Crossing Souls

Crossing Souls – Recensione

Se ripenso alla mia infanzia immersa nei prodigiosi anni 80, una delle prime cose a saltarmi in mente è la sigla di Kidd Video, un cartone animato che penso di aver adorato fino alla pubertà e che molti anni a seguire, per innumerevoli serate, ha tenuto banco nei discorsi della nostra compagnia di fronte all’ennesima birra. Diciamocelo chiaramente: se avete più di 35 anni e lo “Yeaah” più lungo della storia delle sigle dei cartoni cantato dal biondazzo che faceva impazzire le ragazzine o le parole “It’s getting me going. It’s keeping me moving on. Hooked on my system. I’m playing on and on” non vi dicono una beata mazza, probabilmente vi guarderei con l’occhio bieco per tutta la serata dicendovi che no, non vi meritate la fortuna che avete avuto a nascere in quel fulgido decennio. Se vi state chiedendo quale sia l’oscuro legame che connette Crossing Souls, l’attesa avventura dei ragazzi di Fourattic sotto l’egida di Devolver Digital, a quel meraviglioso “from my video to my radio” tranquilli, ci arrivo subito.

Annunciato un paio d’anni fa (2015) in quel di Los Angeles, Crossing Souls si configurava da subito come lo “Stand by me” dei videogiochi della corrente generazione: cinque amici, un’avventura mega che più mega non si può, un background di citazionismi e riferimenti alla cultura pop/geek da far impallidire chiunque e un profumo degli splendidi eighties che dai, ammettiamolo, tra suoni, luci e colori parlava tranquillamente da solo. Devolver Digital, che non è propriamente l’ultima arrivata nel mercato, in quel giochino sviluppato in una soffitta da quattro sciamannati entrati per sbaglio nello showbiz del videogioco ci aveva visto del potenziale: bastava “sgrezzarlo” quel giusto a trasformarlo in una lettera d’amore al decennio più iconico del passato secolo, laddove l’abbondante farcitura di filtri VHS e riferimenti a pellicole iconiche del calibro de I Goonies, Ritorno al Futuro o Ghostbusters avrebbe fatto tutto il resto. E un po’ come Stranger Things, insomma, l’amore e la magia fanno tutto il resto: ed eccoci dunque a parlare di questa enigmatica e misteriosa avventura a cavallo tra due dimensioni, nata per caso in un noioso pomeriggio scandito dalle pedalate di una BMX instancabile e destinata a passare alla storia. Un’avventura che, come le amicizie vere, è impossibile da dimenticare.

Crossing Souls

Pensate ai protagonisti di Stand By Me, ai ragazzini di Stranger Things o persino ai “Perdenti” della recente trasposizione cinematografica di IT. C’è qualcosa che, indissolubilmente, accomuna ciascuno di questi gruppetti: l’ineluttabile identificazione che, in un modo o nell’altro, ciascuno di essi riesce a trasmettere allo spettatore. Basta ripensare alla nostra adolescenza, a quei pomeriggi estivi che sembravano interminabili e a quella voglia di avventura, di quell’avventura che ognuno di noi avrebbe ricordato per tutta la vita e che avrebbe sancito un legame eterno, quasi sanguineo, tra i suoi partecipanti. Questo, che può sembrare all’apparenza il delirio di un 36-enne rintronato che non è mai uscito del tutto dalla propria adolescenza, è in realtà il primo pensiero che mi ha sfiorato la mente all’avvio di Crossing Souls. Sarà quell’atmosfera magica e “sporca” allo stesso tempo, quelle musiche prese in prestito ad un sintetizzatore ancora in grado di gracchiare come si deve, o quei già citati riferimenti di cui il titolo abbonda, ma mai come in questo caso se non vi siete rivisti, anche solo in piccola parte, in uno dei cinque protagonisti del titolo in esame, allora avete avuto davvero un’infanzia tristissima.

Del resto, chi di noi non aveva l’amico figo, quello che faceva strage di cuori ed era bravo in tutto (e, udite udite, era pure simpatico e dal cuore d’oro)? Oppure quello più sfigatino (che oggi si dice nerd, ma 30 anni fa vi assicuro che le definizioni erano meno lusinghiere) imbranato col gentil sesso ma una macchina da guerra con qualsiasi cosa avesse a che fare con la tecnologia? Aggiungeteci un “cicciobomba cannoniere” dal caratteraccio burbero e – almeno per finta – minaccioso, la fanciulla più bella e dolce che abbiate mai visto sulla terra – ma che, in realtà, ha più palle lei di tutti gli altri messi assieme – e, per concludere, l’immancabile fratellino piccolo e rompiscatole di uno dei quattro (quello che non vorreste mai tra i piedi, ma che in realtà ha la dote di apparire sempre nei momenti meno opportuni) et voilà, la Delorean è pronta ed è già lì che vi aspetta.

Lo “Stand by me” dei videogiochi della corrente generazione

California, 1986, la tempesta che non ti aspetti e la rivelazione di una vita: il mondo dei morti (chiamato Duat) e dei vivi entrano incredibilmente in contatto in seguito al burrascoso fortunale, e un gruppo di cinque ragazzini posa accidentalmente le proprie mani su un misterioso manufatto che permette di “aprire” a proprio piacimento questa incredibile connessione. Quanto basta per attrarre le attenzioni del super cattivo di turno, morbosamente attratto dall’incredibile rivelazione per fini personali, mentre due divinità disperse chissà dove vengono svegliate dal proprio “torpore” per scatenare una battaglia le cui origini si perdono nei millenni. Diciamo che sì, Crossing Souls in quanto a background narrativo non scherza affatto: le premesse sono buone, e non vi nascondiamo che potrebbero tranquillamente essere trasposte nella sceneggiatura di una serie Netflix di ragionevole successo. La narrazione complessiva del titolo Fourattic si snoda in modo sapiente, senza mai prendersi eccessivamente sul serio e mantenendo quei toni da teen-scifi che, per quanto a tratti semplificati, funzionano assolutamente a dovere: nulla di estremamente profondo o in grado di “stupire” con cliffhanger maestosi, per carità, ma la semplicità e l’immediatezza della narrativa di Crossing Souls espletano il proprio dovere in modo encomiabile solleticando la curiosità di chi gioca e, allo stesso tempo, sfruttando la captatio benevolentiae scaturita dalle innumerevoli citazioni disponibili.

Crossing Souls

Il gameplay di Crossing Souls è un mix equilibrato di diverse meccaniche, una sorta di Zelda vecchia scuola (quando i bit li contavi su due mani, per capirci) in cui si spazia da fasi platform ad altre più “fight oriented“, passando per tradizionalissime sezioni a scorrimento orizzontale (dove sì, vi ritroverete a sfrecciare a bordo di una bxm fiammante) o ad aree ad alto tasso di enigmi. Questi ultimi, ad onor del vero, non offrono mai un livello di sfida particolarmente sensibile, il che unito ad un coefficiente di difficoltà dell’intera avventura che vira verso il basso rende il playthrough forse un po’ troppo abbordabile. Certo, mai come nel titolo di Fourattic conta più il viaggio in sé che la meta vera e propria – e sì, sarà il ricordo della scoperta sensazionale (e di tutte le sue conseguenze) ad accompagnare i giocatori negli anni a venire, piuttosto che la difficoltà di uno scontro o di un dato enigma: diciamo che Crossing Souls si rivolge dunque ad un pubblico più attratto dalle opere story-driven, seppur dalle tinte volutamente teen, incline ad un gameplay ragionevolmente semplice che non introduce meccaniche elaborate ma, al contrario, punta tutto sull’immediatezza e la fruibilità.

Che poi sia chiaro, Crossing Souls è tutto tranne che un titolo semplicistico. L’equazione che compone il gameplay del titolo Fourattic propone al giocatore un set di soluzioni interessanti, capaci di rendere più che piacevole l’intera esperienza pur senza introdurre nulla di davvero innovativo. La possibilità di switchare liberamente il nostro alter ego tra i cinque disponibili ne è forse l’esempio più lampante e meglio riuscito: ciascun personaggio, dal canto proprio, è infatti caratterizzato da skill, abilità e caratteristiche differenti – che, come ben capirete, potranno rivelarsi più o meno utili a seconda delle occasioni che andremo ad incontrare. Non solo: alcuni NPC reagiranno diversamente a seconda del loro interlocutore, fattore che aggiunge quel brivido di “imprevisto” ad uno storytelling comunque lineare e ancorato su binari narrativi ben stabiliti. Una meccanica nota, insomma, che giova alla profondità del gameplay – ma che, allo stesso tempo, contribuisce ad aumentare ulteriormente quel senso di amicizia, cooperazione e dipendenza reciproca che ne lega i protagonisti. L’unione fa la forza tanto nella California dell’86 quanto nel Duat, e nulla è più importante del gruppo per sconfiggere il Male – sia esso un umano senza scrupoli o una divinità particolarmente incazzata.

Una lettera d’amore al decennio più iconico del secolo passato

Da un punto di vista artistico, Crossing Souls è un tripudio per i nostalgici e gli amanti dei pixel grossi come mattoni. Le sezioni video, realizzate in perfetto stile cartoon anni ’80 con tanto di artefatti visivi e filtri VHS che (oramai, purtroppo) in pochi ricorderanno sono soltanto l’ennesimo tocco di classe di un prodotto che mostra una cultura indubbiamente lodevole. Video accompagnati rigorosamente da sonorità sintetiche a tratti lisergiche, musiche fortemente (e volutamente) emozionali capaci di toccare le giuste corde del giocatore e, a tratti, di emozionarlo in modo quasi fanciullesco quando – e capiterà spesso – il potere dell’amicizia permette di superare ogni ostacolo. Una colonna sonora che vabbè, che ve lo diciamo a fare, potete comodamente far partire in loop nella vostra autoradio e via, braccio fuori dal finestrino, occhiali a specchio incollati e si parte all’avventura. Per quanto concerne il giocato vero e proprio, la pixel art coloratissima di Crossing Souls vince e convince, regalando istantanee sgargianti ed evocative capaci di colpire nel segno. L’unico rischio, meraviglioso, è quello di ritrovarsi ad analizzare ciascuna scena cercando di capire da quale pellicola, serie o cartone sia stata presa in prestito: un conto che, fidatevi, salirà molto più rapidamente del previsto mentre i nostri cinque piccoli eroi fronteggeranno le minacce del Duat e annessi pericoli. Ma in quell’estate che non sembra finire mai, lo sapete tutti, gli eroi senza macchia e senza paura siamo noi: e, in un modo o nell’altro, il bene vince sempre.

Conclusioni

Crossing Souls, nonostante alcuni limiti, ci è piaciuto parecchio. Sarà che l’età ci ha reso dei nostalgiconi romantici dalla lacrima facile, o che quando vediamo citazioni degli anni ’80 non capiamo più un beneamato e corriamo per la stanza gridando “Capolavoro!” a squarciagola, ma nell’opera dei ragazzi di Fourattic è impossibile non intravedere quella scintilla di magia che oggigiorno è sempre più raro scovare. Un titolo semplice, questo Crossing Souls, articolato su una sceneggiatura ai limiti dell’adolescenziale e caratterizzato da un gameplay che nulla di nuovo introduce in un panorama di “già visto altrove”. Eppure il mix funziona, corroborato da una direzione artistica eccellente e da un comparto sonoro che, credeteci, solo quello merita il biglietto: in un modo o nell’altro ci si ritrova invischiati in quest’avventura con la A maiuscola, scandita da combattimenti, fughe in stile E.T. e risoluzione di enigmi.

Un’operazione nostalgia che, a ben vedere, racchiude in sé qualcosa di più profondo e concreto: un’ode all’amicizia, innanzitutto, resa ancor più memorabile dal frequente attingere al bacino collettore di immagini, suoni e ricordi di un paio buono di generazioni. Poi certo, siamo di fronte ad un titolo estremamente lineare, con un coefficiente di difficoltà tutto tranne che esagerato, una rigiocabilità prossima all’evanescenza e un appeal a cui, probabilmente, le leve più giovani saranno immuni. Ma per tutti quelli in grado di lasciarsi emozionare dall’avventura, quella vera che aspetti da una vita, così bravi da tornare per un paio d’ore dei ragazzini alla ricerca del tesoro, Crossing Souls sarà un po’ come rivedere la propria adolescenza in una polaroid leggermente sbiadita. A bassa risoluzione, sporca e magari pure un po’ sfuocata: ma vi sfidiamo, a distanza di anni, a trovare un ricordo più bello.

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