Akiba’s Trip : Undead & Undressed – Recensione

Akiba’s Trip : Undead & Undressed – Recensione

Guardatevi intorno. Sentite quel brivido freddo lungo il collo? Sono qui, intorno a noi. Ci osservano, ci studiano, ci cacciano. La nostra certezza di essere in cima alla piramide evolutiva è mera illusione. C’è un predatore nuovo in città, e noi siamo le loro prede, ignare e vulnerabili. Voi siete pronti a combattere? Dopo l’annuncio nell’Agosto dell’anno scorso, e un trailer alquanto singolare, i folli nipponici di Acquire e Xseed Games ci (ri)portano in quel di Akihabara, piccolo distretto di Tokyo noto ai più come un vero e proprio centro culturale per gli Otaku edochiani. Akiba’s Trip ci accompagnerà fra le miriadi di negozi e maid cafè che costellano la zona, dove ci troveremo ad affrontare nemici davvero singolari, con altrettanto singolari metodi, il tutto condito da personaggi davvero capaci di divertire e farci sorridere, uno stile grafico degno dei migliori anime, e una trama che in un modo o nell’altro riesce a emanare qualche bagliore di originalità. Sarà questo uno dei pochissimi titoli capaci di rendere al meglio su PSVita o dovremmo chiamare dei Men in Black per neuralizzarci ed eliminare dalla memoria l’ennesima delusione sulla console handheld targata Sony? Pur sforzando le meningi, nemmeno un hardcore gamer come il sottoscritto potrà dire di aver mai trovato un videogame con un titolo che così bene racchiude la sua nuda (e cruda) identità. Se volete scoprire perchè, vi invito a tuffarvi insieme a me nella recensione di uno dei titolo più strambi che abbia mai avuto modo di affrontare. Benvenuti ad Akihabara.

In uno degli incipit più assurdi della storia videoludica universale, il nostro alter-ego Nanashi (il nome lo potremo modificare a piacere) decide di rispondere ad un’offerta di lavoro, e si ritrova presto legato a un tavolo operatorio, inconsapevole rotellina di un ingranaggio ben più grande di lui. Convinto di venir ripagato con rare figurine da collezione, il nostro Otaku non riesce a credere che l’unica cosa che i suoi strani rapitori sembrano avergli donato è un potere tanto dono quanto maledizione: ora Nanashi è un Synthister, una sorta di vampiro dell’età moderna. No, non è l’ennesimo gioco su violenti succhiasangue, questa volta i vampiri di turno non potrebbero essere più vegani di così: i Synthisters non si ciberanno del nostro sangue, ma del nostro zelo e della nostra voglia di vivere. Questo twist è davvero splendido e benvenuto, dando un’apparente ventata di aria fresca in un panorama riempito di clichés usati ad nauseam.

I Synthister affermano di provenire dall’antico clan Yagami, auto-innalzatisi a “prescelti” per riportare potere al clan ormai in procinto di estinguersi. A venire in nostro soccorso arriva una gentil donzella, Shizuku, che ci accompagna nelle prime istanze di combattimento. Dopo averla protetta da un colpo fatale ci ritroveremo in una fuga rocambolesca, e sarà di nuovo grazie alla bella Shizuku che Nanashi scamperà a morte certa. Risvegliatosi, il nostro Brotagonist (uno dei tanti nickname affibbiatigli) scoprirà che, per salvarlo, Shizuku ha dovuto renderlo suo “familiare”, regalandogli così anche i poteri dei Nighteater, veri eredi del clan Yagami e per questo nemici giurati dei Synthister.

Ora è diventata anche la nostra missione combattere i Synthister, ripulendo le strade di Akiba prima che la guerra sia persa per sempre. Ad aiutarci nell’impresa i nostri brother in arms, i Freedom Fighters, Otaku nonché amici validi e fidati. Da qui la storia si dipana in modo relativamente tranquillo, senza particolari picchi narrativi, lasciando anzi un bel po’ di amaro in bocca fino al finale, talmente spoglio da restare onestamente stupefatti. Ad onor di cronaca è giusto dire che il “mio” finale è solo uno dei possibili traguardi: ad ogni dialogo infatti potremmo plasmare il carattere del nostro alter-ego, delineandolo ad esempio come l’eroe senza macchia delle più tradizionali avventure o come l’Otaku con la O maiuscola.

Questi “bivi morali” sembrano però venire meno al loro potenziale, facendo sembrare il tutto piuttosto inutile ai fini della storia stessa. Nonostante la relativa brevità del titolo, alla fine della fiera la voglia di rigiocare il tutto per fare scelte diverse non la si trova nemmeno a cercarla con il cannocchiale, complice forse una storia che, pur iniziando bene, lascia la morsa e perde mordente molto presto. Ad affiancare la storyline principale si piazzano diverse quest secondarie che soffrono però delle stesse mancanze: sono missioni ripetitive, minimamente contestualizzate o motivate da più di un “vai lì, trova i nemici, proteggi il tal negoziante,ecc”. Dopo averne affrontate un paio vi ritroverete probabilmente ad abbandonare il tutto, buttandovi a capofitto nella “campagna” principale.

Regola vuole che a mali estremi corrispondono estremi rimedi. Per la stessa logica, nemici insoliti come i Synthister meritano metodi insoliti per essere sconfitti. Pronti ad uno dei sistemi di combattimento più assurdi della storia dei videogiochi?

Per quanto i Synthister non debbano rispondere alla sete di sangue, in comune con i loro antichi e leggendari fratelli hanno una debolezza: la luce del sole. Non ne sono affetti in modo così estremo, ma se esposti completamente ai raggi luminosi della gigante lampadina gialla nel cielo, si dissolvono come polvere al vento. Qui entra in gioco la metodica di combattimento che solo un titolo come Akiba’s Trip poteva permettersi: lo Strip System. Escludendo il quadrato (adibito al salto), premendo uno degli altri 3 tasti potremmo attaccare una parte precisa del corpo dei nostri nemici (testa,busto o gambe) andando ad indebolire quella parte fino a poter strappare l’indumento relativo. Sì, avete capito bene: dobbiamo sconfiggere i nemici spogliandoli.

Per aggiungere stranezza alla stranezza, una volta strappato il primo indumento potremmo essere in grado (il più delle volte) di iniziare una “Strip Chain” che ci permetterà di eliminare gli indumenti dei nostri nemici in sequenza, arrivando addirittura a una sorta di “finisher” che priverà i malcapitati di turno perfino della biancheria intima, con conseguente censura dei gioielli di famiglia grazie a dei bagliori di luce così accecanti che J.J.Abrams (per usare una terminologia tipica dei nostri amici della capitale) “je fa na p***a”.

Non avremo solo le mani nude, ma potremo usare un’infinità di armi, dalle più classiche alle più assurde: laptop, braccialetti luminosi, cartelli stradali, e spiedini giganti di kebab. Il carattere RPG del titolo qui è solo una leggera infarinatura, mancanza che si nota quando un poster arrotolato usato come arma fa più danni di una mazza da baseball, neanche fosse fatto di adamantio. Questa mancanza di profondità ruolistica è presente anche nella “customizzazione” del personaggio, a cui potremmo assegnare indumenti di volta in volta più duraturi e resistenti, ma nulla più di questo. Le istanze di battaglia il più delle volte si riducono a nient’altro che sequenze di button-smashing incontrollato, intervallate dai momenti combo in cui dovremo premere i tasti indicati a schermo.

Akiba’s Trip perdona tranquillamente la sconfitta, facendoci partire dall’ultimo checkpoint, anche se questo non giustifica appieno le profonde mancanze a livello di gameplay. Elemento essenziale nei momenti di “non-battaglia” sarà lo smartphone, sorta di menù in game da cui potremo salvare/caricare, osservare la mappa, accettare o rifiutare missioni secondarie, o (perché no) tuffarci in una conversazione su Pitter (una sorta di social network in-game a mo’ di Twitter). Vero punto di forza del titolo di Acquire sono i personaggi: ogni amico che troveremo sul nostro cammino è delineato con una precisione sopraffina, tanto da rendere impossibile non affezionarsi alla donzella (o al donzello) di turno. Le gentildonne che ci accompagneranno nella lotta ai Synthister sono davvero tante, una più bella (e interessante) dell’altra. Insomma, c’è davvero da sbizzarrirsi. Chi vi scrive ha trovato particolarmente straordinaria la sorella del protagonista, personaggio davvero unico nel suo genere, tanto nel look quanto nel modo di parlare, originale e a volte anche capace di sfondare la quarta parete che da sempre esiste fra gamer e videogame.

In un titolo di questo genere, la fluidità nel combattimento è uno dei due fulcri del gioco, e purtroppo Akiba’s Trip non brilla neanche in questo settore: spesso mi sono trovato davanti a rovinosi cali di framerate e telecamere posizionate malissimo, costringendomi ogni volta a perdere tempo per riposizionarla. Ad appesantire il framedrop troverete anche momenti di mancata responsività dei comandi che, se siete come me, vi faranno venire i nervi a fior di pelle.

Lo stile artistico del titolo è davvero straordinario, per il resto, con personaggi che più manga non si può, e animazioni davvero divertenti e originali, seppur il più delle volte assurde. Dispiace davvero riscontrare che la cura nella creazione (narrativa e artistica) dei personaggi non si riflette in quella che dovrebbe essere ulteriore protagonista della storia, la città di Akiba. Arena dei nostri combattimenti ed enorme quartiere, Akiba è suddivisa (per ovvie ragioni di gestione della mappa) in piccole sezioni, ognuna con una miriade di vetrine e mercati: i negozi presenti sono davvero tanti, ma si limitano a 4 scaffali low-res e a qualche scambio di battute con il negoziante di turno.

A qualche missione dall’inizio viene (fortunatamente) sbloccata la modalità fast travel, che di sicuro non smetterete di usare fino alla fine dell’avventura. Nemmeno in questo campo però sono molti i complimenti da fare al titolo: ogni volta che premeremo Select per avviare il viaggio veloce, ci ritroveremo davanti a una schermata di caricamento di diversi secondi (per fortuna allietati da poster e pubblicità dei negozi tipici di Akiba).

Una volta arrivati, soprattutto nel caso di aree particolarmente affollate, non ci saranno passanti ad accoglierci ma strane sagome grigie in lontananza che, raggiunta una certa distanza da noi, prenderanno forma. I modelli poligonali dei passanti non spiccano per originalità, confondendosi facilmente gli uni con gli altri. Di particolare pregio il doppiaggio in inglese, con voci davvero azzeccate e con il giusto tono, capaci di trasmettere l’emozione necessaria al momento narrativo: i puristi potranno scegliere il doppiaggio originale giapponese, lasciando (o meno) i sottotitoli in inglese. Ulteriore plauso va dato alla soundtrack, un misto di ritmi Lounge Bar e J-Pop davvero perfetto per immergere al meglio il giocatore nella way of life edochiana.

In conclusione…

Akiba’s Trip: Undead & Undressed è un titolo che, affrontato con la giusta ottica, promette sano divertimento e  una gustosa dose di stranezza. Vampiri moderni affamati di emozioni, un metodo di combattimento originale, personaggi disegnati e caratterizzati come uno dei migliori manga: il potenziale era elevato per questo titolo, ma non molto di quel potenziale è stato raggiunto e realizzato. Per quanto i comprimari siano davvero unici e i dialoghi straordinariamente originali, Akiba’s Trip tiene il tiro troppo alto e finisce molto lontano dal canestro.

Il combattimento soffre di diversi problemi di framerate, la mappa di gioco è visitabile ma non ha nulla di davvero incisivo, e la storia parte in quinta per poi perdere mordente. L’ultimo titolo di Acquire è da affrontare senza pretese, così da non focalizzarsi troppo sulle mancanze e accontentarsi delle (poche) cose fatte davvero bene. Akiba’s Trip si mostra così alla luce del sole, nudo e senza vestiti, e non è una vista particolarmente gradevole.

Voto: 5/10

Dopo un'infanzia passata davanti al Gameboy e un'adolescenza trascorsa in continue maratone di TimeCrisis,il Dottor Carter "de noantri" eleva la sua passione all'ennesima potenza ed è pronto a viaggiare oltre i confini del tempo e dello spazio ("Spaaaaaaaaaaaaaaaaaace!!!") per portarvi in giro nel fantastico luccicoso mondo del "gaming", fra notizie,rumor, e opinioni "off the wall".

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