Immortal: Unchained – Recensione

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Non basta voler essere un soulslike per diventarlo

Immortal: Unchained – Recensione
Immortal: Unchained – Recensione

Non sappiamo perché siamo stati liberati, abbiamo solo un'indicazione: il mondo ha i minuti contati e le nostre abilità sono necessarie per salvarlo. Senza memoria di chi siamo o cosa dobbiamo fare, spetta a noi trovare tutte le informazioni possibili dall’ambiente e i personaggi che incontreremo. La verità però non è mai come appare e fare chiarezza sarà la vera sfida.

Data di Uscita:Genere:Sviluppatore:Editore:Versione Testata:

Prendete tutti gli elementi che considerate indispensabili per un soulslike. Ci sono tutti? Bene, ora potete tranquillamente gettarli dalla finestra, perché se avete l’intenzione di approcciare Immortal: Unchained non vi serviranno – e sì, stiamo parlando di un gioco che mira(va) ad essere un soulslike. Non è mai piacevole iniziare una recensione con un simile livello di criticità ma è giusto informarvi che niente di quanto andremo a scrivere celebrerà il lavoro estremamente mediocre realizzato da Toadman Interactive; non lo è soprattutto per le sue premesse, soprattutto ora che la serie Dark Souls è in via ufficiale conclusa, di un soulslike ambientato agli antipodi dell’opera di From Software, all’interno di un universo science fiction che si apre a infinite possibilità. Le stesse che gli sviluppatori non sono stati in grado di sfruttare, sprecando di fatto l’occasione di aprire un nuovo filone souls rimasto fino ad ora inesplorato in termini di ambientazione: a chi in fondo non piacerebbe vedere l’eredità di Miyazaki trasposta in un mondo ispirato a The Chronicles of Riddick, per citarne uno?

Non troverete mai due studi di sviluppo identici al mondo, questo perché ciascuno ha opinioni, gusti e soprattutto obiettivi differenti. Tuttavia, tutti i team di sviluppo, grandi e piccoli, condividono una caratteristica in particolare: sognare in grande. Con God of War, Sony Santa Monica voleva realizzare il più grande capitolo del franchise fino a oggi. Mike Bithell, con Thomas Was Alone, aveva intenzione di raccontare una storia significativa e di portata tripla A, nelle proprie capacità. Toadman Interactive mirava a reinventare la ruota che ha reso grande Dark Souls spostandola verso uno sparatutto in terza persona e mantenendo quella cornice punitiva e spietata per la quale tutti abbiamo versato sangue e lacrime. Un obiettivo ambizioso dunque, ma non certo impossibile e anzi, con forti possibilità di imprimersi nel mercato proprio per la sua deriva shooter – se lo sviluppo fosse stato trattato con la giusta cura.

In cosa sbaglia Immortal: Unchained? Sicuramente faremmo prima a dire dove riesce a funzionare perché la risposta sarebbe semplice: da nessuna parte. Ispirazioni accattivanti ma sfruttate male, modellazione povera e palette di colori che appiattisce ogni aspetto potrebbero sembrarvi problemi fondamentali e invece sono solo la punta di un iceberg che va a cozzare, sgretolandolo, contro qualsiasi elemento alla base della formula soulslike. Senza contare che Immortal: Unchained ha fatto della ricerca dei sinonimi la sua missione principale, poiché il lavoro dello studio svedese è stato quello di importare gli elementi della serie From Software e semplicemente dare loro un altro nome: troverete quindi i Bit al posto delle Anime e gli Obelischi a sostituire i Falò. Quindi, siamo di fronte alla brutta copia dell’esperienza standard di un Dark Souls sviluppata in un contesto fantascientifico. Vi avventurerete in diversi luoghi poco raccomandabili, combatterete battaglie brutalmente frustranti (anziché difficili) e vagherete lungo percorsi labirintici senza l’ausilio di una mappa. Il tutto accompagnato da scontri con i boss e molte morti.

Tante morti. Esagerate morti, per motivi legati principalmente al malfunzionamento del gioco che non a una vera e propria curva di difficoltà. Le stesse armi da fuoco rappresentano l’unico vero distinguo del gioco, dettaglio che rende ancora più schiacciante la loro poco brillante implementazione nel sistema. L’arsenale a disposizioni è deludente e banale, con un arsenale primario diviso in fucili d’assalto, fucili a pompa, lanciagranate e fucili da cecchino, affiancati da pistole e mitragliette per quanto riguarda le armi da fianco. Il sistema di mira libero è a dir poco atroce su PlayStation 4 e sebbene possa migliorare su PC, dubitiamo la situazione possa subire chissà quale incremento. La soluzione è stata attivare il lock-on e non guardarsi più indietro, ma davanti ci aspettavano altre nuove brutture.

Non ci sarà più il mana in senso stretto ma la sua funzionalità rimane sotto il nome di energia, che consumeremo quando sfrutteremo il fuoco secondario di ciascuna arma – forse l’unico elemento vagamente interessante del pacchetto, sebbene piuttosto risicato perché si rifà principalmente all’abusato lanciafiamme o alla sventagliata di proiettili capace di far barcollare il nemico. Considerato il contesto fantascientifico, come abbiamo già detto ma ci teniamo a ripeterlo, c’era davvero tantissimo cui attingere per dare vita ad ambientazioni ispirate e funzionali, invece il risultato è ancora una volta esteticamente povero, privo di un qualsiasi guizzo che renda i paesaggi di Immortal: Unchained un motivo di vanto e personalità.

Lo stesso dicasi per i nemici, che se in Dark Souls dimostravano una buona mescolanza di creature mostruose e cavalieri maledetti, scintillanti nella loro armatura, qui si riducono a robot corazzati caratterizzati da un unico punto debole alle spalle – il che va a ridurre la strategia vantata dall’opera di Miyazaki a un mero strisciare dietro al nemico e sparare senza sosta. I boss mostrano una leggera varietà, ma tuttavia si dimostrano essere una variazione sul tema dei robot di cui sopra, dotati di un qualche espediente per diversificarli dai ranghi di basso livello. Come da tradizione nel genere soulslike, alcuni di questi boss vengono riciclati come normali nemici nelle fasi avanzate del gioco con una salute ridotta rispetto all’originale: se da un lato è bello ritrovarli sul campo, dall’altro porta all’ennesimo problema di Immortal: Unchained, ovvero l’incredibile ed esasperante monotonia del combattimento.

Come abbiamo accennato, ogni nemico ha lo stesso identico punto debole: un foro arancione luminescente sulla schiena al quale sparare per arrecare danni ingenti. Questo tallone d’Achille universale porta a scontri incredibilmente ripetitivi, al punto da negare l’implementazione delle armi da fuoco in prima istanza, perché non esiste alcun nemico disposto a dare le spalle sulla distanza: ciò vuol dire avvicinarsi, schivare i loro attacchi e mitragliarli nella schiena. Ripetete per tutto il corso del gioco e potete trarre le vostre conclusioni. Rapida menzione per la gittata delle armi, perché di fatto non esiste: la maggior parte dei fucili da cecchino ha una portata massima di venticinque metri. Avete capito bene, venticinque. Il motivo per cui si sia scelto di concentrarsi esclusivamente sulle armi da fuoco per poi minimizzarne le caratteristiche che dovrebbero distinguerle da altre armi è al di là della nostra comprensione, ma sottolinea la scarsa qualità del game design.

Immortal: Unchained è un gioco trascurato sotto ogni aspetto, una possibilità malamente sprecata

Già che siamo in tema, perché non accennare anche alla presenza di nemici con un feticismo per il teletrasporto e gli attacchi a sorpresa, chiaro segno di come interpretare male la formula soulslike e frustrare senza alcuna ragione il giocatore anziché proporre un’intelligenza artificiale degna di questo nome? Questa incomprensibile categoria di nemici rappresenta solo una parte del limitato roster, distribuito fra robot che prediligono il corpo a corpo e caricano a testa bassa il giocatore per prenderlo a schiaffi, altri che si fanno forti della loro stazza per camminare minacciosi verso di voi e bombardarvi di proiettili, infine gli ultimi che hanno capito – almeno loro – il vero vantaggio delle armi da fuoco e cercheranno di bloccarvi in tutti i modi dal far fuoco sulla distanza. Niente di impressionante, insomma.

Al piatto vorremmo aggiungere inoltre il disastroso sviluppo del level design, segnato da trappole impossibili da identificare che vi uccideranno sul colpo, oppure, nel “migliore” dei casi, vi bloccheranno sul posto alla mercé di nemici dediti al suicidio; il posizionamento del tutto casuale dei checkpoint, con buchi esplorativi nel mezzo che possono addirittura superare la mezz’ora, aggiungono altra carne marcia al fuoco, mentre la possibilità di rimanere senza munizioni in un gioco che fa delle sparatorie il suo unico mezzo di sopravvivenza parla da sé. Una disfatta di Caporetto su tutta la linea, la cui miriade di bug (dalla compenetrazione poligonale con annesso blocco del personaggio, ai glitch random fino alla chiusura dell’applicazione) fa definitivamente calare il sipario su un gioco sbagliato sotto ogni aspetto.

Conclusioni

Cosa aggiungere più di quanto non sia già stato detto? Immortal: Unchained è uno di quei prodotti che si spera possano essere dimenticati presto, o al massimo ricordati per sapere come non ci si dovrebbe comportare quando si approccia in generale lo sviluppo, ma in particolare un genere come il soulslike, che se da un lato ha creato un filone nuovo, interessante e ancora da esplorare fino in fondo, dall’altro ha generato una corsa all’imitazione che porta a risultati come questo.

Un prodotto che non si potrebbe salvare nemmeno volendo, dal prezzo esagerato per la scarsa offerta e mai onesto con il giocatore, perché cerca di mascherare l’evidente pigrizia dello sviluppo con trovate frustranti senza alcuna motivazione. Non è un acquisto che vi consigliamo in nessuna circostanza, a meno che non siate consapevoli di quello cui andrete incontro – e anche in quel caso, aspetteremmo un forte sconto prima di provarci.

Good

  • Il sistema di localizzazione dei danni
  • Il level design è, a tratti, in linea con il genere

Bad

  • Mediocre sotto ogni punto di vista
  • Boss e nemici eccessivamente banali
  • Troppo frustrante anche per un soulslike
  • Il design è "rotto" in moltissimi punti
  • Va bene i bug, ma così è fin troppo
4

Brutto

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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