Divinity: Original Sin – Recensione

Divinity: Original Sin – Recensione

L’eccezione che conferma la regola deve sempre esserci. E tra giovani sviluppatori troppo ambiziosi e furbacchioni che scappano con il malloppo, c’è anche chi con Kickstarter riesce a tirar fuori il progetto della vita, il Magnum Opus che nessuno con il fiato sul collo, con scadenze o che ti impone irraggiungibili deadline ti permette ti creare.

I ragazzi di Larian hanno dedicato la loro intera esistenza alla serie Divinity, tra qualche alto, molti bassi, e dei budget decisamente, ora lo possiamo dire, non all’altezza, ma comunque con un folto gruppo di appassionati sempre pronti a ricompensare il team belga. Grazie alla piattaforma di crowdfunding sono però arrivati un milione di motivi (o di dollari, se preferite) per non deludere proprio nessuno, e per lavorare, finalmente, sul gioco dei loro sogni, la cui profonda libertà di sviluppo, neanche a farlo apposta, sembra essersi riversata quasi totalmente su ogni singolo aspetto ed elemento di questo Divinity: Original Sin, vera sorpresa di questo 2014.

Il segnale che il team manda all’utenza e all’industry è un sonoro “andate a cagare” rivolto ai canoni, o meglio dire, ai cliché tipici del genere di appartenenza, un dito medio rivolto alle solite meccaniche trite e ritrite, a quella presunta libertà con la quale molti sviluppatori credono di poter nascondere gli insopportabili binari sui quali spingono i giocatori, e anche alle stesse regole narrative, dipingendo un mondo conosciuto ai fan della saga, quello di Rivellon, infarcendolo di orchi, elfi e non-morti, ma anche di profonde riflessioni filosofiche, di questioni morali, religiose e persino razziali, così come di problemi ordinari, che i due eroi saranno tenuti ad affrontare nella lunga e tortuosa strada che li porterà agli ending credits (cosa che accadrà non prima di 50 o 60 ore). Tutto ha inizio con un misterioso caso da risolvere: l’omicidio di un politico. I due source hunter che impersonerete, totalmente personalizzabili in sesso, aspetto e classe, sono stati spediti in quel di Cyseal per recuperare più informazioni possibili sull’accaduto e srotolare il bandolo della matassa. Ben presto però le cose si complicano, tra invasioni di non-morti e assurdi viaggi spazio-temporali verso dimensioni alternative, tra intrighi,tradimenti, e tutto il canovaccio tipico del genere, reso interessante però dalla peculiare narrazione attuata del team.

I dialoghi saranno infatti fitti e ricchi di umorismo (anche nero), spesso prolissi, ma carichi di battute, di informazioni, di scelte da compiere e di comportamenti da tenere, un approccio che si discosta dal solito “Scegli X – Ottieni Y”, ma che pone il giocatore in una sorta di processo formativo e morale dello stesso party, che, come presto vedrete, si ritroverà spesso a battibeccare e a stravolgere l’esito di una conversazione o persino di una missione. Per quanto le opzioni di dialogo siano influenzate dai classici valori come il carisma, l’intelletto o la forza bruta per minacciare, non mancheranno occasioni in cui uno dei due membri base del gruppo di avventurieri denuncerà la propria insoddisfazione per l’approccio scelto, portando ad un mini-game che sarà una costante per l’intera avventura (cosa che porta non poche frustrazioni), la morra cinese. Una tomba fresca di sepoltura potrà suscitare la compassione di uno e l’indifferenza totale dell’altro, il quale farà di tutto pur di dissacrare quel luogo, sulla carta, intoccabile, oppure farla passare liscia a dei legionari scansafatiche, concedendogli gli onori e i premi del capitano delle guardie, risulterà in una disputa sul vuotare il sacco e prendersi il giusto merito. Anche la più insulsa delle missioni rischia di portare ad un simile risultato: “rischia”, perché, come gran parte dei meccanismi che fanno girare il mondo di Divinity, tutto sembra essere affidato al caso.

La vera rivoluzione riguarda però il gameplay, lento, ragionato e dannatamente profondo. Partendo dal presupposto che le numerose skill a disposizione potranno essere usate in qualsiasi momento, anche al cospetto di un NPC in città, si potrà interagire con qualsiasi elemento su schermo e persino attaccarlo (tenendo premuto il tasto CTRL), sia esso un barile, una sedia, o un baule del quale non si ha la chiave. “L’occasione fa l’uomo ladro”, e in Divinity, per davvero, avrete una incredibile libertà di approccio per qualsiasi cosa. C’è una mina sul tragitto? Si potrà spostare tramite telecinesi un candelabro su di essa per farla esplodere. Un manto erboso è totalmente coperto dalle fiamme, rendendo più difficoltosa una battaglia? L’incantesimo della pioggia o un barile di acqua spegnerà l’incendio. Un mercante vuole scucirvi fino all’ultimo centesimo, o un orco vi sbarra la strada? C’è un incantesimo anche per quello, perché non sempre dovrete sguainare la spada. Persino i nemici, a patto di avere la skill giusta, potranno essere evitati sgattaiolando dietro le loro spalle, o perché non avvelenarli prima del match?

Gli scontri sono a turno, basati su Punti Azione da spendere saggiamente (un doppio o un triplo attacco, uno spostamento in un punto tattico, una pozione e subito dopo una magia) senza limitazioni di sorta, fattore che li rende più frizzanti: un nemico che solitamente attacca due volte, potrà accumulare (così come potremo farlo noi) PA inutilizzati e sfruttarli per un terzo attacco, mandando all’aria i nostri piani di risparmio sulle costosissime pozioni, ad esempio. Importante anche la componente ambientale, da sfruttare a proprio vantaggio: sparare una freccia infuocata su un barile di petrolio o su una nuvola velenosa farà esplodere qualsiasi cosa nei paraggi, mentre un nemico infuocato o pronto a scoppiare da un momento all’altro, se verrà bagnato (una delle alterazioni di stato sarà proprio “Wet”), non sarà più così minaccioso. Scontri che anche a difficoltà Normale sembreranno davvero insormontabili, elemento che spesso vi porterà a dedicarvi al rastrellare punti esperienza tramite missioni (invece del solito contrario), e di avventurarvi verso l’ignoto solo dopo aver raggiunto un certo livello.

Anche le quest saranno estremamente originali, e soprattutto, difficili: niente indicatori, niente frecce che di conducano per mano all’obiettivo. Le uniche comodità che Larian ha pensato di offrire ai giocatori sono dei portali sparsi qua e là, e delle bandierine posizionabili sulla mappa, magari per ricordarsi una grotta troppo ben protetta o un forziere particolarmente ostico da aprire; per il resto, è tutto nelle mani, nell’intuito, nello spirito di osservazione di chi è dietro lo schermo. E per quanto spiazzante possa essere nei primi frangenti, sopratutto per via di un tutorial non proprio esaustivo, questa sorta di “selezione naturale” attuata dal team belga si rivelerà essere proprio l’elemento più appagante dell’intera avventura.

Le pozioni andranno create sperimentando e sprecando ingredienti (ma c’è sempre il Quick Save/Load, tranquilli, vera manna dal cielo in questo gioco), per l’identificazione degli oggetti bisognerà cercare una lente e avere la skill adatta, così come per apprendere un particolare incantesimo, bisognerà spendere qualche punto nell’apposita scuola magica (legata agli elementi), e soprattutto, il semplice “Andare da Tizio/ Cerca X oggetto” non sarà più l’azione banale e ripetitiva tipica del genere. L’assenza di qualsiasi indicazione o punto o nome sulla mappa vi costringerà a setacciare ogni casa, piazza o grotta per portare a termine la richiesta, basandovi su libri, sulle informazioni offerte dall’NPC che vi ha affidato la quest, o magari dando un’occhiata al log dei dialoghi, dove potrebbe apparire il nome dell’individuo da cercare e capire che forse si trova lì nei paraggi. Missioni che in più di un’occasione saranno sopra le righe: che sia un gatto che vuol far colpo sulla micia del sindaco, o che si tratti di un “aizzatore di folle” da assoldare per ridare lustro ad un artista di strada sull’orlo della bancarotta, difficilmente vi annoierete, complice anche la presenza di numerosi puzzle ambientali da risolvere dividendo il party (che potrà essere composto da quattro personaggi in totale), resi ancor più interessanti nell’ottima coop online drop-in/drop-out, che tra fuoco amico e loot che segue la regola “chi prima arriva meglio alloggia” sarà davvero incandescente, sia con amici che con sconosciuti.

Originale anche il comparto grafico, estremamente curato, nonostante l’approccio generale volutamente vecchia scuola, colorato e pieno di preziosi dettagli, tra erba, alberi, specchi d’acqua e scogliere, saturi di colore e magia. Il parco nemici è vario e pieno di ottime caratterizzazioni, con piacevoli varianti sul tema di teschi, spiritelli, boss titanici e curiosi ibridi, così come i numerosi NPC, ognuno dotato di una sua personalità ed aspetto. Il mondo di gioco, che pullula di grotte e anfratti ma non di città, regala bei paesaggi, tra piogge improvvise, sequenze in notturna, spiagge assolate e ghiacciaie a cielo aperto, senza disdegnare momenti bucolici ma per nulla tranquilli, visti gli agguati di avversari che, anche al più basso livello di difficoltà, daranno filo da torcere, complice un’intelligenza artificiale spietata che li porta a loro volta a sfruttare l’ambiente, magari provocando esplosioni, appiccando incendi o curando i propri alleati. Di contro, nonostante i tempi di sviluppo dilatati e i continui rinvii, non mancano bug e crash improvvisi, soprattutto legati ai salvataggi (un vero problema nel caso in cui il vostro PC non fosse sufficientemente potente), così come lenti caricamenti all’avvio e in fase di reload, nulla però in grado di minare seriamente l’esperienza, accompagnata da musiche atmosferiche e d’impatto.

In conclusione…

Divinity: Original Sin è IL tributo alla vecchia scuola RPG che aspettavamo da anni, condito però da una precisa visione artistica libera da deadline e da imposizioni “dai piani alti” e da un tocco moderno che gli permette di svettare su un panorama sempre più mediocre. La peculiare trama, l’originalità delle quest, il divino combat system e la patina di estrema difficoltà che avvolge ogni singolo pixel, lo rendono una delle esperienze ruolistiche più interessanti ed appaganti degli ultimi anni. È difficile però consigliarlo a tutti gli amanti del genere: preparatevi ad una marea di fitti dialoghi in un inglese aulico e di non facile comprensione (non è prevista una localizzazione nella nostra lingua), ad un’esperienza ostica e intransigente, ad un memorandum della tremenda difficoltà dei capostipiti del genere, privo com’è di aiuti o indicazioni.

La possibilità di giocarlo con un amico, l’editor di missioni e il supporto di un’attivissima community sono, infine, la ciliegina sulla torta.

Sarete affidati a voi stessi e alle vostre capacità, e non c’è Easy Mode che tenga: Divinity: Original Sin potrebbe essere l’RPG dell’anno, così come il vostro peggior incubo.

Voto: 9/10

 

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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