The Spectrum Retreat – Recensione

Benvenuti al Penrose Hotel

The Spectrum Retreat – Recensione
The Spectrum Retreat – Recensione
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Non fatevi trarre in inganno dallo stile Art Déco e suadente del Penrose Hotel: è una struttura molto più moderna e futuristica di quel che sembra. Lo scoprirete nelle primissime battute di The Spectrum Retreat, puzzle game dalla forte componente narrativa che, senza troppi preamboli, ci fa risvegliare nella stanza 109: ad accoglierci, un maggiordomo robotico e senza volto, incapace di tradire qualsivoglia emozione. Ci segnala che è pronta la colazione, e ci attende nel ristorante della struttura.

Ma le cose iniziano a complicarsi da subito: strani messaggi arrivano sul nostro telefono, seguiti da altrettanto strane visioni e voci che ci accompagnano durante il pasto. Una voce finalmente amica e reale, quella dell’agente Cooper, ci lascia intendere che nulla è come sembra, che in quel Penrose Hotel noi ci siamo finiti contro la nostra volontà, e che per poter uscire vivi da lì dovremo superare delle sfide in ognuno dei suoi piani.

È così che ha inizio l’opera di Dan Smith, vincitore nel 2016 del premio BAFTA come Young Game Designer proprio grazie ad un prototipo di questo The Spectrum Retreat, chiamato Spectrum, in arrivo il 10 luglio su PS4, il 13 luglio su PC e Xbox One, ed entro l’estate anche su Nintendo Switch. Un’esperienza breve (circa 6 ore per il completamento), ma intensa, che sa tenere impegnati senza mai risultare realmente frustrante, ma che risulta un po’ meno entusiasmante di quello che ci aspettavamo dopo averla provata all’E3, il mese scorso.

I protagonisti sono loro, i puzzle, suddivisi in varie stanze e incentrati sui colori, ma anche la narrazione gioca un ruolo non indifferente: in buona parte di quelle stesse stanze sono presenti dei ricordi provenienti dalla memoria del protagonista, con tanto di note e lettere da leggere e da cui trarre qualche informazione in più sulla sua famiglia, su cosa le è successo, e su come lui sia finito in questa misteriosa struttura. Impossibile darvi ulteriori dettagli: sarebbe ingiusto starvi a svelare i tanti piccoli colpi di scena che si susseguono guadagnandosi l’accesso ad ogni piano, risolvendo un piccolo enigma per volta (l’unica frustrazione che si incentra in quei frangenti è la necessità di rimbalzare – inutilmente – da un punto all’altro dell’hotel in cerca di indizi).

Certo è che la narrazione centellinata, unita al dilemma finale, ci hanno offerto un buon contorno tra una sequenza di puzzle e l’altra. La maggior parte del tempo, comunque, la passerete nell’altra faccia del Penrose, quella tenuta ben nascosta dall’inquietante gentilezza del personale robotico, quella che accantona colori e forme anni 20 in favore di un look più asettico e metallico: dopo aver ottenuto il codice di accesso di ogni rispettivo piano, dovrete infatti vedervela con il fulcro dell’esperienza, puzzle, come detto, basati principalmente sui colori, e su dei cubi.

I protagonisti sono i puzzle, ma anche la narrazione gioca un ruolo non indifferente

La struttura e risoluzione degli stessi è abbastanza particolare, e nonostante una certa ripetitività di fondo, stemperata da una nuova meccanica aggiunta ad ogni nuovo piano (ne sono 5 in tutto), siamo passati il più delle volte a chiederci come avessimo fatto a risolvere i primi puzzle di un determinato piano, salvo poi ritrovarci alla fine dello stesso a raggiungere il traguardo in maniera estremamente naturale, senza quasi nemmeno rifletterci, segno della corretta assimilazione degli stessi in maniera quasi subconscia.

Solo in rari casi ci siamo veramente trovati a sbattere la testa contro il muro, e poco frequenti sono anche i momenti di puro trial & error in cui The Spectrum Retreat ci ha costretto a fallire solo per farci capire come avanzare (tranne in un particolare caso nel complesso puzzle finale che ci ha quasi portato alla disinstallazione del gioco, ndr), ma alla fine di ogni stanza, il senso di soddisfazione è sempre stato ben presente.

Come funzionano? Sostanzialmente avremo a disposizione dei cubi che contengono vari colori, in numero via via maggiore (tranquilli, sono presenti anche opzioni per chi soffre di daltonismo): potremo “impugnare” un colore per volta, necessario a passare attraverso dei portali dello stesso colore, disposti sia come porte, che come ponti (e in quel caso, ovviamente, dovremo invece evitare di passarci su impugnando lo stesso colore, pena, la caduta nel vuoto e il restart), e l’obiettivo sarà sempre quello di raggiungere un ascensore che ci porterà alla stanza successiva.

Per acquisire un determinato colore basterà posizionare il mirino sul cubo che lo contiene, anche da grandi distanze, l’importante è che non ci sia un portale di mezzo. Di conseguenza, il team ha escogitato vari modi per portarci a spremere le meningi: sfruttando ad esempio piccole finestre, oppure cubi su cui riversare temporaneamente un colore, da “trasportare” lungo i vari labirinti che affronteremo, ponendo portali in sequenza uno vicino all’altro, costringendoci a calcolare in anticipo su quali cubi posizionare determinati colori, pena il restare incastrati e dover ricominciare, e in certi casi dovremo letteralmente aggirare il sistema, afferrando un colore saltando, o sfruttando un piccolo angolo sporgente; qualsiasi strategia è valida nella fuga dal Penrose, poco ma sicuro, trovate poco eleganti incluse.

Progredendo verranno aggiunte, come detto, altre meccaniche: potremo ad esempio aggrapparci a degli appigli, anch’essi associati ai colori, e cambiare piano di azione, spostandoci su muri e soffitti, soluzioni che aggiungono un po’ di varietà ad un pattern di puzzle di base molto simili tra loro, forse anche troppo.

Ed è qui che The Spectrum Retreat pecca, proprio nella mancanza di varietà, tanto dal punto di vista visivo/estetico, con livelli monocromatici, quanto quello ludico, giocando forse troppo sul sicuro senza osare più di tanto. Per quanto l’idea di fondo sia buona, e per quanto il gioco non duri poi chissà quanto, qualche twist in più sotto quell’aspetto non avrebbe guastato. In compenso, il gioco scorre via piacevolmente, e come detto, una volta assimilate le varie meccaniche diventerà tanto spontaneo quanto soddisfacente risolvere i puzzle.

The Spectrum Retreat pecca nella mancanza di varietà

Piacevole da giocare, ma anche da vedere: graficamente è molto pulito, non troppo carico di dettagli, e sia l’hotel che i suoi labirinti interni godono di una bella atmosfera, complice anche il comparto sonoro, e un doppiaggio che in alcuni casi tocca vette di emotività niente male (in altri, nelle voci del personale robotico, ad esempio, è palese invece una certa pigrizia e superficialità nel risultato finale).

Peccato solo per il mancato supporto ai 21:9 (come emerso dalla nostra prova della versione PC): l’immagine schiacciata è anche tollerabile e non inficia troppo la giocabilità, ma le note contenenti più testo del normale, di cui compare la traduzione/trascrizione sul lato dello schermo, risultano in parte illeggibili. E non ci hanno convinto pienamente le animazioni dei “bug/ricordi” incrociati sul nostro cammino, ma si tratta di una questione di gusti totalmente personale.

Versione Nintendo Switch

Abbiamo deciso di testare il gioco anche su Nintendo Switch e possiamo dire che i controlli sono generalmente responsivi ma peccano di precisione quando si tratta di puntare gli oggetti distanti, a causa di analogici non esattamente ottimali per questo compito. Dobbiamo riconoscerlo, quando la mira assistita con il giroscopio diventerà la norma saremo giocatori più soddisfatti. Allo stesso modo non abbiamo trovato molto apprezzabile la vibrazione: troppo accentuata e dal rumore fastidioso, abbiamo provveduto a disattivarla immediatamente. Infine, se giocato in modalità portatile assicuratevi di farlo con le cuffie perché in caso contrario l’audio quasi non si sente; posto che di rado ormai si gioca in modalità portatile senza l’ausilio della cuffie, è comunque un difetto da tenere in considerazione.

Migliorano le cose sotto l’aspetto grafico, che si dimostra pulito e nitido indipendentemente da come lo stato giocando (malgrado le ombre in bassa risoluzione) e dal framerate stabile. Nel complesso Spectrum Retreat è un buon gioco anche su Nintendo Switch ma considerata la quantità di piattaforme sulle quali è disponibile, e soprattutto tenendo a mente la difficoltà nel prendere la mira, potrebbe non essere la vostra prima scelta come console – a patto che non vogliate svagarvi in viaggio con qualche puzzle.

Testo a cura di Alessandra Borgonovo

 

Conclusioni

The Spectrum Retreat è meno entusiasmante di quanto speravamo, ma è comunque in grado di regalare bei momenti, tra dei puzzle dalla struttura poco varia e non troppo complessi, comunque divertenti da risolvere, e una trama da scoprire un dettaglio dopo l’altro. Qualche tedioso momento di backtracking e di trial & error non rovinano l’esperienza, resa piacevole anche dal buon comparto artistico e dall’atmosfera che i silenziosi corridoi del Penrose Hotel, sia quelli di facciata che quelli nascosti nelle sue profondità, riescono a trasmettere.

La longevità non è stellare (6 ore), e per quanto il ritmo generale ne tragga giovamento, qualche puzzle in più (oltre a maggiore varietà) non avrebbe di certo guastato.

Good

  • Puzzle non troppo complessi, ma piacevoli da risolvere
  • Trama semplice ma ben narrata
  • Atmosfera molto curata

Bad

  • Difficoltà non troppo elevata
  • Poca varietà nei puzzle
7.3

Niente male

Traduttore e blogger freelance, adora (s)parlare di videogiochi e musica spaccatimpani tutto il dì. Quando può suona, gioca e legge, di tutto, anche le etichette degli shampoo. Terrore dei recensori e abbassatore di voti seriale, ha brillantemente sostituito le fatture ai suoi amati boss di Dark Souls, respingendo con caparbia ossessione e gioco di scudi qualsiasi backstab della vita sociale.

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