Days Gone - PS4
25 Apr 2019

Days Gone – Recensione

La speranza è sempre l’ultima a morire. Lo sa benissimo Deacon St. John, il protagonista di Days Gone, titolo di punta della primavera 2019 di PS4 (specifico l’anno perché, dovessi riferirmi al ciclo vitale della console dovrei dire “autunno”, ma questa è un’altra storia, ndr).

La speranza di tirare avanti per un altro giorno, di vedere il sole ancora una volta, di poter lottare fianco a fianco dell’inossidabile e fidato Boozer, l’ultimo compagno di gang rimastogli tra i Mongrels di Farewell, Oregon. Ma anche la speranza di avere tra le mani un titolo open world finalmente in grado di non perdere il suo cuore in mezzo a mini- e macro- quest che a poco servono, se non a sprecare il nostro tempo e a farci perdere il filo di un discorso che forse, alla fine della fiera, non ha nemmeno troppo senso seguire. Ma ce l’ha fatta, almeno lui?

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Le premesse sono tra le più classiche a disposizione: ci troviamo ad impersonare un biker nerboruto e scavezzacollo, due anni dopo una pandemia che ha decimato la popolazione globale, trasformando l’umanità in involucri putrescenti svuotati di anima e riempiti di fame di carcasse e livore, i Furiosi (di cui esistono, prevedibilmente, varianti via via più potenti e subdole, anche in formato “animale”, come orsi infetti e lupi mannari).

Ma è cosa ci racconta SIE Bend Studio e il modo in cui lo fa a rendere il viaggio di Days Gone incantevole e meritevole di una chance (al netto di qualche problema evidente di cui leggerete più in là): lo fa attraverso tante – forse troppe – cutscene (sapevamo da subito che delle oltre 30 ore di gioco, almeno 6 le avremmo passate con i polpastrelli immobili), ma anche flashback da vivere e giocare, senza bisogno di lunghe note e appunti secondari (al massimo si concede qualche registrazione audio) che, diciamocelo, pochi, se non nessuno, legge per davvero.

È cosa ci racconta SIE Bend Studio e il modo in cui lo fa a rendere il viaggio di Days Gone incantevole e meritevole di una chance

Lo fa grazie ad un susseguirsi di eventi densi e compatti, con una narrazione ben amalgamata che rinuncia alla libertà, sia in termini di scelte multiple che puramente ludici (con sezioni “controllate” e limiti – a volte assurdi – entro cui muoversi nel corso di una missione), per il più nobile fine, quello narrativo per l’appunto, e suddivisa in “Storie”, ognuna contrassegnata da un indicatore di percentuale e sempre pronte ad intersecarsi, al termine delle quali otterrete un punto abilità con cui migliorare l’abilità di Deacon con le armi o le sue skill di sopravvivenza.

“Storie” per nulla annacquate da sub-, side-, semi-quest inutilmente riempitive, e anzi, arricchite da brevi frammenti di puro dialogo e avanzamento della trama, a cui viene donata vera e propria dignità grazie a questo sistema. Belle idee ben applicate che permettono di godere al meglio dell’egregio comparto narrativo, minate solo da qualche rimbalzo qua e là nel mondo di gioco (che odio quando arriva una chiamata improvvisa 30 secondi dopo essere usciti da un Campo – o aver attivato il fast travel – che ci chiede di tornare esattamente nel punto in cui si era 30 secondi prima) che allunga il brodo e tedia un po’, ma quantomeno non distrae dalla splendida storia principale, ricca di vendetta, disperazione, ma anche speranza e tanti colpi di scena ben orchestrati, oltre a pugnalate al costato di pura emozione che, tra brani azzeccati e segmenti d’impatto, vi strapperà urla di gioia, sorpresa, e persino qualche lacrima.

Lo fa anche attraverso tanti dialoghi (tutti doppiati in italiano), che anche in un distratto scambio di battute di “presentazione” con il mercante o l’NPC di un campo appena scoperto, riescono ad offrirci una briciola di passato, di ciò che è successo, di come era la vita prima che il mondo, e l’angolo di Oregon in cui ci muoviamo, si trasformasse in un Incubo (con la maiuscola, come lo chiamano i superstiti).

Qualcuno sta provando a ricostruirlo, con quel che trova: sono i Campi, veri e propri baluardi, pochi ma densissimi di umani che combattono e sopravvivono, pronti ad offrirci attività secondarie (cacciare i ricercati e ripulire gli accampamenti di predoni, principalmente) attraverso la voce dei loro carismatici capi; attività che, in realtà, tanto secondarie non sono, perché servono a guadagnare rispetto e valuta, entrambi necessari per acquistare nuove armi, munizioni, e potenziamenti e benzina per la nostra fida moto, tutto cruciale per affrontare ciò che c’è al di là delle barriere improvvisate con carcasse di auto e lamiere.

Non fatevi trarre in inganno dai boschi rigogliosi del “Beaver State”: il verde intenso delle foreste, il candore della neve delle regioni montuose e l’acqua limpida di fiumi e cascate, impreziositi dall’imponente motore grafico e dal raffinato sistema di illuminazione, nascondono caverne, miniere e alcove in cui migliaia di Furiosi, suddivisi in orde che agiscono come un’unica entità, ricaricano le batterie di giorno, per poi sgorgare come lava travolgente di notte, alla ricerca di acqua, animali, umani, tutto ciò che riesca a placare la loro fame.

Le orde rappresentano uno spettacolo abbacinante, da gelare il sangue, nemmeno troppo raro

È uno spettacolo abbacinante, da gelare il sangue, nemmeno troppo raro: ce ne sono circa 40, sparse per tutto il mondo di gioco, e gli basterà un altoparlante lasciato acceso durante una visita alle unità mediche della N.E.R.O. (la classica, losca organizzazione malvagia morbosamente interessata ai Furiosi) – in cui troverete potenziamenti per salute, vigore e concentrazione di Deacon – o il colpo di un’arma non silenziata per partire a testa bassa verso la fonte.

Sperate solo non siate voi, anche perché affrontarle a muso duro e senza un minimo di preparazione (ma è un discorso che vale per buona parte delle missioni) sarebbe pura follia. Ma nulla vi nega di sfruttarle a vostro vantaggio, ad esempio attirandole verso un accampamento nemico e lasciare a loro tutto il lavoro sporco, o di saltare in sella alla vostra moto e fuggire, per provare a pianificare meglio l’assalto o per sopravvivere un giorno in più.

L’arsenale è ricco e vario il giusto: oltre a 4 tra fucili d’assalto, a pompa, mitragliatori e da cecchino, a pistole e ad armi melee grezze o persino raffazzonate (ma sempre molto efficaci, come assi di legno, varie tipologie di machete o asce artigianali composte da mazze da baseball e seghe circolari) da portare sempre con voi, avrete anche trappole da posizionare strategicamente, siano esse cariche da far esplodere a comando o tagliole per orsi, e molotov (efficaci contro i nemici più coriacei, ma anche e soprattutto con folti gruppi di Furiosi), fumogeni.

A completare il cerchio, anzi, la ruota (comodamente accessibile in qualsiasi momento: l’azione andrà in slow-mo e vi permetterà di craftare qualsiasi cosa – di cui avete ottenuto il progetto -) ci pensano bende curative, medikit, un fido pugnale (l’unico realmente indistruttibile, ma non aspettatevi troppi danni), e “distrazioni”, come sassi ed attrattori sonori, utili per stealth kill o per piazzare una bella granata nel modo più efficace. Non mancheranno i momenti di azione pura, ma giocato con un approccio più stealth e ragionato, complice la struttura “aperta” del mondo di gioco, Days Gone ha tutto un altro sapore, ancor più intenso e piacevole, complice anche l’essenza survival, bilanciata in modo da non rovinare mai del tutto l’esperienza (di risorse per il crafting e oggetti già pronti se ne trovano a sufficienza in giro, ma per vivere decentemente l’avventura dovrete iniziare ad usarli con parsimonia), ma tarata – almeno a livello Normale – al punto giusto per spingere il giocatore ad adattarsi ad ogni avversità, e persino accantonata temporaneamente quando c’è la storia a farla da padrone.

Giocato con un approccio più stealth e ragionato Days Gone ha tutto un altro sapore, ancor più intenso e piacevole

A spezzare l’incantesimo, e lo dico con non poca amarezza, è l’apparato puramente tecnico, che va a smorzare l’entusiasmo legato alla narrazione e all’affascinante e pulsante mondo creato da Bend, e no, non sono le sbavature grafiche o qualche calo di frame-rate nemmeno troppo evidente o fastidioso, comunque giustificati dalla vastità del mondo di gioco e soprattutto dalla mole di oggetti con cui è possibile interagire e i centinaia di Furiosi su schermo – che pagano lo scotto, semmai, da un evidente pop-in della vegetazione.

Anche perché visivamente è impressionante, tra le foreste a perdita d’occhio, il meteo dinamico (che insieme al ciclo giorno/notte influenza il gameplay), specchi d’acqua in cui riflettersi, ma non è tutto oro quello che luccica. In primis c’è l’I.A., schizofrenica quanto i Furiosi stessi: se da una parte riesce a generare “siparietti” incredibili, con assalti agli accampamenti bruscamente interrotti da un’invasione del tutto improvvisata o a rendere credibile il comportamento dei Furiosi, sensibili ai rumori (al punto da permettere di sfruttare piogge e temporali per coprire i passi), dall’altra è sin troppo facilmente aggirabile, con decine di nemici (umani in particolare) annientabili con una stealth kill semplicemente lanciando un sasso verso lo stesso identico cespuglio, rendendo superflui sofisticate strategie ed elaborati piani, con intere compagini nemiche che non noteranno la presenza di cadaveri tra le loro fila, nemmeno trovandoseli davanti, o di una freccia che ha appena trafitto la tempia del compagno a qualche metro di distanza.

Days Gone - GameSoul

Idem i nostri alleati nei campi, che il più delle volte non noteranno i gruppi di predoni subito fuori dalle barriere difensive, restando inermi davanti alla nostra lotta. Una certa legnosità nelle azioni e nei comandi, tanto nella guida della moto quanto nelle sequenze di puro shooting e nei combattimenti all’arma bianca (lenita, c’è da dire, dall’abitudine e dalle abilità che migliorano la mira, e l’alternanza senza soluzione di continuità tra i 2 diventa sempre più fluida e appagante), unita ad evidenti problemi con le collisioni, porta invece ad un sacco di sbavature nell’azione pura (e di rado anche nelle cutscene), tra ruote della moto che girano anche da fermi, colpi che non vanno a segno, lotte a ridosso di muri ed elementi dell’ambientazione “problematiche”, stealth kill inattivabili, bruschi movimenti dei personaggi un attimo prima dell’avvio di una cutscene, “goffi” dialoghi che partono al momento meno opportuno e così via.

Nulla di realmente “game-breaking”, ma è un’assenza di “polish” che, in un tripla A, per giunta in esclusiva, si sente e non poco, andando anche a smorzare la potenza evocativa di certe sequenze, tanto quelle ludiche quanto quelle puramente narrative. La vera frustrazione l’ho percepita con la gestione di alcuni checkpoint delle missioni degli accampamenti e le orde: morire ad uno o due nemici mancanti dal termine della missione è già di per sé odioso, ma ripartire dal medesimo punto con tutti i nemici di nuovo attivi e senza le munizioni e gli elementi del mondo circostante (barili esplosivi in primis e taniche di benzina) utilizzati fino a quel momento, lo è ancora di più. La corposa patch D1 (circa 21 GB) sembra aver risolto alcuni dei problemi riscontrati finora (oltre a sporadici bug legati all’audio), ma la “rigidità” generale è ancora lì, e con essa le tante imprecisioni segnalate.

Conclusioni

Days Gone è intenso e brutale, racconta una splendida storia con una compattezza e una coerenza rare nel panorama open-world, e sa trasmettere un’ampia gamma di emozioni, tra la disperazione che traspare da ogni minimo gesto, la costante sensazione di essere braccati, la rassegnazione di doversi adattare ad un mondo ingiusto e malevolo, vivo e pulsante, in cui bisogna razionare proiettili e cure, ma anche la speranza dovuta a inaspettati e rari momenti di gioia.

A tarpargli le ali e a non permettergli di spiccare il volo sono principalmente problemi legati a dettagli puramente tecnici, non c’è dubbio, e per giunta nemmeno così gravi o drastici, che però nel loro insieme spezzano in parte l’incantesimo. Non è un capolavoro, purtroppo, ma non è nemmeno il cugino sfigato di The Last of Us come molti credevano, e con uno sforzo in più da parte di Bend, costretta a rinviarlo ma a pubblicarlo comunque entro la primavera per non lasciare la PS4 sprovvista di esclusive di peso (insomma, non me la prendo totalmente con lo studio), sarebbe potuto essere un titolo davvero imprescindibile.

È un ottimo gioco, minato però da problematiche che è giusto considerare tanto in fase di recensione quanto in quella d’acquisto. Ed è anche la dimostrazione che di giochi single player fatti bene ne abbiamo ancora tremendamente bisogno.

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