Yakuza 6: The Song of Life – Anteprima

Il Drago di Dojima è tornato

Yakuza 6: The Song of Life – Anteprima
Yakuza 6: The Song of Life – Anteprima

La vita di Kazuma Kiryu attraverso la malavita di Tokyo è stata un’esperienza straordinaria che ci ha guidato lungo tutta la serie Yakuza: lo scorso anno, più o meno in questo periodo, abbiamo recensito Yakuza 0 ed è stato uno di quei giochi che lungi dal placare la nostra sete nei confronti di una serie purtroppo ancora un po’ di nicchia in Occidente, l’ha solo aumentata. Con Yakuza 6: The Song of Life siamo giunti al settimo titolo della saga e nonostante il recente rinvio al 17 aprile, tempo necessario a SEGA per consegnare ai giocatori un prodotto completo, ci siamo presi del tempo per provarlo in anteprima e una cosa possiamo già dirvi con certezza: Kiryu e il suo mondo non sono mai stati tanto in forma come in questa nuova avventura. Yakuza 6: The Song of Life è il primo gioco del franchise open-world di lunga memoria a essere stato costruito esclusivamente per PlayStation 4 e grazie al supporto del nuovo Dragon Engine si mostra, visivamente e meccanicamente, in splendida forma.

Da una Seven Stars che si consuma lenta fra le dita mentre assistiamo alla vita notturna della città, a un esilarante ritornello al karaoke fino alla scoperta per Kiryu delle live chat, passeggiando lungo Pink Street e Theatre Avenue dopo aver girato Nakamichi Street, il crogiolo suburbano digitale rappresentato da Kamurocho continua ad accogliere a braccia aperte il giocatore. Lo tenta con le sue lusinghe – dopotutto stiamo parlando di un distretto a luci rosse – salvo poi chiuderlo in una cornice narrativa matura e cruda, che infrange quell’aura culturale a metà fra anni ’80 e ventunesimo secolo per gettarlo in mezzo a risse da strada, sangue e mani che si muovono più veloci delle parole; molto spesso poi s’impugna il primo oggetto utile che possa servire da arma, sia esso un cono stradale all’apparenza innocuo o una più pesante motocicletta. In realtà la si calcia ma il principio è lo stesso: il fine giustifica i (creativi) mezzi.

Abbiamo provato Yakuza 6: The Song of Life dall’inizio e come tradizione vuole, il gioco si apre con una lunghissima serie di cutscene il cui scopo è non solo mostrarci il balzo generazionale, e dunque qualitativo, della serie ma consentire ai novizi di comprendere come quest’ultimo capitolo si collega a Yakuza 5. Dopo una breve introduzione nella quale riprendiamo la mano con i comandi di base affinché Kiryu si difenda da uno spasimante troppo possessivo (no, non nei suoi confronti), siamo sbalzati indietro nel tempo di ben quattro anni: chiunque finora non abbia avuto il tempo o anche la voglia di dedicarsi ai precedenti capitoli sulle console di seconda e terza generazione, né vuole cimentarsi con i più recenti Yakuza 0 e Yakuza Kiwami su PlayStation 4, potrà approcciare il gioco in tutta tranquillità consapevole di avere le spalle coperte da una retrospettiva molto esaustiva in merito a eventi occorsi e personaggi coinvolti. Il nostro consiglio rimane cercare di recuperare quanti più giochi possibili per godere in prima persona di una storia che con questo sesto capitolo ufficiale troverà la sua conclusione: Yakuza 6: The Song of Life non solo sarà autoconclusivo ma anche l’ultimo gioco a vedere Kazuma Kiryu protagonista. Che il Drago di Dojima possa vivere una vita da uomo giusto?

Le possibilità sono così tante e tutte talmente a portata che ci troveremo con l’imbarazzo della scelta

I quaranta e più minuti necessari affinché il giocatore capisca il perché degli avvenimenti presenti – e fidatevi, ciò che succede è talmente sorprendente che il tempo non lo si sente nemmeno da tanto si è curiosi – sono raccontati da due punti di vista: da un lato c’è Kiryu, che tornato vincitore ma gravemente ferito da uno scontro mortale vuole abbandonare la Yakuza per ricostruirsi una vita e dedicarsi interamente al Morning Glory, l’orfanotrofio da lui costruito a Okinawa. Dall’altro Haruka Sawamura, la ragazzina presa sotto la sua ala protettrice dopo la morte dei genitori e diventata ora un celebre idol, che a sorpresa durante un concerto al Tokyo Dome annuncia davanti a migliaia di spettatori il suo ritiro dalle scene, una scelta guidata dalla volontà di andare a vivere proprio con il temuto Drago di Dojima. La reazione negativa dell’opinione pubblica, dapprima rimasta sconvolta di fronte a una simile decisione, non tarda a farsi sentire ed è a questo punto che Kiryu prende la decisione dalla quale inizia davvero il suo percorso di redenzione: per proteggere Haruka e gli altri ragazzini dell’orfanotrofio accetta la prigione, scontando gli anni dovuti per potersi presentare all’orfanotrofio a testa alta e come uomo legalmente mondato da ogni colpa. Tre anni sembrano pochi ma in realtà sono un percorso travagliato alla fine del quale Kiryu, finalmente libero, scopre che la pace per lui forse non è destinata a esistere: tornato al Morning Glory scopre che Haruka è scomparsa e una volta a Tokyo, intenzionato a scoprire cosa sia successo, si accorge che molte cose sono cambiate. I suoi vecchi legami sembrano essersi volatilizzati e come se non bastasse le triadi cinesi hanno fatto di Kamurocho il loro personale campo di battaglia, non preoccupandosi di agire nell’ombra per dettare legge.

È in questo scenario di guerriglia urbana che ha inizio la nostra avventura, tra minigiochi, missioni secondarie, esplorazione e tante tantissime risse. La prima impressione generale positiva in merito a Yakuza 6: The Song of Life è la complessiva fluidità del tutto: gli sviluppatori hanno messo bene in chiaro l’intenzione di renderlo un gioco meno macchinoso rispetto ai precedenti e pad alla mano possiamo confermare che è proprio così. Molti aspetti sono stati alleggeriti e semplificati, altri sono stati introdotti ex novo per offrire un sistema molto più dinamico. A fare da apripista alle novità troviamo la Ultimate Heat Mode, uno stato particolare nel quale Kiryu può entrare dopo aver accumulato abbastanza energia e che gli permette di approcciare il combattimento in maniera altrimenti impossibile, al quale si accompagna il completo abbandono degli stili che tanto avevano caratterizzato i precedenti capitoli su PlayStation 4. Da adesso le abilità si migliorano con maggiore libertà: per ogni azione compiuta in gioco, non necessariamente legata alla lotta, otterremo infatti dei punti esperienza in cinque categorie differenti – Muscle, Agility, Gut, Technique e Charm. Queste a loro volta andranno a influenzare quattro ambiti: le statistiche base (attacco, difesa, schivata, HP e generazione della salute); le Battle Skill, mosse e contromosse da eseguire secondo una precisa combinazione di tasti; le Heat Action, possibili da compiere consumando parte della relativa barra di Kiryu; da ultime ma non certo per importanza le abilità secondarie come lo sprint, la tolleranza all’alcol e tutti quegli escamotage che migliorano le prestazioni del nostro Yakuza preferito a seconda della situazione. Insomma siamo chiaramente di fronte a un sistema rivoluzionario per la serie, che abbandona vecchie rigidità limitanti per la progressione del giocatore secondo un proprio stile e si concede a un sistema in grado di lasciar personalizzare la singola esperienza.

Mai come in questo nuovo capitolo, peraltro, si può parlare di esperienza. Kamurocho non è un semplice distretto ma una piccola città all’interno della città, un coacervo di vie, negozi e vite che si incrociano in continuazione per regalarci infiniti o quasi momenti di intrattenimento con cui spezzare la storia principale o una delle tante sottotrame che la arricchiscono: a volte può essere divertente perdere la dignità in una esilarante sfida al karaoke, oppure dimostrare che gli anni di prigione non ci hanno fatto perdere il nostro smalto e provare alcune sessioni in palestra, o ancora si può far emergere il lato umano dietro la scorza duro dello Yakuza e nutrire gattini affamati, magari mentre si indaga sull’infedeltà di un marito un po’ troppo coinvolto dalle live chat… Le possibilità sono così tante e tutte talmente a portata che ci troveremo con l’imbarazzo della scelta e, come spesso capita, potremo tendere a dimenticarci dell’esistenza di una trama principale a furia di correre da un lato all’altro del distretto. Oppure no, perché narrativamente parlando Yakuza 6: The Song of Life è una vera tentazione per la nostra curiosità: vuoi perché dovremo indagare su chi e perché ha portato Haruka nella sala operatoria di un ospedale a lottare per la propria vita, o sull’identità del padre di Haruto, apparentemente figlio della stessa Haruka, o ancora sulle trame delle triadi cinesi, potremo trovarci a inseguire la missione principale molto più spesso del previsto.

Il capitolo visivamente più bello dell’intera saga

Dal punto di vista tecnico possiamo dichiarare senza ripensamenti come questo sia il capitolo visivamente più bello dell’intera saga. L’abbiamo detto, Kamurocho brulica di vita e lo dimostra, offrendoci uno spaccato verosimile e immersivo, dove tutto sembra così naturale da rappresentare uno sfondo perfetto alle vicende. L’espressione più azzeccata per sottolineare l’andamento del gioco è “senza soluzione di continuità”: possiamo esplorare e da un momento con l’altro essere interrotti per uno scontro senza che vi sia alcuna transizione. Lo schermo pulserà brevemente quando qualche malintenzionato avrà la pessima idea di infastidirci e da quel momento si entrerà nel vivo di uno scontro, guidato da ottime animazioni sia in termini di quantità sia di qualità. Se poi doveste vedere che le cose non vanno proprio come previsto e voleste scappare, magari all’interno di un negozio, siete liberi di farlo ma non pensate che i vostri avversari vi lascino stare tanto facilmente. Forse vi toccherà pagare i danni a qualche commerciante, quando inizieranno a volare i primi scaffali. In tutto questo, l’unica pecca possiamo riscontrarla in un calo di frame-rate rispetto ai precedenti, sviluppati per girare a 60fps mentre Yakuza 6: The Song fo Life sembra preferire la qualità visiva e si attesta attorno ai 30 fps. Si è notata anche l’assenza di anti-aliasing ma nulla che una patch correttiva non possa sistemare. Al netto di quanto abbiamo provato, l’impressione è netta: Kazuma Kiryu si è redento ma il cuore del Drago di Dojima batte più forte che mai ed è pronto a combattere la sua ultima battaglia non da Yakuza, bensì da uomo libero.


 

Cresciuta negli anni ’90 con un Game Boy e un Nintendo 64, è poi diventata ancora bambina un’adepta Sony a tempo pieno, ma appena può si dedica anche ad altre console.

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