Dying Light: Bad Blood – Anteprima gamescom 18

Dying Light: Bad Blood – Anteprima gamescom 18
Dying Light: Bad Blood – Anteprima gamescom 18
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Colonia – Avete mai pensato a come sarebbe una lotta senza esclusione di colpi, tutti contro tutti, all’interno di un universo popolato da infetti e creature mutate – insomma, un Battle Royale? Techland si è posto la stessa domanda ma non solo, si è anche dato la risposta. Nasce così Bad Blood, un progetto nato inizialmente come espansione e poi diventato un gioco a se stante. Prendete tutto quello che conoscete di Dying Light, soprattutto la sua incredibile libertà di movimento, una mappa, dodici giocatori in lotta fra loro, infetti di ogni tipo ad aggredire chiunque si avvicini troppo, un obiettivo comune a tutti i partecipanti ma un solo vincitore possibile, ed ecco il vostro Hunger Games.

Dopo il corposo DLC “The Following”, i ragazzi di Techland hanno deciso di continuare a dare supporto a un gioco che a tutt’oggi conta più di quattordici milioni di giocatori ma anziché proporre un’altra avventura in solitario hanno deciso di tentare con un genere che sta molto spopolando ultimamente, soprattutto grazie a titoli come Fortnite. Ha deciso di farlo dando però un proprio tocco personale e dopo averlo provato in un paio di avvincenti sessioni, possiamo dire essere molto intrigante, coinvolgente e in grado di dare, agli appassionati ma anche a chi si è appena avvicinato al mondo post apocalittico di Dying Light, qualcosa di adrenalinico e brutale con il quale ingannare l’attesa dell’innovativo secondo capitolo, già provato durante l’E3.

Inizialmente annunciato nel 2017 come un’espansione indipendente da sei giocatori, Bad Blood si è poi sviluppato lungo un percorso differente e ora si presenta più come un titolo a sé stante: l’obiettivo dei giocatori, gettati in una carneficina a cielo aperto, è raccogliere campioni di sangue da alcuni punti precisi segnati sulla mappa e controllati, a seconda dei casi, da diversi tipi di infetti – dai Biter ai Goon, non solo per dare un senso di varietà ma anche per spingere il giocatore a migliorarsi perché se di solito a vincere è il più furbo, in Bad Blood questo è vero solo in parte: a sopravvivere, soprattutto durante l’exploit finale, è il più forte – dunque sì, in un certo senso quello che è stato più accorto a bilanciare progressione ed esplorazione in modo da avere un equipaggiamento in grado di salvargli la vita quando la situazione si farà davvero selvaggia. La nostra salvezza dipende tutta da un elicottero in grado di trasportare una sola persona, per motivi non spiegati ma come è ovvio legati al punto focale di un Battle Royale (ovvero la sopravvivenza del singolo): ciò significa che il sangue scorrerà a fiumi, nel momento in cui un giocatore raccoglierà abbastanza campioni da attivare il punto di estrazione.

Prima dell’atto finale c’è però tutto un percorso in cui la sopravvivenza al suo livello più estremo la fa da padrona. Inizieremo la nostra partita senz’armi, distanti dagli altri giocatori, con due obiettivi in particolare che vanno ad affiancare quello di base: trovare qualcosa per difendersi e salire di livello per migliorare il proprio personaggio. Si può ottenere esperienza in diversi modi, dalla semplice raccolta di risorse all’uccidere i nemici, reali o controllati dal computer: ogni level up comporta un incremento della salute massima e un miglioramento della nostra forza d’attacco – essenziale per affrontare tutti i pericoli che popolano la mappa, in particolare gli altri giocatori.

Quando l’elicottero sarà attivo per venirvi ad estrarre dalla zona, si attiverà la logica del last man standing: le lotte si faranno ancora più serrate perché i sopravvissuti convoglieranno verso il punto di estrazione e si scaglieranno uno contro l’altro con incredibile ferocia. Questa consapevolezza vi si porrà come condizione di stress fin dall’inizio della partita: da un lato la raccolta di risorse è fondamentale per lo scontro finale, dall’altro vagare in cerca di oggetti utili ci toglie tempo prezioso. Questo livello di tensione e la necessità strategica sono familiari a chi mangia pane e PUBG (o Fortnite) a colazione ma è pur vero che aver inserito dei nemici aggiuntivi e, in un certo senso, imprevedibili aggiunge un po’ di pepe alla situazione.

Una perplessità in particolare riguarda proprio l’introduzione degli infetti come elemento di letale disturbo per i giocatori: messe a guardia dei campioni di sangue da prelevare, le creature attaccano solo chi si avvicina troppo, senza di fatto aggirarsi mai lungo le strade di Harran come invece capita nel gioco principale.

Avremmo preferito da parte loro una maggiore interazione con l’ambiente e il giocatore stesso, non solo perché avrebbe aggiunto un ulteriore livello di difficoltà ma anche perché avrebbe costretto a una attenzione a trecentosessanta gradi. Il combattimento sembra ancora un po’ lento nella sua esecuzione e la mappa giocata non ha sfruttato appieno il potenziale verticale che è poi il cuore di Dying Light, ma siamo fiduciosi del lavoro degli sviluppatori: Bad Blood sarà supportato in toto, implementando mappe che si ispireranno molto a quelle sviluppate dalla community e, perché no, persino armi inedite.

In conclusione Bad Blood è un’interpretazione interessante di un genere incredibilmente di moda: Dying Light ha il potenziale per rendere un Battle Royale ancora più coinvolgente e Techland ne è consapevole, motivo per cui ha deciso di affidarsi alla community per ascoltarne il parere. Da settembre infatti il gioco sarà disponibile in Early Access su Steam e attraverso l’acquisto del Founder’s Pack si avrà accesso ad alcuni oggetti che non saranno ottenibili altrimenti.

I veterani di Dying Light si sentiranno senza dubbio a casa con Bad Blood, perché i comandi sono rimasti sostanzialmente gli stessi salvo alcune leggere modifiche per godere meglio dell’esperienza multigiocatore. C’è giusto qualche rifinitura da mettere in atto ma ancora una volta gli sviluppatori hanno dimostrato il fatto loro, scegliendo di supportare con pieno impegno un gioco che non ha mai smesso di entusiasmare i suoi fan. Esiste al mondo un giocatore che da solo ha accumulato 4500 ore di gioco: se c’è qualcuno in grado di destreggiarsi in una apocalisse zombi, è sicuramente lui.


Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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