Nella piovosa e malinconica culla del grunge, la desolante città che ha dato i natali a cantori della disperazione come gli Alice in Chains o a sociopatici come i Nirvana, l’American Dream ha sempre avuto i connotati dei postumi della sbornia, lasciando gli idilliaci quanto ipocriti cliché della famiglia tutta casa, chiesa e grandi sorrisi a luoghi in cui la pioggia battente ed eterna rappresenta soltanto l’incubo dei maniaci della tintarella e dei bermuda. Ma Seattle non è solo umidità e depressione: numerosi team di sviluppo l’hanno scelta come proprio quartier generale (forse per spazzar via qualsiasi possibile distrazione?, ndr), pochissimi però han voluto ambientare in questo grigio teatro una delle proprie creazioni: Sucker Punch, che si dimostra ancora una volta una validissima punta di diamante tra quelle first-party schierate in campo da Sony prima con PS3 e ora con PS4, è uno di questi, manipolo di sviluppatori che si è detto felicissimo di poter tributare la sua città con una vera e propria dichiarazione d’amore.
Lo stesso Delsin scopre di far parte di questi “bio-terroristi”, crudele appellativo affibbiatogli da cittadini impauriti, attivisti della LifeLine e dai membri dell’immancabile corporazione senza scrupoli, il DUP (Dipartimento di Protezione Unificata), che ha tappezzato la città di guardie, posti di blocco e barricate, ordinando ai suoi uomini di sparare a vista. Ma se il nostro eroe, forte di una spavalderia anch’essa fuori dal comune, sembra non curarsi minimamente del giudizio di questi odiosi sconosciuti, di sicuro c’è una persona che tiene in gran considerazione: suo fratello Reggie, uno sbirro, il cui rapporto col Second Son è ancora avvolto da un’impenetrabile coltre di mistero. Nel corso della nostra prova lo troviamo proprio all’inizio, ad uno di quei “bivi karmici” che, si spera, incontreremo con piacevole frequenza: uno scontro verbale tra i due consanguinei che coinvolge anche Fetch, altra bio-scavezzacollo e punk fino al midollo, viene interrotto da una nostra scelta, la quale influenza oltre alle uniche due missioni giocate (quattro, tenendo conto della versione “opposta”) anche il comportamento della conduit. Per ora sappiamo soltanto che questi speciali individui possono scambiare e condividere i poteri tra di loro (e presumiamo che sarà proprio questo il metodo sfruttando da Delsin per apprendere nuove tecniche, “socializzando” o combattendo): che il play-style del giocatore vada a stravolgere anche il karma di possibili super-alleati (o super-avversari)? Un’interessante prospettiva che però avrà risposte unicamente in fase di recensione, una delle tante sfumature che, per decretare il successo di questo nuovo InFamous, la trama potrà o dovrà affrontare.
Di sicuro la tattica che ci ha sorpreso di più è stata una sorta di piattaforma temporanea plasmata proprio da questi über-nemici, che tra una super corsa e una corazza rocciosa quasi impenetrabile si divertivano ad offrire ai propri compari delle indubbie posizioni di favore, lasciandoli sparare con calma e senza essere visti (nel furore della battaglia) da delle sporgenze create sul momento e senza un criterio preciso, godendo di un effetto sorpresa in grado di rendere ancor più stimolanti le singole fasi di combattimento. Il giocatore potrà rispondere al fuoco col fuoco grazie alle poderose facoltà del protagonista, il cui legame con la città non si limita alle scorribande, o ai graffiti con i quali la tappezza col favore della notte. Il team ha infatti introdotto delle variabili “elementali” in grado di rendere ancor più variegata e divertente l’esperienza. Ne abbiamo provate solo due, e seppur, nella sostanza, le tipologie di attacco erano abbastanza simili tra loro, è innegabile che alcune particolari fattori vanno a cambiare e di gran lunga le carte in tavola, con la speranza che nel prodotto finito si possa scegliere tra ancor più elementi e, di conseguenza, strategie. Il neon delle numerose insegne di bar e locali, così come il fumo dei comignoli, diventeranno preziosissimi alleati nella nostra rocambolesca missione, andando, nel primo caso, a donarci maggiore velocità in corsa ed agilità quando ci si arrampica sui palazzi, andando a sopperire (seppur solo tramite brevi scatti) ad una legnosità che la serie non sembra proprio riuscire a scrollarsi di dosso, con appigli imprecisi, una telecamera non sempre efficiente ed un button-mashing convulso del tasto X per cercare di saltare lungo una parete, retaggio fastidioso dei precedenti InFamous che non sembra essere sparito e che l’utenza Assassin’s Creed-centrica difficilmente digerirà, almeno nella build da noi provata (è da testare sul lungo termine quanto possa risultare fastidiosa la cosa, ndr).
Il secondo potere invece si dimostrerà molto più “ingombrante” ma decisamente più efficace in fase di combattimento: il “dash” del neon (utile soprattutto insieme alla classica planata per velocizzare gli spostamenti) è infatti sostituito da una sorta di “smaterializzazione” grazie alla quale sarà possibile passare attraverso i nemici e sbucargli alle spalle, per poi massacrarli con attacchi palesemente più letali, super efficaci in particolare con gli avversari più coriacei dotati di corazza, un fattore in grado di cambiare e invertire le sorti di uno scontro. La prima impressione è che il neon torni più utile a chiunque prediliga l’esplorazione e voglia sfuggire il più possibile agli incontri, mentre il fumo, pur offrendo piacevoli sorprese (come il “teletrasporto” verso i tetti dei palazzi tramite i condotti di areazione!), sarà più consono ai più bizzosi pronti a gettarsi nella mischia: sintomi di eventuali altri poteri ed elementi che il team introdurrà nel gioco completo per ampliare lo spettro di approcci possibile.
Entrambi legati chiaramente all’elemento prescelto, che potrà essere scambiato in qualsiasi momento semplicemente posizionandosi nei pressi di una fonte (tutte indicate sulla mappa) e premendo il TouchPad, che verrà sfruttato in vari modi, tra i quali l’interazione con porte (per salvare ostaggi nelle gabbie sparse nella città, ad esempio) e casse (durante le missioni), ma ci è stato assicurato che il team lo ha implementato nelle attività più disparate (come lo “scan” delle impronte digitali), sfruttandone al massimo le potenzialità (staremo a vedere!). Peccato che tutto questo potere non possa essere completamente utilizzato per portare la devastazione lungo le strade di Seattle: la distruttibilità delle strutture è infatti scriptatissima nel caso di edifici molto grandi (come le numerose torri del DUP presenti su entrambi i lati della strada, delle quali si infrangerà solo l’arco centrale e quella di destra, mentre la sinistra rimarrà sempre e comunque lì immobile) o delle auto, delle quali potremo infrangere con precisione chirurgica i vetri, ma vederne esplodere una con la carrozzeria in perfette condizioni estetiche, dopo qualche colpo, è davvero surreale. No, Sucker Punch, non ci basta spaccare bidoni e bottiglie: VOGLIAMO L’AFTERMATH.
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Seppur breve, la nostra prova con InFamous è stata davvero intensa, convincendo ma lasciando dietro di sé dei dubbi più che leciti, dovuti però al genere d’appartenenza, più che a possibili imperizie del team. Il genere free-roaming è forse uno dei più complessi da gestire: per non annoiare dopo qualche ora, bisogna garantire una gran varietà, tra missioni principali e attività secondarie, offrire una città realistica e convincente, e nel caso di produzioni di un simile calibro, entrano in ballo, in primis, la validità della trama, mentre nello specifico della serie di cui fa parte questo Second Son, c’è anche il fattore “scelta multipla“: dubbi che, suo malgrado, sia chiaro, la breve prova non ha fatto altro che enfatizzare, in particolare l’ultimo, visto che da due missioni (diametralmente opposte) non è possibile saggiare l’intero comparto “karmico” che il team ha escogitato.
Quel che abbiamo effettivamente giocato, in compenso, ci è innegabilmente piaciuto: i poteri elementi in grado di influenzare abilità e l’intera esperienza, l’I.A. dei nemici che promette faville, la cura maniacale con la quale è stata realizzata la porzione di Seattle testata (sperando che ciò valga per ogni suo centimetro quadrato), e l’intero comparto grafico, pulito, ricchissimo di dettagli e davvero d’impatto, fattori a favore pesanti come macigni che lasciano davvero ben sperare in uno dei titoli più attesi (e promettenti) di quest’anno. Qualche problema col comparto fisico (distruttibilità non sempre coerente e convincente) e la legnosità in fase di arrampicata, sembrano essere gli unici due nei sullo sprezzante volto di Delsin Rowe, ma per poterli considerare a pieno titolo dei difetti (così come per confermare le buone impressioni), non possiamo che invitarvi ad attendere la nostra recensione! Stay tuned (come mai prima d’ora)!