Il solito, ottimo, DOOM o quasi
Che il mondo dei videogiochi si alimenti e viva di trend non lo scopriamo certo oggi. Puntualmente c’è un nuovo genere o una nuova meccanica che si afferma ed è inevitabile, soprattutto per progetti di una certa portata, adeguarsi in qualche modo allo standard di riferimento, al nuovo che avanza, a ciò che (ri)anima, in ambito creativo e di ricezione del pubblico, quello specifico momento storico. Con gli open-word è stato così, soprattutto nella generazione PlayStation 3 e Xbox 360. League of Legends ha ispirato la pubblicazione di decine di MOBA. Fortnite ha fatto qualcosa di molto simile con i battle royale, inaugurando un periodo in cui quasi ogni gioco sembrava dovesse proporre a tutti i costi almeno una modalità apposita.
Questa premessa è d’obbligo, vista la direzione scelta da id Software per DOOM: The Dark Ages, titolo che completa la trilogia iniziata nel 2016 e che, cronologicamente, anticipa le altre due avventure, concentrandosi sulle origini del protagonista e di come sia iniziato il drammatico conflitto tra umani, forze infernali e Maykr.
Niente battle royale, tranquilli, tanto più che stiamo parlando di un gioco esclusivamente single player, senza alcuna modalità alternativa. La feature di riferimento è trasposta direttamene dai soulslike, un po’ come fatto in tempi recenti da Clair Obscur: Expedition 33, è ha le fattezze di un vero e proprio combat system, che si amalgama alla perfezione con il gunplay, che pone l’accento sull’importanza delle parate e, soprattutto, delle parry, tecnica quasi imprescindibile per tenere testa alle orde di demoni che vi affronteranno.

Del resto, è lodevole la netta differenziazione di ogni singolo capitolo della trilogia, che pur restano fedeli a specifiche caratteristiche comuni che fungono da collante. Ritmi forsennati e la totale assenza di coperture di qualsiasi tipo, caratteristica che avvicina la saga al genere dei boomer shooter se vogliamo, sono le fondamenta su cui id Software ha deciso di costruire tre torri piuttosto diverse tra loro. Nel capostipite, in termini di pubblicazione quantomeno, il protagonista era una sorta di tank che procedeva in linea retta, travolgendo qualsiasi cosa trovasse lungo il suo cammino. Eternal ha favorito l’estrema verticalità del level design e delle doti atletiche del DOOM Slayer. The Dark Ages, dal canto suo, ha appunto optato per una coraggiosa ed intrigante trasformazione del gameplay che non è puramente un FPS nel senso classico del termine, ma nemmeno un action in prima persona.
Si può parlare senza troppi fronzoli di un vero e proprio ibrido, uno sparatutto che fa di attacchi corpo a corpo e difesa due cardini attorno cui scandire le proprie offensive, sfuriate traducibili in vere e proprie combo in cui si alternano parate, schivate, pugni poderosi e potenti scariche di fucile. Giocare a DOOM: The Dark Ages è un po’ come danzare, come esibirsi in una coreografia i cui passi sono dettati dalla tipologia degli avversari nell’arena, dal momento che ogni nemico, come facilmente ipotizzabile, presuppone specifiche strategie per un’eliminazione più rapida ed efficiente. Da questo punto di vista, il gioco offre agli aspiranti DOOM Slayer tutto il necessario per destreggiarsi al meglio, in parte ereditato dai precedenti capitoli.
Le parry influenzano tantissimo l’approccio alle battaglie
L’arsenale, tanto per cominciare. Sebbene l’attenzione sia spostata anche sugli attacchi a corta distanza, non potevano certo mancare una lunga lista di bocche da fuoco adatte ad ogni evenienza. Da fucili a pompa, a mitragliatrici, passando per lanciarazzi e fucili al plasma, opportunamente potenziabili raccogliendo sfere e denaro in giro per lo scenario, non manca nulla per opporsi degnamente alle varie tipologie di nemici che vi fronteggeranno. Gli scudi di energia possono essere sovraccaricati con il plasma, nemici dotati di lanciafiamme vanno attaccati da lontano, mostruosità corazzate possono essere disarmate con potenti scariche di piombo da corta distanza. Variare l’arma in uso spesso e volentieri è da sempre un marchio di fabbrica della serie e anche questo capitolo non fa certo eccezione. Come c’era da aspettarselo, tra l’altro, il gunplay e lo strepitoso feedback di ogni colpo esploso è mutuato dai capitoli precedenti, rendendo ogni sparatoria un adrenalinico, caotico, gustosissimo concerto di esplosioni, smembramenti e piogge di proiettili in qualsiasi direzione.
Secondariamente, non mancano naturalmente una serie di potenziamenti che potrete attivare, come già anticipato, sacrificando collezionabili e denaro recuperato in giro per gli scenari. Oltre alle armi, potrete migliorare gli attacchi in mischia e ampliare le capacità del fidato scudo, vero e proprio pivot dell’intera esperienza.
Questo strumento non solo vi tornerà utilissimo per parare i colpi nemici, stando ben attenti a non prosciugare completamente la barra che vi garantisce la totale immunità. Grazie al target sui nemici potrete esibirvi in un poderoso scatto, capace di eliminare in un colpo solo i demoni meno forti. Lanciandolo potrete danneggiare e stordire il malcapitato di turno. Sfoderandolo in determinati attacchi, ben segnalati da un colore specifico, attiverete la parry, per l’appunto, apportando danni e aprendovi una finestra per danni extra che potrete infliggere sia con armi corpo a corpo, anch’esse potenziabili e tre in tutto, o utilizzando quelle da fuoco.

Le parry influenzano tantissimo l’approccio alle battaglie. DOOM: The Dark Ages propone una lunghissima serie di opzioni con cui personalizzare il livello di difficoltà del gioco. Dalla salute del protagonista, passando per i danni inferti, nonché la stessa velocità dell’azione, potrete amalgamare l’esperienza in base ai vostri desideri e abilità con il pad. Va da sé che affrontando le sfide più difficili, diventerà fondamentale affidarsi al parry quasi di continuo. Più che in passato, le offensive presuppongono anche momenti di attesa, aspettando il momento migliore per contrattaccare. Sia chiaro, restare fermi nello stesso punto significa morte certa e solo assecondando la frenesia dell’azione si può avere qualche speranza di sopravvivere, ma per creare la danza a cui accennavamo poco sopra, sarà fondamentale aspettare anche il momento giusto per una parry, soprattutto perché in certe situazioni è l’unico modo possibile per recuperare scudo e un po’ di preziosa vita.
Esattamente come negli altri capitoli della trilogia, insomma, il gameplay del gioco regala soddisfazioni a profusione. Eradicando un’orda di nemici sempre più forti, muovendovi rapidamente da un punto all’altro dell’arena, alternando gli attacchi, concatenando le parry, vi sentirete onnipotenti, dei veri DOOM Slayer capaci di salvare da soli il genere umano e tutta la Terra.
Tuttavia, qualcosa che si inceppa, in questo pur convincente meccanismo, c’è. Per precisa volontà degli sviluppatori, rispetto ad Eternal è venuta quasi totalmente a mancare la verticalità. Ciò, tanto per cominciare, ha delle nette ripercussioni sulle fasi esplorative. Le intricate, ma anche divertenti, sezioni platform sono un lontano ricordo. Per raggiungere qualche collezionabile nascosto c’è ancora qualche arrampicata da compiere, qualche salto millimetrico in cui esibirsi, ma in relazione al passato si tratta di brevi momenti, che tra l’altro non ostentano mai chissà quale complessità.
Tecnicamente il gioco fila liscio, senza alcun rallentamento del frame rate
Questo letterale appiattimento è naturalmente ravvisabile anche nelle arene in cui avvengono gli scontri. Gli sviluppatori hanno infatti optato per scenari generalmente più ampi, con una vaga, per quanto tenue, tendenza all’open-map. In queste ambientazioni, che si alternano ai più comuni corridoi e stanze più ampie che pur non mancano in gran quantità, avrete modo di scovare numerose aree segrete e prenderete parte a scontri di più ampio respiro.
Se le dimensioni di queste battaglie concorrono all’esaltazione che è in grado di infondere DOOM: The Dark Ages, di tanto in tanto si sente la mancanza dell’estremo dinamismo di Eternal. Le piattaforme su cui saltare sono poche, mancano quasi del tutto i respingenti, anche i semplici dislivelli del terreno scarseggiano. Il tutto si risolve restando sullo stesso piano, totalmente immersi nella già citata veloce alternanza di piombo, botte da orbi e parry. Divertente, soddisfacente, ma si sente che manca un pizzico di ulteriore frenesia e mobilità che invece Eternal incarnava alla perfezione.
Inoltre, purtroppo, anche le nuove fasi in sella al drago o ai comandi dell’Atlan non convincono pienamente. Le prime alternano inseguimenti a piccoli momenti di free-roaming dove il tutto però si limita al trovare un nemico da affrontare con il target attivo tra smitragliate e, anche qui, le immancabili parry da attivare al momento giusto. Né il level design, né la varietà di nemici che affronterete aiutano a far decollare queste parti, che non sono certamente disastrose, ma neanche esaltanti.

Peggio ai comandi dell’Atlan. Sebbene la sensazione di onnipotenza provata abbia il suo valore, ogni scazzottata contro i demoni titani si risolve sostanzialmente allo stesso modo, senza particolari variazioni nemmeno sulla combinazione di tasti da usare. Divertente per i primi cinque minuti, poi non si vede l’ora di passare ad altro.
Vale infine la pena spendere due parole anche sul comparto artistico e tecnico del gioco. Sebbene gli sviluppatori avessero promesso il contrario, anche il nuovo villain che il DOOM Slayer dovrà affrontare non va oltre all’essere una macchietta, una pedina chiamata a recitare la sua parte con poca convinzione ed equipaggiato di poco carisma. Ciononostante, vista l’ampiezza dello scontro e i tanti misteri che verranno svelati nel corso dell’avventura, inerenti soprattutto alle origini del protagonista, gli amanti della lore della serie non skipperanno le cut-scene e si impegneranno nella raccolta dei documenti nascosti nelle ambientazioni.

Se la colonna sonora tiene fede alle sonorità, per lo più metal e rock, dei passati capitoli, con simili e ottimi risultati, visivamente il gioco si difende alla grande. Certo si inizia a ravvisare un po’ di ripetitività quando si finisce all’Inferno, ma i biomi che esplorerete nei ventidue livelli proposti, per un totale di una ventina di ore di intrattenimento totale, sono abbastanza vari da affascinare e ammaliare la totalità del pubblico. Da fitte foreste, a città diroccate, passando per scenari ora più fantascientifici, ora più spiccatamente fantasy, i panorami su cui vi soffermerete sono tantissimi.
Tecnicamente il gioco sceglie di filare liscio, senza alcun rallentamento del frame rate, anche a costo di qualche effetto non troppo convincente e di alcune texture non proprio estremamente definite. Anche i modelli poligonali dei personaggi che non siano il DOOM Slayer convincono fino a un certo punto, ma in generale non si può che applaudire al lavoro di id Software, che resta in ogni caso ben al di sopra della media, soprattutto considerando l’altissimo numero di effetti speciali che ogni scontro sprigiona.
Conclusioni
DOOM: The Dark Ages si dimostra un degno appartenente di una trilogia di FPS ottima sotto ogni punto di vista. Anche quest’avventura del DOOM Slayer è coinvolgente, adrenalinica, soddisfacente quanto più si entra in simbiosi con il combat system, mai come in questo caso sfaccettato e profondo.
Anche in termini di longevità non ci si può assolutamente lamentare, visti i 22 livelli proposti e le venti ore circa necessarie per completarli tutti, senza contare il tempo che ci metterete per scovare ogni collazionabile possibile. L’altissimo numero di opzioni con cui personalizzare la difficoltà, inoltre, permetterà a chiunque di amalgamare l’esperienza ricercata.
Peccato per l’appiattimento del level design, che sul lungo periodo toglie varietà all’esplorazione e ai combattimenti, e per le fasi a cavallo del drago e a bordo dell’Atlas che proprio non incantano.
Se è il vostro primo DOOM vi divertirete alla grande. Se avete seguito le gesta del DOOM Slayer fino a qui troverete divertentissima ed estremamente appassionante anche questa avventura, sebbene vi mancherà quel pizzico di varietà in più offerto da Eternal.

Good
+Combat system profondo+Ampia personalizzazione del livello di difficoltà+Frame rate graniticoBad
-Lieve appiattimento del level design-Le sezioni sul drago e ai comandi dell’Atlas non divertono particolarmente
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