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Game Happens 2016: la rivoluzione Indie

Forse la frase più gettonata tra quelle che accompagnavano la parola videogame è “prodotto per bambini o adolescenti”, ma nel tempo questo tipo di intrattenimento digitale è cresciuto: ormai non è più un prodotto dedicato esclusivamente ai più giovani, ma un media che intrattiene adulti e talvolta intere famiglie.

Altro elemento di cui si discute sempre, sono le professioni che stanno dietro alla produzione di un videogioco. In molti urlano e discutono sui Social Network di team di sviluppo, Software House, tripla A e Design, senza sapere davvero di che cosa si stia parlando, di tutto il lavoro che c’è dietro ad un semplice download su console o PC.

Questa vuole essere una critica costruttiva per sottolineare che il videogioco è un campo ancora giovane in Italia, che prima di poterlo collocare all’interno della cultura popolare sia necessario comprendere sul serio i professionisti di grande valore che stanno alle spalle di queste opere.

Dove vogliamo arrivare? Vorremmo parlarvi di Genova, della Game Happens di venerdì 24 e sabato 25 giugno e di come è stato presentato al pubblico il panorama indie, un mondo fatto di piccoli team, ma anche di aziende già affermate che dalle grandi produzioni si stanno spostando verso i piccoli progetti.


Villa Durazzo Bombrini, bellissima villa di metà 1700 situata in zona Cornigliano, è stata sede di un interessante ritrovo di team, professionisti del settore e, soprattutto, persone che della teoria del videogioco ne hanno fatto una ragione di vita.

In un bellissimo salone dall’acustica “particolare”, abbiamo avuto modo di seguire la conferenza tenuta da Mata Haggis, Game Designer dall’esperienza quindicennale, Storyteller, Associate Professor of Creative & Entertainment Games alla NHTV University dei Paesi Bassi e collaboratore per la creazione di Fragments of Him. Siamo abituati a capolavori narrativi come Life is Strange o The Last of Us, ma durante questo incontro ci è stato spiegato come raccontare una storia senza parlare: si tratta di un argomento molto complesso fatto di ricerca e informazione, che necessita di un supporto visivo adeguato. La narrazione avviene anche attraverso gli ambienti di gioco e i mondi in cui il player è immerso, tutto il mondo che viene presentato al videogiocatore deve fare da supporto al setting narrativo scelto:

I giocatori devono leggere intuitivamente i mondi e le situazioni e il nostro compito è dare indicazioni al player che siano sensate. Appena noi vediamo degli spazi, tendiamo ad immaginare quali persone vivono in quegli spazi e come vivono dentro gli stessi. Scegliere gli elementi del’arredamento in base alla psicologia dei pg che ci devono vivere, mettere elementi che raccontano le persone, in questo modo un giocatore viene coinvolto dai personaggi e finisce con l’amare loro e le loro storie. Tutte le scelte devono essere fatte con un’ottica narrativa. Inoltre la grafica deve essere adeguata: se si fa una grafica dai colori forti e tutta quadrata non puoi mettere immagini realistiche, bisogna utilizzare gli elementi visuali per far capire più velocemente la storia alle persone. Si può anche raccontare una storia in maniera “archeologica”. Riuscire a capire cosa è successo prima di un determinato evento semplicemente guardando gli oggetti in scena o l’ambientazione. Se proprio si volesse essere diretti, non bisogna esagerare con le scritte sui muri tipo “I kill you” o “Beware”, si tratta di clichè e non hanno tanto senso. Meglio usare altri espedienti.

Altro elemento da non dimenticare è l’audio. Accantonando per un attimo i doppiaggi dei personaggi o le voci narranti, gli effetti sonori e le musiche in gioco sono al pari degli elementi visivi, se non addirittura più importanti. La trasmissione di un’emozione ad un giocatore spesso passa dalle casse del suo televisore o PC, ancor prima che gli elementi visivi facciano il loro lavoro:

Il giocatore può capire molte cose anche mettendo tutti i suoni al punto giusto. Si può comunicare tranquillità al giocatore ed esso non si aspetterà che ci siano dei problemi di qualsivoglia tipo, rimarrà tranquillo, oppure lo si può porre davanti a un problema. Nell’immaginario comune un ascensore che non scende nel modo giusto pone la persona in una situazione di sconforto: ci si aspetta un guasto o che comunque accada qualcosa, il player rimarrà sull’attenti, in vista dell’eventualità che la situazione cambi rapidamente. L’audio è uno strumento estremamente potente per raccontare un setting narrativo, comunica molto bene le situazioni in cui il giocatore si trova ed è utile per comunicare quella sensazione che in quel momento dovrebbe provare il player.

La componente narrativa in sé non è fondamentale in un videogame, ma dipende dal tipo di gioco che si vuole produrre. Il mercato mobile, soprattutto, sfrutta poco lo Storytelling perchè fa del casual gaming e dell’immediatezza il proprio mantra: la maggior parte dei giochi che girano su dispositivi mobile non ha bisogno di storie strappalacrime o eventi epici, ma di un ambiente che “parli da solo” e riesca ad immergere per tutto il tempo il player nel gioco. Ciò non vuol dire che non ci siano giochi di grande spessore narrativo sui device da tasca, ma significa che spesso è meglio evitare una storia articolata in modo che ogni partita, magari effettuata durante una pausa sigaretta o poco dopo la pausa pranzo, sia veloce, immediata e chiara, senza far perdere il giocatore nel classico dilemma RPG, ovvero “A che punto della storia ero arrivato? Cosa devo fare adesso?”.

La narrazione non è solo dialoghi, righe di testo e copioni doppiati da un voice actor, ma è qualcosa che accompagna i giocatori in tutta l’avventura, quando le parole non servono.


Spazio dunque a Eric Zimmerman, veterano del Game Design e primo condottiero di Gamelab. Questo studio ha contribuito alla nascita del casual gaming grazie a Diner Dash e supportato il social gaming con Gamestar Mechanic, gioco che permetteva di creare i propri livelli, giocarli e condividerli con la Community.

Questa chiacchierata con Zimmerman ha permesso a tutti i partecipanti di capire meglio il ruolo del Game Designer, un ruolo che rispetto ad altri, quali programmatori o Storyteller, non è ben definito. Dunque chi è il Game Designer? Di cosa si occupa?

Il Game Designer è il responsabile della ideazione delle meccaniche o il regolamento di un gioco, sia esso digitale o fisico, come i boardgame. Una volta fissata un’idea, un concept, collabora con altri Designer (che si occuperanno di livelli, gameplay ecc.) e tutti i professionisti che sono necessari allo sviluppo del prodotto, siano esse figure conosciute ai più (artisti 2D, modellatori 3D, programmatori, animatori ecc.) o professionisti che appartengono ad altri ambienti lavorativi, come pittori, poeti o architetti.

Quello che vi consiglia Eric Zimmerman, in caso abbiate intenzione di scoprirvi Game Designer, è di seguire questi punti:

  1. Accorgetevi delle connessioni nascoste tra gli elementi
  2. Coltivate il significato del vostro gioco
  3. Trovate il paradosso
  4. Diventate un ninja e ascoltate
  5. Coltivate quello che più vi piace
  6. Create confusione
  7. Immedesimatevi nei giocatori
  8. Piegatevi al processo
  9. Siate ghiotti di cultura
  10. Trasmettete

Un Game Designer non si limita a vedere gli oggetti o altri elementi di gioco per quello che sono, ma cerca interconnessioni tra di loro (ad esempio il Level Design potrebbe collegarsi alla storia del personaggio) e tenta di sviluppare il significato del proprio gioco. Ogni giocatore è esposto a quello che un Game Designer ha creato, quindi sin da subito bisogna fare attenzione a quello che si crea e all’aspetto morale che il prodotto deve avere. Se le azioni all’interno del gioco saranno giustificate a dovere, il player perderà il freddo contatto con la realtà e inizierà a vedere il mondo di gioco con gli occhi di chi l’ha progettato, giustificando azioni impossibili o assurde e continuando a giocare come se fosse la normalità. Una volta fatto questo ci si deve mettere da parte e ascoltare, senza dare nell’occhio, in modo da ricevere un commento sincero da parte di chi sta giocando.

Ogni argomento che appassiona un Game Designer andrebbe sempre approfondito e studiato, in modo da poterlo sviluppare al meglio e favorire l’ispirazione, ma non va dimenticato che il caos è una delle migliori fucine di idee: sfidare le convenzioni con progetti diversi dal solito, ragionare fuori dagli schemi, potrebbe creare un’idea di successo. Inoltre ogni giocatore va visto come un’estensione di se stessi, l’empatia con il mondo dei player è molto importante e domande come “Se fossi il giocatore di questo gioco, come mi comporterei? Cosa mi piacerebbe e cosa no?” potrebbero aiutare ad uscire da un problema o a creare qualcosa di interessante. Se il progetto dovesse prendere una piega inaspettata, non voluta? Bisogna adattarsi a quello che si ha e a dove si è arrivati, ovvero piegarsi al processo di evoluzione di un gioco senza smettere di acculturarsi.

Ultimo, non per importanza: leggere qualsiasi cosa, informarsi su tutto e ampliare le proprie conoscenze è un’ottimo modo di crescere e se un Designer dovesse riuscire a trasmettere qualcosa, sia essa un’esperienza o un insegnamento, tramite il proprio gioco avrà raggiunto il suo obiettivo.


Dopo Zimmermann abbiamo partecipato ad un incontro con We Are Müesli, Game Design duo composto da Claudia Molinari e Matteo Pozzi, rispettivamente Visual Designer e Creative Writer. Insieme hanno tenuto una conferenza intitolata “Reloading History through Narrative Games”, un incontro che ha avuto come perno centrale la possibilità di creare e giocare videogame a tema storico.

Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo.

Questo è forse il pensiero più giusto che un Designer, o una figura equivalente, dovrebbe fissarsi in testa al momento di creare un gioco storico. Certo, i videogame ci insegnano che ogni argomento è adattabile e si può stravolgere, ma è anche un mezzo potentissimo per raccontare in maniera educativa e stimolante quello che i professori provano ad insegnare a scuola. Venti Mesi, importante lavoro di questo team tutto italiano, ne è la prova concreta: un docu-game che ripercorre il periodo della Seconda Guerra Mondiale (dal settembre 1943 all’aprile 1945), suddividendolo in venti storie ambientate nel territorio di Sesto San Giovanni, Milano.

Cos’ha da raccontare il territorio milanese sulla Guerra Mondiale? Probabilmente poco, se si paragonano gli eventi di Sesto San Giovanni a quelli “maggiori” segnati sui libri di storia, ma il fatto è che la guerra c’è stata anche nel nord Italia e gli eventi accaduti in quel territorio non sono meno gravi di quanto successo altrove.

Il punto è sempre uno: quando ci sono informazione e ricerca, coloro che creano videogiochi si dimostrano in grado di offrire un punto di vista diverso dal solito, una visuale completamente diversa da quella comune e che ci viene raccontata a scuola.


La Game Happens non si è rivelata solo un bell’evento da vivere, ma anche un posto in cui fare un po’ di chiarezza e informazione su ciò che sta alle spalle di un gioco, con persone pronte a parlare della propria passione senza peli sulla lingua, rispettando il lavoro altrui e criticandolo solo per migliorarlo.

Abbiamo provato diversi giochi sviluppati dai piccoli team e studenti presenti, oltre ad aver mangiato tanto pollo al curry, ma questa è un’altra storia (che vi racconteremo presto)…

Ph: Angelica Gardani