con l’ambiente circostante. Pollard Studio invece, lo sviluppatore con sede a Shangai e che ha realizzato Karma: The Dark World, ha voluto dare un’identità e una personalità ben radicate a Daniel, aiutando così il giocatore a immedesimarsi nel personaggio ed empatizzare con la sua situazione. Daniel riflette, commenta, reagisce agli avvenimenti che lo coinvolgono, non solo perché il concetto di identità è parte fondante dell’esperienza ma anche perché sono vicende troppo d’impatto per lasciarle in mano a un personaggio senz’anima: si aveva dunque bisogno di plasmare un protagonista ben definito, impegno che Pollard Studio ha saputo mantenere e valorizzare anche grazie a un valido doppiaggio.
Pollard Studio ha voluto dare un’identità e una personalità ben radicate a Daniel
Il gameplay di per sé è piuttosto semplice e guidato, lasciando intendere che lo studio ha preferito concentrarsi sulla narrazione più che sul coinvolgimento ludico del giocatore. Ci sono delle sfide, sia in termini di enigmi sia di “combattimenti”, se così vogliamo definirli, ma sono tutti di facile risoluzione e complessivamente il percorso è piuttosto guidato. La quantità di note e documenti sparsi per i vari livelli aiuta ad avere una maggior comprensione del mondo di gioco e soprattutto della distopia che permea questa Germania dell’Est alternativa, per cui un’esplorazione approfondita è consigliata se si vuole avere un quadro più completo del contesto. Al giocatore è chiesto di spremere di più le meningi nei diversi enigmi opzionali presenti in quasi ogni capitolo del gioco: si tratta di piccole scatole, tutte uguali tra loro, che presentano ciascuna problemi logici differenti per i quali ci è concessa una sola risposta. Dovessimo fallire, la scatola si chiuderebbe e non sarebbe più interagibile; in caso di successo, invece, al suo interno si nasconde un collezionabile nella forma di figure storiche o rilevanti all’interno del contesto narrativo. Da un lato ho apprezzato questa digressione, dall’altro ammetto che avrei preferito una sfida simile anche durante la trama principale, pur consapevole della decisione (o almeno, è l’impressione ricavata) di non voler spezzare troppo il filo narrativo introducendo enigmi che avrebbero potuto rallentare il giocatore.

Sebbene parta con una premessa horror di tutto rispetto, Karma: The Dark World sceglie presto di far cedere il passo a questa sfumatura in favore di un più completo thriller psicologico che nelle restanti ore dopo la prima cattura e coinvolge in scene fortemente suggestivi e citazionismi un po’ più grezzi che comunque faranno la gioia di chi saprà coglierli. In totale, per completare la storia, occorrono circa cinque ore se non ci si perde via a cercare tutti i documenti e risolvere i puzzle secondari; in tal caso potrebbero esserne necessarie un paio in più ma, a prescindere, rientriamo comunque nella durata tipica per giochi di questo tipo. La brevità, in questi casi, è essenziale perché soprattutto quando si creano scenari onirici, irrazionali e mirati a esplorare il subconscio, un’esperienza dilungata rischia di ottenere l’effetto opposto e stancare sia per il peso che le tematiche potrebbero portarsi dietro sia per la potenziale ripetitività delle situazioni – aspetto da cui il gioco non è esente e che tuttavia riesce a mitigare, nel suo loop ripetitivo in cui si risolvono enigmi e si sfugge a chiunque cerchi di darci la caccia nelle menti degli interrogati.
L’opera di Pollard Studio si conferma molto ispirata e ben realizzata
L’ispirazione principale, come scritto, è “1984” di Orwell ma Pollard Studio non si limita a questi confini e gli appassionati del genere noteranno anche richiami al maestro di Orwell, Aldous Huxley, con il suo “Il mondo nuovo” e il generale discorso sulla pacifica utopia pagata con una totale sottomissione della popolazione a un controllo capillare, a Philip Dick per il concetto della megacorporazione al potere, ma anche a “Blade Runner” per i toni cupi e a tratti noir con cui decide di trattare ed esporre la sua storia. Tutto mentre gli interrogativi morali sulla sfera privata e la sua violabilità da parte del governo accompagnano tanto il viaggio di Daniel quanto il nostro, che lo muoviamo, fino a una rivelazione finale che potrebbe dar spazio a un sequel – nonostante simili esperienze tendano a essere solitarie, ed è anche giusto così. Una serialità ha il rischio di compromettere l’intento originale, come personalmente ho pensato nei riguardi di Hellblade. Questo però è un altro discorso, rimanendo nei confini di Karma: The Dark World, l’opera di Pollard Studio si conferma molto ispirata e ben realizzata, con un sapiente utilizzo di Unreal Engine 5 per restituire scenari sopra le righe e personaggi, quei pochi che si vedono, ben modellati nel complesso.
Conclusioni
Karma: The Dark World è un’interessante interpretazione dell’opera più riconosciuta di George Orwell, che non manca tuttavia di ispirarsi ad altri romanzi e/o autori distopici per raccontare una storia fortemente suggestiva, in cui la moralità di determinati approcci viene messa in discussione dalle scene che si susseguono senza cedere alla tentazione di una narrazione didascalica e una reprimenda più o meno velata. Sta al giocatore trarre le proprie conclusioni, nelle cinque o sei ore che lo separano dal finale di un gioco pensato per essere più narrativo che ludico, poiché si concentra tantissimo sull’esposizione e un po’ meno sul gameplay, mantenendolo piuttosto lineare e guidato, nonché di semplice risoluzione per quanto riguarda gli enigmi presenti – che invece richiedono più impegno quando si tratta di quelli opzionali. Tirando le somme è un gioco che chiede un po’ troppo a se stesso, data la quantità di aspetti e tematiche che vuole trattare, al punto da risultare un po’ convoluto in alcuni momenti, ma riesce comunque nell’intento di raccontare una storia suggestiva, dolceamara e in grado di far riflettere.

Good
+Narrativamente ben costruito+Valori produttivi complessivamente ottimi+Interessante reinterpretazione del contesto orwellianoBad
-Alcuni momenti si dilungano più del dovuto-L'horror cede presto spazio alla componente thriller-psicologica
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