Riverenza, entusiasmo e qualche dubbio: sono tante le sensazioni che hanno attraversato il mio corpo prima di cominciare la prova di anteprima finale di Final Fantasy VII Rebirth (acquistabile da GameStop a questo link), in particolare nel momento in cui abbiamo scoperto che avremmo vissuto parti di gioco praticamente definitive e che si andavano a incastrare con quanto visto nella precedente sessione di gioco in anteprima basata sulla demo del TGS – e che vi suggeriamo di recuperare (questo il link) in quanto entra maggiormente nel dettaglio del combat system.
Dopo tutto è Square Enix stessa ad aver scelto un approccio sensazionalistico per tratteggiare l’esperienza di questa seconda parte del remake/reboot/sequel del titolo più amato in assoluto nella loro libreria. La presenza di Zack, il ruolo di Cloud, la peculiare sensibilità di Aerith, l’imprevedibilità delle azioni di Sephiroth: tutto il bailamme mostrato nei trailer più recenti non ha fatto altro che alimentare ragionamenti e supposizioni, permettendo la generazione di teorie piuttosto curiose come l’aver scelto di pubblicare su due dischi per seguire due linee narrative diverse.
E così nell’affrontare i primi due capitoli di Final Fantasy VII Rebirth ho pensato principalmente a lasciarmi trasportare, senza troppi ragionamenti a monte. Ovviamente la curiosità di capire se anche qui si sarebbe usato qualche espediente narrativo frizzante (come l’apparizione decisamente anticipata di Sephiroth in Remake) c’era, ma una volta premuto il mio bellissimo buzzer che riproduce la victory fanfare e indossate le cuffie ho lasciato che fosse il gioco a dettare la via, non il mio headcanon.
La prova è partita immediatamente dopo gli ultimi eventi visti nel DLC INTERmission, con i nostri protagonisti già giunti a Kalm e impegnati nel fare un piccolo resoconto della situazione dopo i turbolenti eventi degli ultimi capitoli di Remake. Nonostante l’evidente volontà di rimescolare le carte in tavola, almeno inizialmente l’incedere della storia è sensibilmente sovrapponibile all’originale, a tratti riproponendo scene e dialoghi con una fedeltà estrema. La nuova veste grafica, le animazioni e il doppiaggio però contribuiscono a enfatizzare sia severità che eccentricità delle espressioni e dei comportamenti dei personaggi coinvolti.
Certo, sembra una banalità se pensiamo che già il precedente capitolo ci aveva permesso di dare una forma a diversi ricordi del nostro passato, ma chi conosce gli eventi dell’originale sa bene quanto sia importante vedere in azione Cloud, in particolare se ripensiamo al suo racconto di quanto sia successo a Nibelheim, punto di partenza del Capitolo 1 del gioco. Il ritorno al paese natale, ritrovando amici e familiari, la presa di coscienza del proprio cammino di soldier e i ricordi che sembrano tanto confusi quanto dolorosi. La sceneggiatura riprende passo per passo l’originale, inserendo elementi di colore e al tempo stesso andando ad affrontare con maggiore consapevolezza la dicotomia tra i ricordi di Cloud e quelli di Tifa.
Almeno inizialmente l’incedere della storia è sensibilmente sovrapponibile all’originale
Per rendere più interessante una sezione che nell’originale rappresentava una pausa di riflessione e che ora invece fa da apertura all’intera esperienza (considerando che sono passati 4 anni dal titolo precedente), si è voluto dare più corpo intensificando la frequenza dei combattimenti, arricchiti con delle boss fight spettacolari, e mettendo ancora più enfasi al crescendo che porta alla “scena madre” di questa parte della storia. L’intento di rendere ancora più pesanti e traumatizzanti le azioni di Sephiroth è palese, tant’è che a volte si sfiora un po’ l’eccessiva artificiosità, creando un effetto respingente.
Al netto di un po’ di pesantezza, conseguenza della maggiore attenzione riservata ad alcuni momenti in precedenza collaterali, si può affermare che la rivisitazione di questo punto centrale della narrativa sia avvenuta con successo, collegando in modo piuttosto interessante quanto già conosciuto ai nuovi inserti come l’arrivo della Shinra alla ricerca dei pericolosi criminali dell’Avalanche – a cui ormai è stata affibbiata la colpa per tutto ciò che è avvenuto nella sede e, di rimando, nella stessa Midgar.
E così, superato il primo capitolo, ci si apre un intero mondo – letteralmente – di cui ci vengono svelate tutte le sfaccettature in una sequenza magari non tambureggiante per ritmo ma metodica e concreta nel mettere uno sopra l’altro tutti i mattoncini utili al giocatore.
Innanzitutto ci viene fatto conoscere il minigioco Queen’s Blood, che potremmo definire come il punto di incontro tra Triple Triad e Marvel Snap. Anche qui infatti ci troveremo a posizionare carte con limiti precisi a seconda dei loro attributi, andando a calcolare poi i punteggi totali di ogni riga. Intrigante nelle sue basi, a volte oscuro nell’esecuzione, ha il potenziale per essere decisamente divertente e motivo di una gran perdita di tempo alla ricerca dei tanti sfidanti sparsi per le città e il mondo intero.
Sebbene nella prima parte della prova io abbia avuto l’impressione di aver un po’ perso tempo, giocando a un capitolo che parzialmente avevo già provato (e di cui, per fortuna, ho potuto saltare ciò che avevo giocato in precedenza), in questa seconda fase invece sono stato assalito dall’inebriante sensazione di avere a disposizione tantissime cose da fare e (purtroppo) poco margine nella gestione delle diverse attività.
Come ogni buon esploratore che si rispetti quindi mi sono lanciato verso la mia destinazione zigzagando alla ricerca di ogni zolla sospetta, di costruzioni abbandonate, ponti sospesi, valichi, ruscelli tra attraversare. Il mio entusiasmo era del tutto simile a quello mostrato da Aerith nell’approdo del party alle Grasslands e poco importava se alla fine mi trovavo a girare un po’ a caso raccogliendo materiali e sfidando qualche mostriciattolo (di grazia, la mappa sembrava davvero vuota), perché ripensando ai sistemi di navigazione, alla mappa ricca di informazione e ai viaggi rapidi, ho immaginato che alla fine ne sarebbe venuto fuori qualcosa di estremamente piacevole da mettere insieme.
Final Fantasy VII Rebirth evidentemente sembra avere metabolizzato le critiche rivolte al suo predecessore e, in modo ancora più convinto di quanto visto a settembre, ci mostra come i corridoi di Final Fantasy XIII e le ampie distese di nulla di Eos (Final Fantasy XV) siano solo un triste ricordo. Mutuando da un po’ dalle classiche dinamiche degli open world / open map, ci si appoggia all’idea delle torri da attivare per ampliare le zone di mappa visibili, così come la scoperta dei punti di interesse ci permette di segnare sulla mappa location interessanti.
Qui entra in scena Chadley, il ragazzino tecnologico che nel precedente titolo metteva alla prova il party con il suo simulatore virtuale, il quale non manca di ripresentarsi anche in questa occasione, con tanto di prove dedicate ai singoli personaggi (utilissime per i nuovi arrivati o chi si è un po’ arrugginito) e le consuete sfide alle Summon. Ma non solo, perché a questo giro il suo scopo è raccogliere tanti dati legati all’ambiente, recuperare materiali e a conti fatti diventare il conoscitore assoluto di Gaia. Beh, forse esagero, ma vista la facilità con cui riesce a convincere il party ad eseguire compiti come sottrarre tesori a bande di criminali usando lo stealth… è impossibile non notare il carisma del leader.
Final Fantasy VII Rebirth evidentemente sembra avere metabolizzato le critiche rivolte al suo predecessore
Chi ha giocato il titolo originale ricorderà come Kalm fosse un semplice punto di passaggio per puntare a Junon, attraversando le pericolose paludi grazie al supporto dei chocobo. E giustamente in questa nuova avventura i simpatici pennuti non mancheranno di mostrare la loro utilità, non solo in ottica di trama: dopo aver imparato a catturarli e a cavalcarli, facendo conoscenza con la famiglia a gestione dello storico ranch, scopriremo come siamo l’ideale mezzo di trasporto per girare il mondo ma anche fondamentali per avviare attività come il ritrovamento di materiali sotterrati, utili anche loro alle ricerche di Chadley e al conseguente unlock di nuove meccaniche per l’esplorazione.
Passare da un combattimento a raccogliere i fiori, dal sottrarre reliquie ai banditi a scavare con i chocobo e via dicendo è tutto sommato divertente, ma nel complesso crea un numero tale di digressioni da intercettare pesantemente l’incedere del nostro party. Gli amanti dei giochi vasti e ricchi di cose da fare si fermeranno per ore nel secondo capitolo, mentre i puristi dell’equilibrio tra narrazione e gameplay sentiranno un po’ di scollamento tra le priorità della trama e la leggerezza con cui Cloud e soci si dilettano nel tempo libero. A ognuno il suo, considerato che gli obblighi sono pochi (giusto lo sblocco dei chocobo) e che tra le missioni collaterali troviamo anche attività interessanti come la possibilità di sbloccare la summon Titan, sfruttando una simpatica nuova meccanica.
Una volta completate le attività secondarie, è tempo di proseguire a bordo del nostro “veicolo pennuto” per poter sfuggire alle grinfie del Midgardsormr, il temibile serpentone custode della palude e condanna di ogni visitatore non sufficientemente organizzato. Nell’originale le zampe veloci del nostro compagno di viaggio permettevano di evitare in agilità questo pericoloso boss opzionale, ma in questa occasione invece il dinamico trio Nomura, Nojima e Kitase ha preferito inserire uno skill check obbligatorio, facendomi fronteggiare l’ardua sfida.
Debole al ghiaccio e affine all’elemento fuoco, la temibile creatura alterna i classici attacchi serpeggianti ad assalti violenti su singoli membri del party (un po’ a ricordarci come nell’originale letteralmente cacciasse fuori dalla battaglia alcuni membri), sfoggiando quando opportuno sferzanti turbinii di fuoco. Il glow-up rispetto all’originale è corposo, sia nel design del mostro che per quel che concerne moveset e ambientazione. L’esito della battaglia è quantomeno… curioso, ammiccando a quanto avvenuto in passato in un modo forse inatteso. Non vi sveleremo i dettagli, anche se sicuramente troverete in giro il tutto (fate attenzione) per lasciarvi un po’ di sorpresa.
Terminata la prova, le sensazioni sono state un po’ contrastanti: da un lato è evidente come Final Fantasy VII Rebirth sia di suo un titolo caratterizzato da valori di produzione imponenti e da una grande cura nel ricreare e reinterpretare il materiale originale in un’ottica moderna e ingaggiante, dall’altra a volte sembra si ecceda un po’ nel caricare di rilevanza e/o personalità ogni passaggio dell’avventura per farla apparire ricca ed esponenzialmente più corposa dell’originale. Che va anche bene, per carità, ma è anche utile trovare il giusto bilanciamento tra priorità e collateralità, ricordandosi chi siano i protagonisti e chi gli NPC e quanto effettivamente dare spazio a questi ultimi si traduca in un reale valore aggiunto.
Certo la mia è una reazione dettata dall’esperienza con i primi due capitoli, così distanti tra loro per struttura, e non necessariamente è indicativo della fruibilità del prodotto finale. Nella prova di settembre ho infatti incontrato già situazioni più spedite e concise (ottimo complemento a quanto visto oggi), quindi potremmo attenderci un gioco fatto di momenti intensi, pause, accenni di libertà e ritorno sui binari, nella speranza che l’esplorazione del mondo offra la stessa elasticità dell’originale una volta affrontati i punti chiave della progressione.
A livello narrativo è sempre sorprendente andare a confrontarsi con la ricca espressività del cast di protagonisti, che soprattutto nel caso di Cloud e Barret in particolare si esprime ad ampio respiro. A volte però l’estremo pseudo-realismo della grafica di gioco fa sì che un certo tipo di messinscena, che dà spazio a personaggi bizzarri e alle curiose reazioni dei protagonisti, sfoci un po’ nel cringe, ma ci si abitua in fretta e si metabolizza come parte della cifra stilistica.
Di certo in una media pesata dell’esperienza si esce abbastanza soddisfatti, ma al tempo stesso desiderando qualcosa in più – che poteva essere anche solo più tempo per esplorare ogni possibilità offerta dal Capitolo 2. La mia riserva più grande è da ritrovarsi nella scelta di far partire questo secondo titolo dal flashback di Nibelheim, che comincia con un ritmo decisamente compassato e, dopo aver fatto saggiare le potenzialità del gioco, pesta ancora pesantemente il piede sul freno. Paragonato all’avvio di Final Fantasy VII Remake, bombastico a confronto, siamo proprio su pianeti diversi.
La sensazione però è che dove io con occhio critico ho trovato impasse, altri possano invece cogliere sfumature, passione e trasporto, così come un grande rispetto per la visione originale, sostenuta da una scrittura figlia di chi al tempo probabilmente voleva proprio ottenere questa resa e, per limiti di hardware, si è dovuto accontentare.
Dopo tutto a tre settimane di distanza dalla release e con solo 2 capitoli e mezzo visionati in due sessioni, le conclusioni da trarre sono ben poche ed è piuttosto facile perdersi a ragionare sulle possibilità concesse dalla nuova struttura di gioco, un po’ sacrificata nel precedente titolo e decisamente più libera di esprimersi in questo Final Fantasy VII Rebirth, non avendo avuto modo di tastare con mano alcun elemento del più grosso traino di questo progetto, ovvero la messa in discussione della realtà originale in funzione della sopravvivenza di Zack.
E avendo appurato come le basi del gioco siano ancora una volta molto valide, la voglia di scoprire quanto è profonda la tana del bianconiglio è davvero enorme. Meglio che vada a preparare i paracadute, perché sono convinto ci aspetterà un viaggio ad alta quota davvero imprevedibile.
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