Dolmen – Anteprima GDC 2018

Galassia oscura

Dolmen – Anteprima GDC 2018
Dolmen
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San Francisco – Dolmen non è né il primo, né sarà l’ultimo “soulslike” di cui vi parleremo nel nostro coverage della GDC 2018: un po’ perché chi vi scrive, da grande fan del “genere” e delle produzioni From Software, sente come una calamita, una pulsione innaturale quando vede che l’asticella della difficoltà sale vertiginosamente, un po’ perché sembra sia diventata una conditio sine qua non (irrinunciabile, nde) il fatto di accogliere a braccia aperte qualsiasi forma di influenza dai giochi di Miyazaki e co: “Non si muore ogni 5 minuti? E che lo gioco a fare!”.

Devono immaginarci così publisher e team di sviluppo, o chissà, forse sono solo sadici e gli piace vederci maledire qualsiasi entità, esistente o meno. Viene quasi il dubbio che qualche azione in una azienda che produce controller, da ricomprare all’ennesimo game over perché è la prima cosa su cui ci si può sfogare, ce l’abbiano anche loro.

Elucubrazioni surreali a parte, anche i brasiliani di Massive Work Studio (al primo progetto come team, i cui membri però hanno accumulato non poca esperienza) provano a dirci la loro con Dolmen, che pesca a piene mani da più parti (quanto è Isaac Clarke – Dead Space – la tuta del protagonista?), seppur con tanta ambizione in meno.

Dolmen

Non sarà infatti il classico epico action/RPG da centinaia di ore: si parla di un numero molto, molto più basso (sulle 5, ma con i retry è probabile che si arrivi al doppio anche se c’è l’intenzione di aggiungere nuovi boss e aree). Ma a colpire da subito di Dolmen è la sua atmosfera morbosa e aliena: è ambientato su un pianeta ostile, Revion Prime, teatro di una delle guerre più atroci mai combattute nell’universo. A testimonianza di ciò, miliardi di cadaveri continuano tuttora a fluttuare nella sua orbita, mentre altri ancora sono diventati un tutt’uno con il pianeta, al punto da garantirgli un aspetto che pare provenire dagli incubi del Giger più disturbante. Insomma, proprio il posto peggiore in cui finire: l’astronave terrestre su cui si trovava il protagonista è stata distrutta, ed è l’unico membro dell’equipaggio ancora in vita. Uno sfondo narrativo sicuramente affascinante (ma quanto riuscirà il team a svilupparlo a dovere?), reso ancor più precario dalla già citata impostazione soulslike, e da continue microscelte a cui il giocatore è sottoposto nel suo faticoso peregrinare.

La gestione dell’energia, ancor prima della classica e importantissima stamina, che già di per sé va gestita attentamente per non rischiare di restare senza fiato dopo aver eseguito troppi attacchi, è dannatamente cruciale: le pistole, utilizzabili di pari passo alle armi bianche, la consumano, ma lo stesso vale anche per ricaricare la salute più velocemente, un gesto che ci salverà dopo uno dei tanti agguati che i nemici ci tenderanno, o dopo una caduta per una trappola (ma ci saranno anche le classiche pozioni, sia per la salute che per l’energia). Anche le armi bianche la sfruttano, su comando del giocatore: è infatti possibile attivare un buff che aiuta e non poco contro i nemici, infliggendo danno maggiore o ripristinando la salute, ad esempio: è un potere legato al tipo di reattore equipaggiato. Potrete comunque cambiarlo in qualsiasi momento recandovi alla nave (o meglio, da come ci è stato spiegato, aggiungendo ancor più fumo ad una narrazione che per sua natura vuole essere criptica, si tratta di una copia di un’altra dimensione della nostra vecchia nave), vero e proprio hub dove salire di livello, dedicarsi al crafting con le risorse ottenute: ad ogni terminale, vero e proprio checkpoint presso cui ricaricarsi (attivando però il respawn dei nemici), ci si può infatti teletrasportare in qualsiasi momento, ed è lì che ripartiremo dopo ogni morte.

Insomma, si tratta di una sorta di mix tra Dark Souls e The Surge, con qualche chicca qua e là (come la meccanica della parata, che se viene eseguita al momento giusto, in base al tipo di attacco nemico, restituisce parte di preziosa energia), ma anche con qualche legnosità di troppo: la precisione dei comandi e la qualità delle animazioni, fondamentali in giochi in cui la precisione è fondamentale, al momento non è minimamente paragonabile con i due titoli citati, e la differenza, pad alla mano, si sente. Anche il design dei livelli, per quanto intrigante dal punto di vista estetico, ci ha lasciato un po’ freddi dal punto di vista della struttura, confusionaria e inutilmente labirintica, che ci ha portato a vagare senza meta instillando solo frustrazione e nulla più.

La premessa narrativa molto interessante e il design di Dolmen ci lasciano ben sperare, ma la breve durata rischia di far bruciare troppo in fretta la sua fiamma. Per quanto piccolo, il progetto di Massive Work Studio potrebbe rappresentare un intrigante action/RPG “in miniatura”, meno impegnativo dal punto di vista delle ore necessarie a completarlo, ma da quello puramente ludico, grazie ad un combat system dai connotati già noti. Una certa legnosità nelle animazioni e un bilanciamento ancora non perfetto rischiano però di compromettere la qualità di questo elemento così importante per i tanti appassionati del genere: riuscirà il giovane team a spuntarla?

Dolmen GDC 2018 GameSoul


Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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