Escape Dead Island – Recensione

Escape Dead Island – Recensione

Eravamo a conoscenza già da un po’ del fatto che, nell’attesa di un seguito ufficiale (Dead Island 2), avremmo potuto visitare nuovamente l’arcipelago di Banoi con un nuovo titolo impestato di morti viventi e targato Deep Silver. Il contagio di Escape Dead Island è finalmente tra noi, ed armi in pugno siamo pronti ad affrontare questa nuova avventura ed una nuova ondata di putrescenti e claudicanti defunti, che non aspettano altro che banchettare con le nostre viscere…

Il nuovo capitolo, anche se “transitivo”, porta indubbiamente delle visibilissime modifiche (sia di stile che di gameplay) rispetto a quanto abbiamo visto nel primo Dead Island e nel successivo “more of the same” Riptide. Il titolo cambia quindi decisamente strada, ma siamo sicuri al cento per cento che tale scelta sia stata effettivamente quella giusta? Per scoprirlo, non resta che tirarci su le maniche e metterci al lavoro, perché di sicuro questi zombi non si faranno a pezzi da soli… o forse sì?!

La notizia del contagio sulle isole di Banoi è ormai di dominio pubblico, ma non tutti ancora credono che la cosa sia effettivamente reale. La conferma di quanto sia accaduto in queste isole però, sarebbe un’ottima occasione di riscatto per Cliff Calo, figlio di uno dei più importanti magnati dell’informazione mediatica, che per alcuni comportamenti leggermente “giovanili” e superficiali, si era visto soffiare il posto di comando dell’azienda del padre dalla propria sorella minore. Presi quindi armi e bagagli e due amici di supporto, Cliff affronta le acque fino all’isola di Narapela, situata a poca distanza dall’isola principale dell’arcipelago di Banoi, e da cui si presume sia partito tutto.

Giunti a destinazione, le cose non sembrano andare nel verso giusto, e dopo la perdita improvvisa ed inaspettata della loro imbarcazione, i tre ragazzi si ritrovano fin da subito bloccati su un’isola sconosciuta ed apparentemente deserta, con la certezza che al suo interno possa nascondere pericoli in agguato ovunque. Parte quindi la loro ricerca ad una via d’uscita, o ad un mezzo di trasporto che permetta loro di fuggire da quel luogo che non tarderà molto a mostrar loro le insidie di cui è capace. Ovviamente le tragedie sono sempre dietro l’angolo, e Linda, la compagna di viaggio di Cliff, viene morsa da una delle creature presenti sull’isola, ed urge quindi una cura prima che il virus “zombesco” prenda il sopravvento sulla ragazza.

Per fortuna però, il nostro aspirante reporter incontra sulla sua strada Xian Mei, una nostra vecchia conoscenza, giunta sull’isola per indagare su quanto accaduto e per correre in aiuto del suo amico Rob, arrivato lì in precedenza per compiere un’altra missione… Il problema però, è che gli zombi non sono l’unico problema che Cliff dovrà affrontare, perché una volta sull’isola la sua salute mentale comincerà ad abbandonarlo, tormentandolo con allucinazioni e voci che solo lui riesce a sentire…

Tenendo conto anche del prologo della storia, il titolo si snoda in circa dodici capitoli, attraverso i quali si affronterà l’origine del contagio zombi, scoprendo così allo stesso tempo quello che si cela realmente dietro a tutta questa brutta faccenda dei morti viventi. Il prologo che vi abbiamo appena citato vi metterà nei panni di Rob, un agente speciale (quasi) perfettamente addestrato, che durante la sua breve ricerca di una talpa all’interno della Geopharm, ed il recupero di alcuni importanti dati presenti sull’isola, vi farà da tutorial per apprendere i primi rudimenti del gioco. Subito dopo sarà il turno di guidare invece Cliff Calo, protagonista del nuovo titolo Deep Silver, che vi accompagnerà per i restanti undici capitoli della trama.

Di per sé il titolo non è lunghissimo, meno di 7 ore se escludiamo il tempo dedicato al libero vituperio in cui vi porterà lo scontro finale, che alla fine dei conti è uno degli eventi che vi faranno titubare sul giocare o meno la Nuova Partita Plus, che sbloccherete una volta portato a termine il gioco. Onestamente parlando però, la sofferenza di uno scontro finale che si attesta su un livello di difficoltà più elevato rispetto al resto del gioco, non è nulla in confronto a quella che si dovrà sopportare spesso durante tutti i capitoli precedenti, che sono sfortunatamente troppo forniti di problematiche tecniche.

L’esperienza finale è quindi similare a quella di giocare al giorno d’oggi ad un titolo di una generazione precedente (nel nostro caso quindi Playstation 2 in pratica), sia per quel che riguarda il dettaglio e la qualità grafica, che per le dinamiche globali di gioco. Inutile dire che con un panorama simile, la rigiocabilità del titolo ne risulta parecchio minata, e se ci aggiungiamo anche che l’unica discriminante (bonus) tra la prima run e le successive è il poter usare una katana fin dall’inizio, il dubbio sullo spenderci altre ora sopra è sicuramente lecito.

Con il nuovo titolo quindi, come avrete capito, la serie di Dead Island cambia praticamente del tutto il proprio gameplay, passando da uno sparatutto in prima persona, ad uno pseudo survival horror in terza persona. Al contrario di altri titoli simili però, già dall’inventario interno del gioco si inizia ad intuire che tutto è ridotto praticamente al minimo sindacale. Nello specifico infatti, gli spazi dell’inventario sono limitati ad un numero esiguo destinato ad armi ed attrezzature (due armi melee, pistola, shotgun e la macchina fotografica); numero che di poco supera i posti assegnabili alla croce direzionale del pad.

A peggiorare questa già insolita situazione, nel gioco non vi è più nessuna traccia del vecchio sistema di crafting delle armi, e quindi per migliorare il proprio arsenale non resta che sperare di trovare i (pochi) upgrade (leggasi armi migliori) sparsi in giro per l’isola. Per essere ancora più chiari, anche la varietà di azione è ridotta al minimo. Non ci sono combo, non ci sono colpi speciali o particolari, ed è possibile confrontarsi con i propri avversari solo nei soliti modi, ovvero con armi da fuoco (quindi a distanza), con quelle da melee o con un approccio più stealth tramite delle uccisioni silenziose (che sono poi in fondo l’unica vera nota di merito).

Nei controlli, la cosa peggiore è stata la decisione di assegnare il tasto dello stick sinistro per accovacciarsi, e la corsa al tasto cerchio/B, scelta quanto meno indigesta, perché nella quasi totalità dei titoli presenti sul mercato (per lo più negli FPS) è pressoché uno standard l’esatto contrario. Il resto dei comandi invece scorre più o meno liscio, le cose che il nostro protagonista è in grado di fare non sono numerose, e questo non può che tradursi in comandi semplici e facilmente assimilabili (escluso quelli citati ovviamente).

Da quanto detto finora, si deduce facilmente che la giocabilità non sia eccessivamente profonda. Tacciare il titolo come mortalmente noioso magari non sarà estremamente corretto, ma c’è da dire comunque che il dover andare avanti e dietro di continuo per tutta l’isola per portare a termine il task corrente non è proprio il massimo del divertimento.

Anche il comparto grafico ha subito un netto cambiamento, passando dalla grafica “realistica” (o meglio quella classica, normale) alla tecnica del cel-shading che tutti ormai conosciamo. Non sappiamo se tale scelta sia dovuta al desiderio di mascherare ulteriormente la carenza di definizione estetica di zombi, dei personaggi e delle ambientazioni presenti nel titolo, ma di sicuro non è stato un passo in avanti rispetto a quanto proponevano i due titoli precedenti. Meno disastrosa invece la scelta di usare dei simil motion-comic al posto dei filmati di intermezzo, che bene o male sono stati ben realizzati, ma che restano comunque un qualcosa di poco innovativo.

Tornando in game, oltre ovviamente ad un livello estetico qualitativamente basso, anche l’uso della luce pare essere del tutto personale, cosa di cui vi accorgerete sicuramente quando guardando una stanza con un interno perfettamente visibile, vi ritroverete completamente al buio appena ci avrete messo un piede dentro (e no, non è che si son scordati di pagare la bolletta purtroppo…). L’audio, poi, non aggiunge nulla di utile o di sorprendente al complesso, e per via della mancata localizzazione completa in italiano, ci costringe ad accontentarci dei soli miseri sottotitoli. La colonna sonora invece (se c’era), era talmente anonima che non ne abbiamo notato la presenza

Come avrete intuito da quanto detto fino ad ora, l’atmosfera del titolo è nettamente differente da quella dei suoi predecessori, che si basava in parte su suspense e tensione indotte nel giocatore grazie anche ad un’estetica più “realistica”. Escape Dead Island invece risulta quindi essere molto meno “spaventoso”, giusto per usare un termine spiccio, e punta sulla componente stealth introdotta nel sistema. Questa, come anticipato prima, è sicuramente la feature più apprezzabile che si possa osservare in tutto il gioco, che nonostante gli sforzi profusi, non riesce a superare la soglia della mediocrità.

A livello tecnico, non neghiamo che ci sarebbe sicuramente piaciuto dirvi il contrario, ma quello che non manca in Escape Dead Island, sono sicuramente i problemi ed i bug… Tralasciando l’aspetto estetico dei protagonisti, che sinceramente sembrano avere qualche problemino a livello osseo-muscolare, non è difficile incappare in freeze, filmati che non finiscono come dovrebbero, o in zone da esplorare in cui il caricamento delle texture e delle strutture non sia andato a buon fine, con conseguente caduta del protagonista nel vuoto siderale che lo attende sotto il terreno.

Che nel gioco non si possa saltare, è una cosa che più meno si potrebbe anche comprendere, ma che il protagonista possa avere serissimi problemi se si trova davanti ad una mezza radice che sporge per terra, ci sembra un po’ un’esagerazione. Stesso discorso per l’esatto contrario, ovvero il non potersi rialzare una volta accovacciati se si è troppo vicini ad alcuni oggetti. Anche in questo caso infatti, possiamo capire se il personaggio si trova in un cunicolo troppo basso per passarci in piedi, ma non riuscire a rialzarsi per via di una ringhiera metallica a mezzo metro di distanza, denota di certo una problematica più grossa del previsto.

Nemmeno il paleolitico e fastidioso problema del pop-up ci concede la grazia in Escape Dead Island, ma qui quantomeno il buon vecchio Silent Hill ha insegnato qualcosa, ed infatti almeno alla vegetazione è stata data la pantomima di crescere a vista d’occhio mentre ci muoviamo per le locations, mascherando in questo modo parte del problema come faceva appunto la nebbia nel titolo Konami. Personalmente, preferisco non proferir parola sulle problematiche legate alle collisioni, soprattutto perché quanto si può osservare nel gioco è già sufficientemente imbarazzante, e non necessita di ulteriore benzina sul fuoco.

In conclusione…

Se dovessimo fare una misurazione punto punto sui pro ed i contro di questo spin-off della saga di Dead Island, di certo la componente stealth ed i filmati in stile motion comic sarebbero di sicuro due punti a favore, ma non sarebbero sufficienti a battere il punteggio della “squadra avversaria”, che tra problematiche, bachi, e tutto il resto, ci metterebbe ben poco per far gridare all’arbitro la classica frase tennistica “game, set, match“. Troppi problemi tecnici affliggono il titolo, ed un livello generale palesemente sotto la sufficienza non rendono giustizia alla fama che Deep Silver aveva conquistato con i due titoli iniziali (il primo soprattutto), e rischia di mettere in cattiva luce anche l’avvento del futuro Dead Island 2.

Del resto, è praticamente lapalissiano che il risultato finale del titolo sia paragonabile solo a produzioni appartenenti a piattaforme obsolete rispetto a quelle per cui è destinato, che significa fare un salto indietro nel tempo di almeno otto anni (e sottolineiamo la parola “almeno”).

Per dirla come farebbe il Conte Adhemar di Anjou, antagonista dell’eroe nel film “Il Destino di un Cavaliere“, Escape Dead Island è stato pesato, è stato misurato, ed è stato trovato mancante, e per tale ragione, non ci resta che confidare in una pronta ripresa nel prossimo Dead Island 2.

Voto: 5/10

Fin da piccolo ho sempre amato le storie, che fossero raccontate da un libro, un fumetto, un cartone, un film, o soprattutto da un videogioco. Alcune le ho solo viste, altre le ho sentite così mie da avere l'impressione di averle vissute, ed altre ancora le ho addirittura scritte. Forse sono un pazzo o un sognatore, o tutte e due le cose. Ma continuerò a sognare ed a vivere avventure, per poter dire un giorno "fammi rubare Capitano, un'avventura dove io son l'eroe che combatte accanto a te".

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