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Dark Souls III – Anteprima gamescom 2015

Colonia – Voci insistenti  giravano sin da prima dell’E3, bollate però da molti come follia pura, visto il tempismo alieno ai ritmi tipici di From Software: dopo tre uscite in due anni (Dark Souls 2, la remaster dello stesso e Bloodborne), l’annuncio di un nuovo capitolo ufficiale sembrava davvero impossibile. Ma il trailer mostrato dal palco della conferenza E3 di Microsoft prima, e la presentazione a porte chiuse dopo, erano le prove tangibili della magica apparizione di un nuovo tassello all’interno del complesso mosaico che è la “serie”, spiritualmente parlando, Souls.

Un annuncio accompagnato da non pochi dubbi, vista la frequenza di uscite che poco si prestano al lavoro di rifinitura che ogni capitolo ha sempre richiesto, e che richiede inevitabilmente nel suo progressivo perfezionamento. Ma la decisione nelle parole di Miyazaki-san in quell’occasione riuscì, almeno in parte, a spazzare via le nubi del timore che una serializzazione così sfrontata  porta con sé. Uno dei designer più particolari, temuti e rispettati ha già delineato nella sua mente il sentiero che la sua creazione deve seguire: l’evoluzione costante delle intricatissime meccaniche, che con Bloodborne ha portato ad una velocità di gioco inimmaginabile qualche anno fa, persino un abbandono temporaneo della difesa tattica (imprescindibile nei Dark Souls, e che infatti tornerà prepotentemente nel tre), e ad un numero minore di armi, ma più uniche, sempre complesse da padroneggiare, e da customizzare in base al proprio playstyle. Il primo video gameplay visto ad L.A. di questo nuovo capitolo, sembrava conservare quella velocità e quella varietà delle armi garantita dalle nuovissime “battle arts” (precedentemente note come “weapon arts”), ma è giunta l’ora di impugnare la spada e gettarsi nella mischia.

Purtroppo di nuove info “ufficiali” non c’è alcuna traccia: solo un patto, una promessa, la stessa dell’E3, di espandere l’universo di Dark Souls, e di tornare al feeling del primo, amatissimo capitolo, in termini di atmosfera, design e insormontabile tasso di difficoltà, ristabilendo l’ordine anche in quel della lore dopo il discusso (soprattutto in quell’aspetto) secondo capitolo. In quel di Colonia è stato però possibile testare con mano un primo assaggio della visione di Miyazaki-san, dopo averlo visto giocato una seconda volta da uno dei due producer presenti (morto decisamente più volte del previsto, nonostante le mura di Lodeleth siano presumibilmente, ormai, il suo pane quotidiano, o quasi): un modo per spazzare via una delle due sensazioni più angoscianti, l’alleggerimento di quella tanto amata difficoltà a favore dell’accessibilità nominata più volte dallo stesso director/padre in occasione della fiera californiana.

Il primo contatto con le nuove battle arts, c’è poco da dirlo, è stato devastante. Ma non perché siano complesse da usare, in quanto vengono attivate con un semplice tasto (da premere o da tenere premuto, in base all’arma e lo scudo equipaggiati): il fatto è che, come ogni elemento che compone ogni Dark Souls, sono accompagnate da dei pro e dei contro, da quel fattore “risk/reward” che trasforma ogni opera di From Software in un incantesimo ammaliante, da “scelte” d’approccio che traghettano verso una trionfante vittoria o una sonora sconfitta, per chi ha il coraggio di osare. Il “War Cry” del nostro Northern Warrior, una delle due classi selezionabili (insieme al Wanderer Knight), stordisce i nemici per qualche secondo, e al contempo ne annulla la difesa, lasciandoli alla mercé della nostra possente ascia (alla quale è legata l’Art).

L’esecuzione dell’Art in questione lascia però a sua volta il giocatore alla mercé del nemico, portandolo ad una morte certa e/o allo spreco di Estus. Lo stesso vale per la Greatsword, che partendo dalla posizione di difesa, quasi “rituale”, sferra un colpo con l’elsa in grado di scaraventare in aria il mob di turno, ma la lentezza dell’attacco e l’estrema semplicità con la quale sarà possibile fallirlo, al pari degli amati/odiati parry e backstab (quest’ultimi sensibilmente semplificati, almeno nella demo da noi provata), la rendono un’arma a doppio taglio tanto letale quanto pericolosa.

Al di là di quella che rappresenta forse una delle principali novità, all’interno di un contesto che fa della familiarità (e della morbosa passione per la stessa dello zoccolo duro dell’utenza) la sua bandiera, e quindi relativamente bisognosa di chissà quale stravolgimento, è l’impatto devastante della velocità di gioco, impensabile per un titolo From Software prima dell’avvento di Bloodborne. Non tirarlo in mezzo è un’impresa mastodontica, ma fan della serie sprovvisti di una PS4, sappiate che le vostre strategie e le vostre abitudini crolleranno come un castello di carte in una galleria del vento. In realtà, non solo loro…

Inutile girarci attorno: prendete il ritmo frenetico dell’esclusiva PS4, rimuovete un pizzico di morboso attaccamento all’approccio offensivo, e reintroducete gli scudi a pieno regime nella complessa equazione, senza dimenticare di aggiungere un danno causato dai nemici sensibilmente maggiore, ai limiti del devastante, anzi, del “se ti tocco sei morto“. Quando poi, come in quel di Yharnam, e più attenti ricorderanno, i gruppi di avversari erano all’ordine del giorno, la cosa inizia a farsi davvero dura, “bastarda”, in pieno stile Dark Souls. Una vanificazione di qualsiasi esagerata propensione per la difesa, un requisito più che necessario di sangue freddo, di visione completa del campo di battaglia, di memorizzare, come da tradizione, pattern e comportamenti, ma rischiando di mandare in malora ogni calcolo per via dell’ennesima scintilla di follia dei nemici, o di qualche variabile.

I cultisti dell’ultimo trailer rilasciato saranno apparentemente innocui, ma basterà che un particolare nemico suoni la sua sinistra campana (cosa vi ricorda?) per ritrovarvene contro un famelico manipolo, mentre di possenti cavalieri ne troverete tanto in solitaria quanto in compagnia, e sarà fondamentale cercare di eliminarne uno per volta, cercando di non farsi cogliere di sorpresa.

La prova, incentrata sulla sequenza gameplay mostrata in occasione dell’E3, ha quindi permesso di poter provare con mano (e con numerose morti) che no, Dark Souls 3 non vuole essere più facile e banale. Le battle arts andranno infatti ad offrire ulteriori spunti strategici, in modo da personalizzare ulteriormente la build del proprio personaggio, così come il calcio, un comeback gradito e piacevole, mentre l’agognata scalata al falò successivo sarà costantemente costellata da insidie di ogni sorta. Abbiamo incontrato un drago che con il suo fiato infiammato ci ha impedito di proseguire, ma che allo stesso tempo abbiamo sfruttato per adescare un’orda di nemici da polverizzare in scioltezza, facendoli finire in una trappola improvvisata; in più di un’occasione, abbiamo potuto testare la rinnovata ed effettiva utilità delle torce, merito del sistema d’illuminazione già apprezzato in Dark Souls 2, ma non ancora pienamente convincente (a causa del suo retaggio antiquato), in torrioni stracolmi di barili esplosivi e mob nascosti in ogni anfratto, pronti ad arrivare da un po’ ovunque pur di spazzarci via.

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Non siamo riusciti ad incontrarli, per via del tempo tiranno (e dell’oggettiva difficoltà di cui abbiamo già ampiamente parlato), ma ci sono stati mostrati sia la già nota e sinuosa “Dancer of the Frigid Valley“, un boss che ci sarebbe piaciuto affrontare (per testare l’ancor più marcato cambio di move-set tra una fase e l’altra dello scontro, mostrato comunque nella dimostrazione hands-off), e il “Dark Knight“, una mostruosa creatura che ci è parsa una sorta di lupo di Bloodborne in tenuta da cavaliere, veloce, imprevedibile e devastante. Si narra (o almeno così ci è stato detto) che un solo individuo sia riuscito ad incontrarlo… ma no, non a sconfiggerlo.

Non ci è voluto molto a capire il perché: la struttura dei livelli annienta infatti il discusso (anche quello) level design di Dark Souls 2, da molti visto come lineare e, a confronto con il suo illustre predecessore, banale. Il complesso sistema di scorciatoie, di apparenti vicoli ciechi, di segreti, di cancelli impossibili da aprire, di leve da tirare e di chiavi da cercare in prigioni buie e ad un passo dall’inferno, situato al di sotto di mura di castelli immense, di porzioni di mondo di gioco non solo in vista, ma a portata di avventura, di tetti trasformati in percorsi in un arzigogolato labirinto demoniaco, è già venuto a galla durante la demo: un ritorno alle origini che promette di spazzar via ogni dubbio, ogni delusione, ogni terrore di perdere uno degli ultimi baluardi di qualità ed appagamento, bello da giocare, ma non ancora pienamente da vedere.

A far storcere il naso, per fortuna, sono solo però dei fisiologici problemi tecnici (tra collisioni e rallentamenti), e non l’ispirato design macabro ed apocalittico, tra draghi inceneriti che spargono frammenti della loro carcassa nel cielo e rendono l’aria irrespirabile, carne putrida esibita come un trofeo, e nemici dall’aspetto familiare (dai cavalieri allo stesso boss, passando per i rapidissimi cani che sembrano una versione “re-skinned” di quelli di Bloodborne, animazioni incluse), ma comunque diabolico e superbo come sempre.

Un nuovo, devastante tassello nella saga più brutale del gaming 

L’hands on era la prova del fuoco per Dark Souls 3: doveva spazzare via l’atroce dubbio che la fantomatica accessibilità di cui Miyazaki-san ha parlato in più occasioni possa rappresentare un ammorbidimento della sua malefica serie. Se da una parte non sembra ancora rappresentare un chissà quale step evolutivo nel tortuoso percorso iniziato da From Software con Demon’s Souls, si conferma quantomeno un nuovo, devastante tassello nella saga più brutale del gaming. Un ritorno alle origini mediato dalle esperienze accumulate dai team (Bloodborne in primis), un salto progressivo che, se è ancora presto definirlo in avanti, può potenzialmente portare verso direzioni inaspettate.

Felici di aver dubitato di From Software, che ha spazzato via quei timori con ferale rapidità.

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