Celeste – Recensione

Ce lo eravamo persi per strada, Celeste, un po’ come accade a Madeline, la protagonista dai capelli rossi, con la sua forza di volontà, in una sfida personale contro una montagna apparentemente insormontabile.

Lei, sicuramente, qualche giustificazione in più ce l’ha: l’imponente massiccio che dà il nome al gioco di Matt Makes Games (al secolo Matt Thorson, in compagnia di alcuni amici) non solo preclude la sua ambita vetta agli avventurieri con vento e freddo sferzante, ma prevede anche piattaforme e trappole di ogni genere, insidie da affrontare con tempismo svizzero, precisione chirurgica e tanta, tanta pazienza.

Lo abbiamo recuperato, per fortuna, complice anche la sua nomination tra i Giochi dell’Anno ai The Game Awards (sì, di fianco ai vari titani del gaming di quest’anno, come God of War, che poi ha vinto, e Red Dead Redemption 2), trovandoci tra le mani un platform tanto splendido quanto ingannatore: sotto la sua patina di carineria e fragoline da collezionare, nasconde tematiche pesanti e un tasso di sfida a tratti sovrumano, ma anch’esso, un po’ come il Monte Celeste stesso, “scalabile”.

Le condividerete anche voi le incertezze di Madeline, ve lo assicuriamo: senza spoilerarvi troppo, una parte di lei le impedirà con tutte le forze di proseguire nell’impresa, così come agenti esterni, siano essi loschi figuri o tranelli mortali, e voi vacillerete, vacillerete eccome. Il primo passo sarà rinunciare ai collezionabili, a partire dalle fragole: disseminate nei punti più scomodi di ogni schermata (le oltre 200 che compongono Celeste, suddivise in 8 capitoli), avranno un impatto sul finale, ma soprattutto offriranno un grado di sfida non indifferente agli amanti della difficoltà. Potrete ignorarle, figuriamoci, rinunciando però a parte della soddisfazione.

Poi sarà il turno delle stanze e dei percorsi segreti (e dei percorsi segreti dei percorsi segreti), perché arriverà il punto in cui vi interesserà solo sopravvivere e, come un vero scalatore prossimo al traguardo, ve ne fregherete delle finezze, dei tecnicismi, e penserete solo all’ambita meta… ignorando però totalmente che è sempre il viaggio che conta. E dopo aver rinunciato agli extra, cosa resta? L’osso, il puro e semplice correre dall’inizio alla fine, ignorando ogni possibile diramazione. Ma anche lì, Celeste porta il giocatore nelle profondità del suo monte, facendogli esplorare nicchie e luoghi decisamente più vari e mistici di un semplice ammasso di rocce.

O si molla tutto, o scatta quel “click” che non fa più staccare gli occhi da Celeste

E allora si molla tutto, e si lascia vincere la parte di Madeline rinunciataria, priva di stimoli e prospettive, quella per cui ogni imprevisto si traduce ineluttabilmente in un attacco di panico, anche in momenti in cui, ad alta quota e senza cibo ed energie, è necessario raccogliere le proprie forze e dare il tutto per tutto per resistere un metro, un passo, un appiglio in più. Game Over, disinstallazione in corso

Oppure scatta quel “click” che non ti fa più staccare da questo o quel gioco, da questa o quella sfida, e tutta la frustrazione pregressa matura e si trasforma, sboccia, diventando un bagaglio di esperienze, automatismi che rendono la meta ancora più dolce, nonostante il sangue, il sudore e le lacrime. Lo avrete capito: Celeste non è un Reinhold Messner Simulator. Racconta la lotta di Madeline contro la depressione, contro l’ansia (quella vera, quella paralizzante, non quella del lunedì mattina), contro la gabbia dei social, della forma a discapito del contenuto e… stop, perché come detto, è il viaggio che conta, no? E non avrebbe senso starvelo a raccontare tutto qui, anche perché ci riesce benissimo il gioco stesso, nonostante i dialoghi tra i (pochi) personaggi siano farfugliati, e una narrazione per nulla invasiva.

A dirla tutta però, Celeste un po’ lo è un Reinhold Messner Simulator, in quanto ci si deve effettivamente arrampicare di continuo. Ma il più delle volte lo scorrimento dei livelli e delle stanze è orizzontale, non tanto verticale. E sì, c’è un tasto apposito per aggrapparsi, e dopo qualche secondo la resistenza di Madeline crollerà e mollerà la presa, facendovi cadere rovinosamente. Ma Madeline ha uno scatto poderoso che potrete direzionare dove vi pare, necessario per raggiungere punti soprelevati o più scomodi e distanti, e potrà sfruttare tanti power-up disseminati qua e là che le garantiscono uno scatto extra (ne potrete usare uno solo fino a che non toccherete nuovamente una superficie, e in quel momento, come reminder, i capelli della protagonista diventeranno blu, quindi fate bene i vostri calcoli), come bolle, piattaforme che si attivano secondo determinate condizioni e trampolini. Insomma, ha qualche asso nella manica in più dei classici scalatori.

Ma del resto, lei dovrà anche raccogliere chiavi per sbloccare porte, e persino affrontare veri e propri boss, o schivare palle di neve giganti, e muoversi ritmicamente in base alle terribili folate di vento che le ostruiranno il percorso, quindi è anche giusto così. “Arrampicarsi di continuo” è quindi un eufemismo, e se sulla carta poteva risultare noioso, sappiate che il vero successo di Celeste è di aver trasformato qualcosa di così meccanico in una sfida continuamente fresca e imprevedibile, ricca di sorprese, di meccaniche che variano leggermente ma quanto basta per mescolare le carte in tavola e non annoiare mai.

Celeste non è (solamente) un Reinhold Messner Simulator

E una volta assorbita la sua ripida curva di difficoltà, i suoi ritmi a volte folli, le sue “danze” di tasti da studiare, memorizzare e ripetere una volta dopo l’altra, è lì che inizia il bello. La frustrazione non manca, soprattutto all’inizio, o quando la levetta analogica di Nintendo Switch non risponde precisamente alla direzione che abbiamo in mente (m potrete usare le frecce, ben più precise, ma francamente meno comode), ma i respawn istantanei e la struttura a stanze, che solo di rado chiede di ripetere sequenze un po’ più lunghe e tediose, rendono il trial & error tutto fuorché un peso, complice anche un counter delle morti che ci guarda dall’alto verso il basso sin dalla schermata di caricamento, ma più come sprone che come dito puntato verso il nostro fallimento. Da lì, nonostante la salita, diventa una discesa verso la completa soddisfazione: la campagna base ha già un’ottima durata di per sé (10-12 ore, calcolando anche tante, tante morti), poi però ci sono le fragole da prendere e le cassette, che presentano “remix” più complessi e stimolanti dei livelli. I maniaci del completamento, insomma, raddoppieranno (e triplicheranno) il monte ore (l’avete capita?) senza troppa fatica.

Se poi vedete che la sfida è davvero esagerata, tranquilli: le splendide musiche, unite ad un sound design certosino che le cambia, modula e adatta di continuo (provate ad immergervi in acqua per un istante e capirete) vi indoreranno la pillola, mentre come ultima ratio c’è una modalità Assistita, attivabile prima di iniziare la partita, che facilita e non poco le cose grazie ad aiuti di ogni genere (offrendo, ad esempio, più scatti). Matt e soci hanno pensato a tutti.

Conclusioni

Celeste è una vera gemma. Punitivo ma appagante, spietato ma al contempo accomodante per chi non vuole perdersi un’avventura particolare e molto più profonda che il suo aspetto lascia trasparire, senza per forza scaraventare la console o il PC fuori dalla finestra, offre continuamente sfide godibili, nonostante un pizzico di frustrazione che, al termine di una complessa serie di salti, si trasforma in gioia e tripudio.

Il gameplay è fluido e veloce (al netto di qualche imprecisione della levetta analogica di Nintendo Switch, su cui lo abbiamo provato), le morti sono tante ma il respawn è istantaneo, e in generale non si ha mai la sensazione di subire un’ingiustizia per via di un cattivo design, che è cruciale in esperienze così crudeli ma elettrizzanti. A posteriori è difficile dire con certezza se quel posto ai TGA sia meritato o meno, ma di certo Celeste è una delle produzioni indipendenti più interessanti e divertenti del 2018.

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