Blades of Fire – Recensione

La fiamma della forgia spagnola è pronta a bruciare

Dalle fucine creative della spagnola MercurySteam, già noti per l’eccellente lavoro su Metroid Dread, arriva un nuovo action fantasy che punta dritto al cuore degli appassionati e delle appassionate di avventure oscure, sfide impegnative e storie dal respiro epico. Blades of Fire è un titolo che fin dalle prime battute si distingue per personalità e visione: un’opera che prende ispirazione dal fantasy più ruvido e immaginifico degli anni ’80 e ’90, con atmosfere che sembrano uscite dalle illustrazioni di vecchie copertine di romanzi pulp o dalle animazioni dark fantasy d’altri tempi.

La trama è di quelle che intrigano: in un mondo spezzato dalla tirannia della regina Nerea, tutte le armi sono state trasformate in pietra — tranne quelle del suo esercito. L’acciaio è diventato un simbolo di oppressione, e solo uno dei sette leggendari martelli che hanno forgiato il mondo può invertire il corso degli eventi. È così che un Abate e il suo giovane apprendista, Adso, partono alla ricerca di Aran de Lira, l’unico fabbro in grado di forgiare nuovamente strumenti di guerra poiché è l’unico in grado di maneggiare uno sei sette martelli che hanno forgiato il mondo.

Il risultato? Un soulslike narrativo che cerca di fondere la brutalità del combattimento con la potenza evocativa di una leggenda scritta nel sangue e nell’acciaio. Ma il martello colpirà nel segno o si spezzerà sotto il peso delle aspettative? Scopriamolo insieme.

La premessa narrativa di Blades of Fire non è particolarmente complessa, e del resto non aspira nemmeno a esserlo. Il nostro protagonista è Aran de Lira, un omone possente e laconico, barba folta e sguardo truce, che porta il marchio degli dei inciso sulle braccia: un’icona muscolare che richiama alla mente un altro famoso personaggio del mondo videoludico, ben più noto e altrettanto incline alla vendetta a suon di colpi di spada. In effetti, Blades of Fire si muove in quel territorio narrativo che potremmo definire “fantasy muscolare”, ma con un tocco di malinconia. Il direttore narrativo Enric Álvarez ha parlato di una “favola oscura”, ispirata a film come Excalibur e Ladyhawke, e alla struttura vendicativa de Il Conte di Montecristo. Il risultato è un racconto di perdita, riscatto e – parola chiave dell’intero intreccio – “ricongiungimento”.

Non mancano spunti visivi interessanti: l’estetica del gioco attinge a piene mani dall’immaginario epico e drammatico di autori come Frank Frazetta e Gustave Doré, mescolando colori vividi a composizioni teatrali, spesso tese a sottolineare la potenza fisica del protagonista o la cupezza del mondo che lo circonda. C’è un certo fascino, va detto, in questa rappresentazione volutamente rétro, anche se talvolta si ha la sensazione che lo stile prenda il sopravvento sulla sostanza. Il personaggio di Adso, l’apprendista giovane e curioso che accompagna Aran, cerca di portare un po’ di leggerezza e umanità nel racconto, contrapponendosi alla burbera essenzialità del protagonista – ma il contrasto, pur apprezzabile, non è sempre equilibrato.

Il nostro protagonista è Aran de Lira, un omone possente e laconico

Un altro elemento interessante è lo studio dedicato alle armi, che rappresentano non solo strumenti di combattimento, ma anche simboli di potere e rinascita. Joan Amat, il lead weapon designer, ha raccontato come il team abbia consultato canali YouTube di divulgazione storica per documentarsi sulle proprietà fisiche dei metalli e il loro comportamento reale: flessibilità, durezza, tenacità… concetti che inizialmente pare avessero un impatto concreto sul gameplay, anche se in fase finale sono stati semplificati per non appesantire l’esperienza.

Nonostante la tentazione sia forte, paragonare Blades of Fire a God of War sarebbe un errore concettuale. Sì, ci sono somiglianze superficiali – il protagonista è un omone incazzato, il tono è epico e drammatico, si menano botte con armi pesanti – ma sotto la scorza, il DNA è molto più affine a un certo tipo di action game vecchia scuola. D’altronde, alcuni membri fondatori del team di MercurySteam hanno lavorato a Severance: Blade of Darkness, un titolo del 2001 che molti considerano un precursore spirituale del genere Soulsborne, con quel mix punitivo e gratificante di esplorazione e combattimento tattico. Blades of Fire eredita da lì più di quanto non si pensi, ma lo rimescola con una sensibilità moderna che lo rende familiare ma non derivativo.

La sensazione iniziale è quella di camminare su un terreno noto: ci si aggira per una mappa di gioco, si affrontano nemici pompati e chiassosi che non vedono l’ora di insultarci prima di ricevere una martellata in piena faccia, e ogni scontro è una danza tesa tra schivate millimetriche e fendenti calcolati. Ma il gioco sorprende nel dettaglio: il sistema di combattimento è uno degli elementi più riusciti dell’intero progetto. Ogni tasto del pad frontale ha una funzione ben definita, con attacchi direzionali che vanno dall’alto in basso, da destra a sinistra, colpi in affondo e così via. Non c’è spazio per lo spam: serve ritmo, precisione e – soprattutto – intuito. La schivata è assegnata al tasto L1, e si può ricaricare stamina mantenendo una postura difensiva, scelta che spezza le abitudini acquisite in anni di Dark Souls e simili.

Il sistema di combattimento è uno degli elementi più riusciti dell’intero progetto

E in effetti, il combattimento è Souls-like… ma non lo è del tutto. C’è la riconoscibilità dei pattern nemici, ci sono le finestre strette per parry e block, c’è quel gusto per il rischio che fa battere il cuore quando decidi di colpire invece che difenderti. Ma la mappa comandi è talmente diversa – la parata è su L2, non R1 – e il sistema di attacco direzionale talmente peculiare, da rendere vano il semplice “muscle memory” maturato con i giochi FromSoftware. E questo è un bene: Blades of Fire si ritaglia una sua identità proprio nel momento in cui riesce a far vacillare le certezze dei giocatori e delle giocatrici veterani, costringendoli a reimparare, a cambiare approccio. È in questi momenti che il titolo mostra davvero di avere qualcosa da dire.

L’identità del sistema di combattimento di Blades of Fire è talmente peculiare da obbligare il cervello di ogni giocatore e giocatrice a un vero e proprio reset cognitivo. Non si tratta semplicemente di imparare nuove combinazioni di tasti, ma di riscrivere la propria “mappa mentale” del combattimento action, riadattandola a uno schema che, almeno inizialmente, sembra quasi respingere chi vi si avvicina. Ma dopo le prime ore, quando finalmente si inizia a interiorizzare il ritmo, la logica direzionale degli attacchi e le differenze tra le posture da battaglia, ecco che tutto si incastra come un meccanismo a orologeria. Un senso di padronanza che non arriva per caso, ma solo attraverso dedizione e un po’ di frustrazione ben canalizzata.

A rendere tutto più profondo c’è il sistema di “stance” delle armi, che ci permette di colpire di taglio o di punta. L’efficacia dell’uno o dell’altro approccio cambia a seconda del nemico e viene indicata visivamente da un intuitivo sistema a colori: rosso per “inefficace”, giallo per “accettabile”, verde per “ottimale”. Questo sistema ci invita a studiare ogni avversario e adattarci in tempo reale, rendendo ogni scontro un piccolo enigma da risolvere. Ma c’è di più. Le armi si consumano con l’uso, si scheggiano, si incrinano – e se saremo sconfitti, si pietrificheranno, costringendoci a tornare nel punto in cui abbiamo perso per poterle recuperare.

Ed è qui che entra in gioco una delle trovate più interessanti di Blades of Fire: la forgia. Non solo serve come punto di salvataggio e respawn – in maniera analoga ai falò di Dark Souls – ma è anche il fulcro della progressione. Ogni arma non viene trovata nel mondo, ma forgiata da Aran stesso, partendo da un modello base disegnato a mo’ di blueprint dal nostro nerboruto protagonista, e poi personalizzato con metalli, proprietà magiche, bilanciamenti e affilature. Il crafting non è un semplice extra: è un sistema robusto, coerente e profondamente integrato nell’identità del gioco. Costruire la propria arma non è solo funzionale, ma narrativamente significativo: ogni spada, ogni martello diventa un’estensione della volontà del protagonista, e delle scelte di chi lo controlla. Un’arma non si trova, si crea. E questo, oggi, è un atto quasi rivoluzionario.

E poi c’è l’atto stesso della forgiatura, che da semplice selezione di menu si trasforma in un vero e proprio rito, un momento centrale nel gameplay e nella narrazione. Forgiare un’arma in Blades of Fire significa scegliere con attenzione la lega, selezionare il metallo giusto in base alle sue proprietà – duttilità, tenacia, resistenza – e infine utilizzare lo stampo più adatto al tipo di arma che vogliamo creare. Ma il vero cuore del processo è il minigioco dedicato alla martellatura, che ci vede impugnare simbolicamente il martello degli dèi. Un arco che apparirà a schermo e che rappresenta la “forma perfetta” ci invita a sferrare la prima martellata e, con ogni colpo, dobbiamo cercare di far combaciare delle barre verticali a quel tracciato ideale. Più i colpi sono precisi, angolati correttamente e misurati in forza, migliore sarà il risultato finale. Colpire troppo o troppo poco, invece, significa compromettere l’integrità del pezzo e ottenere una lama meno resistente o poco efficace.

Un’arma non si trova, si crea. E questo, oggi, è un atto quasi rivoluzionario.

Il sistema non è immediato, e inizialmente può scoraggiare chi si aspetta un crafting più “classico” e automatizzato, ma dopo qualche tentativo si intuisce la profondità di questa meccanica. Ogni forgiatura riceve una valutazione a stelle: più stelle otterremo, maggiore sarà il numero di volte in cui l’arma potrà essere riparata prima di frantumarsi per sempre. Non è quindi solo una questione estetica o di statistica, ma di sopravvivenza e pianificazione a lungo termine. Anche per questo, dare un nome alle armi che si creano – cosa che il gioco permette e quasi incentiva – diventa naturale: sono compagne di viaggio, simboli delle nostre scelte e dei nostri errori, e spesso le porteremo con noi per decine di ore, in una campagna che può facilmente superare le cinquanta ore.

Curioso anche il sistema di difficoltà, che si lega proprio ai metalli: “Acciaio” è la modalità standard, “Bronzo” identifica la più accessibile e, chissà, magari ci sarà anche un’impossibile metallo per i più coraggiosi. Ancora una volta, Blades of Fire dimostra che dietro la sua scorza muscolosa si nasconde un design attentamente studiato e, per certi versi, perfino poetico.

Conclusioni

Blades of Fire è una scommessa coraggiosa da parte di MercurySteam, che riesce a emergere nel panorama degli action-fantasy grazie a un’identità forte, un sistema di combattimento originale e una meccanica di crafting davvero ambiziosa. Pur attingendo a piene mani da un immaginario ben noto – tra God of War, Dark Souls e i classici sword & sorcery anni ’80 – il gioco trova la sua voce proprio quando osa di più: nelle forge, nel martello, nelle armi che si costruiscono e si perdono, nei combattimenti duri ma soddisfacenti.

Non è un’esperienza pensata per tutti, e richiede una certa apertura mentale da parte di giocatori e giocatrici. Ma chi accetterà la sfida troverà un titolo profondo, ruvido e carismatico. E su PlayStation 5, fortunatamente, l’esperienza è anche tecnicamente solida: il gioco gira fluidamente, senza cali di framerate vistosi o problemi tecnici rilevanti, garantendo combattimenti reattivi e un’esplorazione fluida. Se amate le avventure epiche e i giochi che non temono di rompere qualche regola, Blades of Fire potrebbe sorprendervi più di quanto immaginate.

  • Good
    +Sistema di crafting inedito
    +Tecnicamente fluido
    +Sistema di combattimento particolare...
  • Bad
    -...Ma che richiede molta pratica
    -Narrazione semplice (forse un po' troppo)
  • 8 Duro come l'acciaio
Conclusioni

Blades of Fire è una scommessa coraggiosa da parte di MercurySteam, che riesce a emergere nel panorama degli action-fantasy grazie a un’identità forte, un sistema di combattimento originale e una meccanica di crafting davvero ambiziosa. Pur attingendo a piene mani da un immaginario ben noto – tra God of War, Dark Souls e i classici sword & sorcery anni ’80 – il gioco trova la sua voce proprio quando osa di più: nelle forge, nel martello, nelle armi che si costruiscono e si perdono, nei combattimenti duri ma soddisfacenti.

Non è un’esperienza pensata per tutti, e richiede una certa apertura mentale da parte di giocatori e giocatrici. Ma chi accetterà la sfida troverà un titolo profondo, ruvido e carismatico. E su PlayStation 5, fortunatamente, l’esperienza è anche tecnicamente solida: il gioco gira fluidamente, senza cali di framerate vistosi o problemi tecnici rilevanti, garantendo combattimenti reattivi e un’esplorazione fluida. Se amate le avventure epiche e i giochi che non temono di rompere qualche regola, Blades of Fire potrebbe sorprendervi più di quanto immaginate.

  • Good
    +Sistema di crafting inedito
    +Tecnicamente fluido
    +Sistema di combattimento particolare...
  • Bad
    -...Ma che richiede molta pratica
    -Narrazione semplice (forse un po' troppo)
  • 8 Duro come l'acciaio

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