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Dark Souls III – Anteprima E3 2015

Los Angeles – Miyazaki-san è un tipo particolare, e questo si sapeva già. Un tipo comune e normale che si occupa di videogames approfitterebbe delle meraviglie di L.A. per visitare Rodeo Drive o Venice Beach, o per ingozzarsi in qualche lercissimo fast food, non di certo per passare tutto il giorno a parlare con sconosciuti da mezzo mondo, col rischio di ricevere decine di richieste di foto ed autografi. Ma un tipo comune e normale non riuscirebbe a partorire una serie come quella dei “Souls”, una dinastia di titoli targati From Software che suscitano, al solo nominarli, timore reverenziale e un magnetismo tuttora dall’origine incerta.

È stata dura poter assistere ad una presentazione a porte chiuse della sua nuova creatura, presentata ufficialmente al mondo durante la conferenza di Microsoft (dopo il leak grande come una casa di qualche settimana fa) proprio perché Miyazaki-san è un tipo particolare, e voleva essere lui e solo lui a presentare alla stampa presente ad L.A. i primi frammenti di gameplay. Un assaggio, sia chiaro, un briciolo che non permette ancora di gustare pienamente delle novità che questo primo capitolo nativamente “next-gen” ha, si spera, da offrire, che punta tutto sulla forza bruta e tecnologica, ma anche sulle ambizioni, quelle che sino ad ora hanno alimentato la serie e il suo successo sempre più sorprendente, di uno dei pochissimi Creativi con la c maiuscola rimasti in circolazione.

Con una maggiore potenza di calcolo a disposizione, il team si è potuto sbizzarrire, puntando a ricreare un mondo fortemente caratterizzato da un’atmosfera apocalittica e dalle dimensioni esagerate non solo sulla carta, ma fin nel minimo dettaglio: un cielo pronto a cadere da un momento all’altro, giallo come una di quelle malattie inguaribili allo stadio terminale, una desolazione che è sempre più il marchio di fabbrica delle produzioni From Software, e un tripudio di effetti particellari che tra cenere e lapilli del falò e della torcia, mossi da un vento rigido e freddo come la morte (e dannatamente realistico), con alle spalle delle location 3D dense, ricche, e figlie della filosofia “If it’s in the game, it’s in the game“, quindi raggiungibili ed esplorabili, non meri soprammobili, motivo per cui troveremo meno varietà di ambientazioni rispetto ad un Dark Souls II, ma in rapporto delle stesse decisamente più vaste.

A proposito di confronti col passato, la demo gameplay giocata al nostro cospetto è stata un concentrato di forti emozioni, ma anche di déjà-vu, tra le Mura di Lodeleth che non stonerebbero né nel primo Dark Souls, né tanto meno in un Demon’s Souls, e persino auto-citazioni, con un drago titanico, chiamato Ancient Stone Dragon, che appare all’improvviso e si appollaia sulla cima di un castello, pronto ad arrostire i malcapitati di turno, non importa se controllati dal giocatore o dalla Intelligenza Artificiale. E se i falò sono sempre lì al loro posto in qualità di checkpoint e strumenti di fast travel (tornerà questa discussa feature), solo meglio realizzati tecnicamente, tra le novità più curiose spiccano delle piccole lapidi, disseminate per il mondo di gioco, le quali elargiranno preziose informazioni sulla sempre più criptica lore, altro marchio di fabbrica di From Software, che ruota attorno al risveglio dei Lord of Cinder (come quello apparso nel trailer d’annuncio), e di un eroe oscuro che ne contrasta la rinascita, ma c’è spazio anche per i tanti draghi caduti, in quanto le ceneri di cui è pregna l’atmosfera sembrano proprio provenire dai loro cadaveri inceneriti.

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La breve prova giocata al nostro cospetto, come detto, ha puntato tutto sulla forza bruta, in ogni senso, dapprima tramite il comparto tecnico, già fluido e possente in questa prima demo, e carico di finezze tecniche (tra bandiere e brandelli di abito che svolazzano), frutto dell’esperienza accumulata con Bloodborne, ma anche nel combat system, che ci è parso veloce e scattante (ma un pizzico lontano dalla frenesia dell’ultimo capolavoro targato From Software), e che però non intende minimamente abbandonare i capisaldi della serie, a partire dall’importanza dello scudo, tornato prepotentemente protagonista dopo l’esperimento lovecraftiano in esclusiva per PS4, al moveset delle armi mostrate in azione.

Tramite un sistema chiamato “weapon arts“, le armi offrono delle mosse speciali: c’è la spada lunga che rompe la difesa nemica tramite due attacchi speciali, la Greatsword che tributa (come tanto altro nella serie) Gatsu di Berserk con un possente colpo che scaraventa in aria il nemico e che para gli assalti avversari con un gesto quasi rituale, mentre le scimitarre permettono di affettare con stile più nemici (che, come sempre, escono dalle fo**ute pareti e “faranno di tutto per massacrarvi”) con un agile colpo roteante. C’è poi l’Arco Corto, stravolto per davvero per differenziarlo in maniera netta da quello lungo: la cosa farà forse storcere il naso ai puristi della serie, ma ora sparerà frecce con estrema velocità e potrà essere utilizzato tra un roll e una schivata, un po’ come (citando testuali parole) “Legolas del Signore degli Anelli“.

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Prima di non vedere di buon occhio queste primissime novità (è stata solo scalfita la superficie), vi basti sapere che il parco nemici ci è parso già variegato e incattivito a dovere, tra cultisti apparentemente innocui pronti a trasformarsi in creature inconcepibili da una mente umana (con tentacoli irregolari e disgustosamente pelosi), cagnacci scheletrici ed ogni sorta di entità immonda, ignominie che non seguiranno più il discusso respawn del II, in quanto tra i concetti principali che Miyazaki ha voluto trasmettere, il fulcro del gameplay deve divenire in maniera ancor più esasperata e stimolante l’osservare con cura il comportamento dei nemici ed apprendere dai propri errori, un escamotage che spingerà ulteriormente la serie, unitamente all’aumento di velocità del gameplay, verso un inasprimento delle meccaniche, ma al contempo una maggiore accessibilità, un’evoluzione costante alla quale assistiamo sin da Demon’s Souls, del resto.

I cavalieri sono stati imbastarditi e non poco, ora ancor più coriacei e difficili da abbattere, soprattutto perché non mancheranno di attaccare il giocatore in coppia (mentre non sono mancati i gruppi da 5 di mob più comuni, ma non per questo più semplici da eliminare). La miglior strategia? Quando non sarà possibile separarli, se ne potrà stordirne uno e, durante il suo tempo di ripresa, massacrare l’altro.

Ma quando a qualche metro di distanza c’è una Dancer of the Frigid Valley, c’è davvero poco da esultare. Non si poteva chiudere in bellezza una dimostrazione a porte chiuse ed in anteprima senza un boss, l’ostacolo insormontabile che conclude ogni ciclo di labirinti, ogni machiavellico level design degno di tale nome che anche in questo caso ci è parso ispirato (principalmente nella struttura, visto il debito verso Demon’s e il primo Dark, artisticamente parlando), e che ci ha mostrato tetti ed ascensori e scorciatoie da memorizzare tra una delle tante morti e l’altra, con una scelta di checkpoint che, almeno nella porzione di gioco mostrata, ricorda più Bloodborne che DS2 (dove spesso il boss si trovava nei paraggi del falò).

La Dancer, dicevamo: una mostruosità munita di gobba e di lama infuocata, addobbata da un velo da sposa di fumo che la segue sinuosamente, come lei con i suoi passi felpati e letali segue il giocatore per sferrargli l’ennesimo attacco letale. E quando, durante il second mode, le lame diventano due, è davvero dura resistere ai suoi vortici e ai suoi rapidi colpi.

Sia lodato il sole, un sole più decadente che mai.

Una morte indotta ed ordinata da un cenno di Miyazaki-san pone fine al bagno di sangue, un tripudio di crudeltà severa e chirurgica che pur familiare e immersa in un demoniaco senso di déjà-vu, si insinua con prepotenza sul sentiero intrapreso non tanto dai soli Souls, quanto da From Software stessa, ormai 5 anni fa. Il gameplay più veloce e la “observation”, la parola chiave di Dark Souls III, rappresentano, su ammissione del suo creatore, la nuova filosofia della serie, e a testimoniarlo ci pensano le weapon arts, la fluidità dei movimenti, ma anche il ritorno ad elementi momentaneamente accantonati con Bloodborne (l’uso strategico dello scudo su tutti), e a quel dark-fantasy medievaleggiante e  tremendamente desolante al quale i fan non riusciranno a resistere.

Della perdita di efficacia e buone intuizioni che un rilascio annuale (seppur suddiviso tra team differenti) rischia di portare con sé, così come di quel che ci aspetta in termini di multiplayer, level e stat system e quant’altro, ne parleremo in fase di anteprima più vicina all’uscita, o meglio ancora, di recensione, quando raggiungerà PS4, Xbox One (e PC) nei primi mesi del 2016 (la seconda metà di marzo, ormai classica, pare la finestra di lancio più probabile).

Della fiducia riposta in Miyazaki, del potere delle sue incomprensibili parole (in giapponese, ma tradotte in inglese, tranquilli), se ne può parlare anche ora: di errori ne ha commessi benpochi, e per quanto si sia solo sfiorata la punta dell’iceberg, il ritrovarsi tra le mani l’ennesimo sontuoso concentrato di crudeltà e profonda soddisfazione rimane l’ipotesi più accreditata.

Sia lodato il sole, un sole più decadente che mai.

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